In molti dei miei brani insisto sull’importanza di osservare i limiti e la natura dell’io. Solo la chiara percezione della realtà permette di dissolvere l’illusoria identificazione con l’immagine mentale che chiamiamo “io”. Per rendere più comprensibile che cosa intendo per libertà dall’ego, o quando scrivo degli inganni del tempo psicologico che la mente crea, vi riporto un esempio divertente, tratto da un episodio di vita vissuta con Sri Babaji, il Maestro spirituale che ho frequentato in India negli anni della gioventù.
E’ certamente molto difficile descrivere gli insegnamenti di un vero Risvegliato, perché conducono oltre le parole e la dimensione del pensiero e sono diretti all’essenza del nostro sentire, ma ci proverò. Ricordo un gran numero di episodi che mostrano in che modo l’agire del Maestro portasse a riconoscere le illusioni dell’ego e a liberarci dal mondo concettuale che ci imprigiona. Tra i molti insegnamenti ricevuti, scelgo questo perché è molto semplice ed è facile da raccontare. Sri Babaji alle 9 del mattino sedeva sulla veranda per circa una mezz’ora e durante questo darshan, potevamo sedere attorno a lui. Era un’occasione per porre delle domande, anche se pochi avevano il coraggio di farlo. Infatti, una volta vicini a Lui, la domanda che pareva così intelligente la sera prima, ora ci sembrava priva di senso. Si rimaneva più facilmente assorti in contemplazione. A turno si faceva il pranam, si offriva del prasad, frutta o dolci secondo la tradizione indiana, e Sri Babaji a sua volta ci dava qualcosa, o ci faceva distribuire tra i presenti ciò che avevamo donato. Sempre l’incontro era molto toccante. Un suo sorriso o un suo sguardo, severo, ironico, indifferente o compassionevole, con tutta la gamma delle espressioni pensabili, era sempre in sintonia con il nostro sentire più intimo. Come uno specchio ci faceva sentire nudi e trasparenti di fronte a Lui. Sempre smontava le nostre costruzioni mentali per riportarci al presente, al sentire immediato, alla percezione del mistero dell’Essere. Ricordo che quell’anno, credo fosse il 1981, avevo portato a Baba in regalo un radioregistratore. Quando glielo diedi, mi disse che lo accettava e lo gradiva, ma di rimetterlo nella scatola e di riportarglielo ogni mattina. Avrei dovuto sedermi vicino a Lui e Lui avrebbe detto se e quando usarlo. Devo dire che trovai la cosa geniale, perché per il darshan tutti si accalcavano per sedersi ai primi posti, e io trovavo orribile lottare per una cosa del genere. E così generalmente rimanevo seduto abbastanza lontano, anche se avrei voluto essergli più vicino. Invece, da quel momento, con la scusa del radioregistratore, anche arrivando con qualche minuto di ritardo, ogni mattina mi sarei seduto ai Suoi piedi. Mi sembrò quasi una specie di “premio” per il mio non voler spintonare. Oppure, pensai, se dovevo stargli vicino, di certo Lui stesso avrebbe creato la situazione, senza che io dovessi far nulla. Così da quel mattino sono stato vicino a Sri Babaji ai piedi della sua poltrona a ogni darshan.
Herakhan, 1981
Un giorno, come suo solito, alla fine del darshan, Baba a gran voce esclama: “all ladies and gentlemen go work quickly!” Tutti si alzano e si avviano alle mansioni cui sono adibiti. Io, preso dalla bellezza di quel momento con Baba, sotto i due immensi alberi di pipal, senza esitare, rimango seduto dove sono. Sri Babaji, presa un’arancia, ne mangia uno spicchio e m’imbocca di uno spicchio, sorridendomi. Così mangiamo l’arancia, uno spicchio per uno e Lui mi guarda negli occhi con grande affetto e mi fa sentire enormemente a mio agio. Siamo rimasti in 3 o 4, Sri Babaji parla con una voce melodiosa a Shastriji, l’anziano Bramino. Ghora Devi, un’italiana che conosce perfettamente l’Hindi, di tanto intanto mi traduce qualche frase dei discorsi.
La luce del sole ora invade la valle e gli alberi secolari che sovrastano con enormi rami la veranda. Uccelli dalle piume variopinte volano di ramo in ramo. Sri Babaji pare irradiare luce propria e la sua Presenza è un campo d’energia e consapevolezza tangibile e molto intenso. Il tempo si ferma e vivo un momento estatico, un momento di beatitudine senza confini e senza pensieri.
Poco dopo però, ecco che ne sorge uno. Quando mi rendo conto di aver vissuto un momento così bello, nasce l’idea di ripeterlo e mi dico: “Domattina quando Sri Babaji dirà a tutti di andare a lavorare, io me ne starò qui come ho fatto oggi e potrò godere ancora di questi momenti con Lui”.
A questo punto, Baba, in modo umoristico, sobbalza come se si fosse accorto solo ora che sono lì (cosa impossibile dato che è un quarto d’ora che interagisce affettuosamente con me). Come cadesse dalle nuvole, mi chiede: “Che cosa fai qui?” E poi, prima che io riesca ad aprir bocca, aggiunge: “Go work!” Mi rendo conto che ero con Lui solo sino a quando, senza il filtro del pensiero e del desiderio, vivevo in presa diretta quello che accadeva momento per momento. Seguivo il sentire del cuore, la percezione immediata, ma appena è sorto il pensiero, è venuto il desiderio di ripetere l’esperienza, ed è sorto l’io e il domani… e a quel punto invero non ero più lì.
1980
Sono passati oltre 30 anni e ancora ho impressa nella memoria questa scena, apparentemente banale, come un momento di rivelazione e disinganno. Avidità di esperienza spirituale o avidità di denaro appartengono sempre alla dimensione dell’avidità e per comprenderlo davvero a fondo ho avuto bisogno di molte altre lezioni. E’ come se Baba, anche in quest’occasione, mi avesse mostrato nella concretezza del vivere quel che Jiddu Krishnamurti definisce l’osservare senza l’osservatore. Nel sentire immediato, l’attenzione non è prigioniera dei concetti e del tempo psicologico e la vita fluisce spontanea. La mente sgombra funziona al meglio e l’intelligenza discriminante è un potenziale intrinseco che non necessita controllo.
L’eterno presente è ora. La consapevolezza prima dell”’Io Sono” di cui parla Nisargadatta Maharaj è il substrato di ogni fenomeno, è la nostra vera natura. Appena sorge l’ego e con lui il desiderio e il tempo psicologico, si perde la profondità dell’attimo presente e la coscienza del Sé è offuscata.
I Maestri insegnano che riconoscendo i giochi dell’io, useremo il pensiero per i compiti cui è predisposto, e così potremo evitare che ostacoli il vivere e crei inevitabilmente infiniti e inutili conflitti.
“Il vero significato del termine religione è: riunire tutte le proprie energie per comprendere la natura e il movimento del pensiero, riconoscerne i limiti e andare oltre” diceva Krishnamurti.
Se funzioniamo solo a livello dell’emisfero cerebrale sinistro, che controlla la sfera concettuale e il linguaggio, e permettiamo che il pensiero domini la coscienza, rimarremo prigionieri degli inganni mentali. Smascherare l’ego è un compito eroico per il quale ci vuol coraggio e sincera aspirazione. Secondo i saggi questa è la via maestra verso l’Unità, la realizzazione del Sé ed è lo scopo stesso del nostro vivere. Questa modalità dell’essere e del sentire è il Nuovo Piano di Coscienza. Credo che questa sia la Rivoluzione di cui Sri Babaji parlava. Ci diceva anche che avremmo dovuto parteciparvi e che le donne avrebbero avuto questa volta un compito importante.
I problemi sociali, ecologici, economici e politici saranno risolti solo quando l’uomo avrà accesso alla saggezza e, superato il senso dell’io e del mio, potrà ritrovare l’armonia con il Tutto. Ma solo individualmente ognuno può farsi luce interiormente e, distruggendo l’illusione della prigionia, riconoscersi da sempre libero. Come insegnava Ramana Maharshi al fine tutti i sentieri conducono all’Autoindagine ed è nostra responsabilità riconoscere e rifiutare ciò che è falso.
Filippo Falzoni Gallerani, Milano, 25 ottobre 2012