Questo brano di psicoterapia esistenziale di Thomas Hora, che tradussi molti anni fa per i miei seminari didattici, indica l’atteggiamento che dovrebbe avere un bravo terapeuta ed è particolarmente adatto per chi offre sedute di Rebirthing Transpersonale.

Tratto da: Awakening the Heart, compilato da J. Welwood,  Shambhala Publications , 1996, mia libera traduzione. 

PORRE LE GIUSTE DOMANDE di Thomas Hora

Ci sono molte cose che paiono molto logiche, naturali, razionali e realistiche, che tuttavia non sono necessariamente vere. Per esempio, siamo portati a credere che è importante ricordare tutto del nostro passato per migliorare il presente ed evitare di influenzare il futuro. Un mucchio d’energie è speso dalla gente per ricordare in dettaglio il passato: “Che cosa è accaduto?” “Perché è accaduto?” “Chi è da criticare per l’accaduto?” C’è una storia di uno che era in analisi da anni, il suo problema principale era il mangiarsi le unghie. Un giorno incontra un amico che gli chiede: “Come va con l’analisi?” e risponde “benissimo, ti dico che dovrebbero farla tutti, è meraviglioso!” “Hai smesso di mangiarti le unghie?” chiede l’amico. E l’uomo risponde: “No, ma ora so perché lo faccio.”

Uno psichiatra francese una volta disse: “Non stiamo bene perché ricordiamo, ma ricordiamo quando stiamo bene.” Nella psicoterapia esistenziale non mettiamo alla prova il passato, ma gli permettiamo di rivelarsi lungo il percorso d’acquisizione della comprensione di “ciò che è”. C’è una domanda che diventa superflua nella psicoterapia esistenziale. La domanda è: “Perché?” La domanda: “Perché?” diventa completamente superflua. Non esiste la domanda: “Chi è da giudicare?” o “Che cosa dovrei fare?” Fondamentalmente si pongono solo queste due domande: 1 Quale è il significato di ciò che sembra essere? 2 Che cosa è ciò che realmente è?

Il processo terapeutico è una situazione d’incontro in cui si rivelano molti aspetti del modo del paziente di “essere nel mondo”. Ciò che è necessario è la recettività di una mente aperta, libera da preconcetti riguardo a ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere.

Se pratichiamo l’osservazione dei processi del pensiero, costatiamo molto di frequente che i nostri pensieri hanno la tendenza a muoversi attorno ai dilemmi di ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere. Se la nostra consapevolezza viene liberata da questi preconcetti, diventiamo più capaci di percepire ciò che veramente è. La psicoterapia potrebbe essere descritta come un tentativo di discernere il buono al di sotto della patologia. Di che cosa è fatta la patologia? E’ fatta di percezioni distorte.

<…> Possiamo aiutare un paziente a comprendere il modo distorto con cui affronta una situazione e che cosa è esistenzialmente valido. Quindi egli può riscoprire di avere delle sane intenzioni che si sono distorte attraverso una cattiva interpretazione e percezione. Così potremmo affermare che la patologia consiste in percezioni scorrette di ciò che è buono, di ciò che è vero e di ciò che è esistenzialmente valido. Prima abbiamo detto che la psicoterapia esistenziale non è interpretativa ma ermeneutica. Delucida, chiarifica, aiutando la gente a vedere molto più correttamente gli aspetti esistenziali. La prospettiva interpersonale intende aiutare gli individui a stare bene con gli altri. Ognuno può impararla, ma stare bene con gli altri non è sinonimo di sanità. L’approccio esistenziale cerca di aiutare le persone ad entrare in armonia con l’Ordine Fondamentale dell’esistenza. Cosa è l’Ordine fondamentale dell’esistenza? Per comprenderlo meglio dobbiamo essere consapevoli che ci sono molti ostacoli con cui dobbiamo confrontarci per entrare in armonia. Uno di questi ostacoli è l’“operazionalismo”, la preoccupazione riguardo al “come fare le cose” ancora prima di aver riconosciuto che cosa è ciò che è. C’è una certa tendenza della mente che è sempre diretta alla preoccupazione di “come fare le cose”. Questo interferisce con il mettere a fuoco l’attenzione su ciò che realmente è. E’ necessario mettere in secondo piano le preoccupazioni del come fare, cosicché si possa essere completamente consapevoli di ciò che è. Quando sediamo con un paziente, egli presenta certi problemi e se noi conosciamo la giusta domanda da porre, il significato si rivelerà da solo. L’enfasi deve essere sulla rivelazione. Qualche volta terapeuti non esperti, che non si sono ancora liberati da una modalità “operazionale” e “calcolata” di pensare alla vita e dalla tendenza a cercare “la risposta” e immaginare “la soluzione”, hanno la tendenza a cercare di immaginare la soluzione ed il senso. Il significato non può essere immaginato o scoperto; il significato dei fenomeni si rivela a noi naturalmente. Se prendiamo una pallina da ping-pong, la mettiamo sott’acqua e poi la lasciamo andare, essa irrimediabilmente risalirà alla superficie. La stessa cosa accade con il significato. Se noi smettiamo di immaginare un significato esso spontaneamente si rivelerà a noi.

<…> Mi viene in mente la storia di due psichiatri che lavoravano nello stesso palazzo e alla fine del giorno scendevano sullo stesso ascensore. Uno era anziano e ogni sera era sempre fresco ed in forma mentre il più giovane era sempre affaticato. Il più giovane un giorno chiede all’altro: “Non so come tu faccia, tutto il giorno hai un paziente dopo l’altro e non mostri per niente stanchezza. Io sono esausto dopo avere ascoltato tutti questi pazienti. Come fai?” Lo psichiatra più anziano rispose: “E chi ascolta?”

C’è un modo di lavorare attivamente efficacemente e senza sforzo lasciando che a lavorare sia “l’Amore – Intelligenza”. Quali sono le caratteristiche di un terapeuta perché una buona comunicazione abbia luogo? Quale è la peculiarità di quei terapeuti che non hanno problemi nella comunicazione? Ci sono alcuni individui che possono andare in un ospedale psichiatrico e sedersi vicino ad un paziente che non ha mai parlato per anni e presto questo inizierà a parlare con loro, mentre altri possono avere cercato per anni di parlare con lo stesso paziente che restava sempre in silenzio ogni volta che veniva avvicinato. Si tratta di una qualità misteriosa? E’ una magia? No! E’ la motivazione. Il terapeuta deve avere la giusta motivazione. Perché la comunicazione accada in maniera efficace, terapeutica e benefica ci sono certe regole. Una delle cose richieste è che il terapeuta deve essere libero dal desiderio di “terapizzare”. Non è facile. Il desiderio di “terapizzare” può significare per il paziente che si cerca di invadere il suo spazio e di manipolarlo. La qualità della presenza in ognuno di noi è differente e determinata dal nostro sistema di valori e dalla nostra motivazione. Una delle più frequenti motivazioni del terapeuta è “terapizzare”, specialmente quei terapeuti che hanno un approccio alla vita “operazionale”. Se il modo del terapeuta di “essere nel mondo” è soltanto operazionale, il paziente manifesterà una gran quantità di resistenza. Nessuno ama essere terapizzato. E così allora che cosa può facilitare la comunicazione? Ci deve essere una qualità di “lasciar essere”. Molta gente confonde il principio di lasciar essere con il trascurare. C’è una differenza molto sottile tra “lasciar essere” e trascurare. Lasciare essere è rispettoso e relativo all’amore, l’indifferenza è rifiuto. Lasciare essere è la cosa più difficile da imparare. Permettetemi un rapido commento sulla parola accettazione. Chi siamo noi per accettare o non accettare qualcuno? Nel momento in cui pensiamo in questo modo abbiamo già impostato una struttura in cui noi siamo superiori al paziente. La teoria dell’accettazione è meglio lasciarla fuori. Noi non siamo né “accettatori”“rifiutatori”, noi siamo lì per comprendere che cosa si rivela da sé di momento in momento, e siamo disponibili a commentare in caso qualcuno sia interessato. Se non è così, restiamo lì con questa ricettività di fronte a “ciò che è” momento per momento. Questa è una totale non intrusività nello spirito dell’amore. Noi siamo disponibili al paziente. Sediamo con lui in questo spirito di disponibilità per aiutare la chiarificazione di qualunque cosa egli possa desiderare conoscere o comprendere. Precedentemente abbiamo parlato dell’influenzare. L’influenzare ha un grande posto – nella vita, nell’amicizia, nella vita familiare, negli affari e nella professione – ed è certamente un aspetto prezioso della psicoterapia. Certamente non abbiamo il diritto di influenzare i nostri pazienti verso alcuna direzione, tuttavia possiamo influenzare attraverso la qualità della nostra presenza e la nostra disponibilità a chiarificare ciò che abbiamo compreso e che cosa ci è richiesto. Quando sediamo vicino ad un paziente con questo spirito, generalmente non ci sono difficoltà di comunicazione. Presto il paziente inizia a porre domande e nuove domande vengono fuori. Qualunque cosa sia richiesta, noi siamo lì per commentare secondo la nostra migliore comprensione. Se riusciamo a comprendere “ciò che è” il problema del “come?” non sorge. La terapia è un processo ermeneutico di chiarificazione di tutto ciò che deve essere chiarificato. Ed è la chiarezza della comprensione di certi fatti che ha proprietà di guarire il paziente. Il potere di guarigione non è nel terapeuta, è nella correttezza delle chiarificazioni. E’ la verità che guarisce, non l’uomo che è testimone della verità. “Il dito che indica la luna non è la luna” dicono i maestri Zen. Così in questo modo non facciamo nulla, il paziente non fa nulla, la terapia non viene fatta, ed avviene uno svelarsi spontaneo come un sorgere progressivo di chiarezza.

Yen-Hui era un discepolo del famoso saggio taoista di nome Chang-tzu. Questo Yen-Hui era anche prominente figura della corte imperiale e doveva diventare il consigliere dell’Imperatore. Quest’imperatore aveva una gran predilezione per il tagliare la testa a quei consiglieri che commettevano degli errori. Yen-Hui era spaventato di questo lavoro e andò a chiedere consiglio al suo maestro. Disse al maestro: “Non credo di essere sufficientemente illuminato da essere sicuro in questa posizione di responsabilità.” Chang-tzu gli disse: “in questo caso devi ritirati e praticare il digiuno della mente.” Lui chiese “Che cosa è il digiuno della mente?” Chang-tzu gli diede le seguenti istruzioni: “Quando vuoi udire con le orecchie, non ascoltare con le tue orecchie, quando vuoi vedere con gli occhi non guardare con i tuoi occhi, quando vuoi comprendere con la mente, non pensare con la tua mente. Ascolta, vedi e comprendi con il Tao.”

Yen-Hui si ritirò e passò tre anni a svolgere questa disciplina. Dopo tre anni ritornò dal maestro e disse: “Penso d’essere pronto”. Chang-tzu disse: “Bene provamelo.” Yen-Hui disse: “Prima di aver praticato il digiuno della mente ero sicuro d’essere Yen-Hui, ma ora dopo aver praticato il digiuno della mente sono giunto alla realizzazione che non è mai esistito tale Yen-Hui.” Il maestro disse “Ora sei pronto!”

Che cosa voleva dire con questo? Se non era mai stato Yen-Hui allora chi era? E se Yen-Hui non era mai esistito chi siamo noi? Yen-Hui scoprì che non era una persona con un ego “suo”, una mente sua, e sue opinioni, ma che era una manifestazione dell’Amore – Intelligenza. Egli diventò una presenza benefica per il mondo, che non si basa su opinioni personali ma su saggezza ispirata. Tale persona vive in sicurezza.

Lo scopo della psicoterapia esistenziale è quello di aiutare la gente ad ottenere autenticità dell’essere. Per conoscere ciò che è vero dobbiamo riconoscere ciò che è falso.

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