Attraverso l’auto-indagine, superata la falsa immedesimazione con l’ego, emerge lo stato naturale della consapevolezza che non reagisce meccanicamente alle circostanze esterne, ma osserva con chiarezza le risposte del corpo-mente di fronte alle situazioni, senza identificazione con i condizionamenti del pensiero e con l’osservatore stesso.

È la totale negazione del tempo psicologico nella semplicità del sentire immediato e non diviso, in cui non c’è l’illusione di uno sperimentatore separato dall’esperienza. Seppure sia difficile da descrivere questo stato, quando lo si vive, appare come la cosa più semplice che si possa immaginare: un vivere spontaneo e naturale libero dai filtri del pensiero e diretto da un’infallibile intelligenza intuitiva.
La conoscenza, le credenze e tutti i condizionamenti accumulati sono messi da parte nel sentire immediato e la vita scorre senza attrito, in una semplicità dell’essere che non è indifferenza o distrazione, bensì una più lucida presenza. Accade senza sforzo, senza intenzione e si manifesta senza aloni mistici e trascendentali: infatti non possiamo percepire la nostra vera natura perché ciò che percepisce è la nostra vera natura e semplicemente siamo Ciò.

La folgorante ovvietà del mondo indiviso dal Sé che appare quando il dualismo è dissolto, nasce da un processo di disillusione e disinganno piuttosto che, come molti credono, da estasi meditative che sono generalmente stati passeggeri. Quando si osserva la realtà con attenzione passiva, liberi dalla sensazione d’un osservatore separato dal tutto, si è oltre i condizionamenti e i pregiudizi che sono la stoffa dell’io con il suo bagaglio di esperienza e memoria. Senza fare nulla la vita scorre e ci guida nell’azione armonica e congruente.

Tutte le tecniche, le pratiche di meditazione e qualunque metodo saranno efficaci o frustranti secondo la prospettiva con cui ci poniamo nella ricerca e potranno essere una via di trascendenza o una nuova illusione a sostegno dell’ego, a seconda della motivazione di partenza.
Quando mettiamo in pratica ciò che Krishnamurti ci ha così chiaramente trasmesso in tanti anni d’insegnamento, cioè: “l’osservare senza l’osservatore (l’attenzione di una mente sgombra dal pensiero), quando ci rendiamo conto della natura illusoria dell’ego e l’osservatore scompare davvero, riconosciamo la vanità di qualunque sforzo di cambiare le cose.
Quando comprendiamo che è la rete del pensiero che crea la sensazione illusoria di un io separato dal contesto, abbiamo accesso a un nuovo piano di coscienza e ad una presenza mentale priva di resistenza e conflitto con la Realtà, che dissolve l’ingannevole trama dell’ego con le sue speranze e paure. Si giunge così a comprendere che la meditazione è il frutto di questa disillusione e non un mezzo per raggiungerla… prima viene la libertà, poi la meditazione.
Ciò che ci è richiesto è principalmente il coraggio di vedere le cose come sono e di stare con ciò che è. La mappa del pensiero non è il territorio della vita e nel cuore lo specchio della consapevolezza non si muove nel tempo. Il flusso dei pensieri è un rumore di fondo che copre la possibilità di fermarsi ad ascoltare il silenzio e di immergersi nell’Essere.

Molti propongono tecniche di controllo mentale e l’esercizio della volontà per padroneggiare la mente, con la grave lacuna di non aver esaminato chi o che cosa dovrebbe controllarla. Quando l’uomo sbagliato usa i mezzi giusti, i mezzi giusti funzionano nel modo sbagliato, dice un antico proverbio cinese. La pace mentale non è il prodotto dello sforzo e del controllo della mente da parte della mente stessa, che anzi è la causa principale dell’agitazione. Nasce dall’accettazione della realtà, senza vie di fuga, dal riconoscimento che l’ego è un prodotto della memoria e del condizionamento e che possiamo vivere pienamente solo quando non cadiamo in un’illusoria identificazione con esso.Il pensiero funziona senza conflitto quando si prende cura delle cose pratiche del momento, ma diventa il più grande ostacolo quando si sovrappone al nostro vero essere e sentire. Quando riconosciamo che il pensiero applicato all’essere conduce a irrisolvibili paradossi, lo lasciamo ai suoi compiti e possiamo guardare la realtà senza i condizionamenti del passato e liberi dal conflitto con ciò che è qui e ora. A questo punto avviene una vera rinascita. L’attenzione alle sensazioni, che le tecniche di respirazione intensa producono, favorisce l’immediato sentire non diviso, conduce oltre la dimensione concettuale e alla diretta percezione e immedesimazione nel vero Sé. Non solo il respiro è alla base della vita e un respiro armonico è alla base della salute psicofisica (metodi di respirazione possono risolvere ansia e depressione), ma pratiche di respirazione opportunamente applicate sono la via più diretta per la trascendenza dell’io e l’autorealizzazione.

Filippo Falzoni Gallerani

 

La religione ha sempre svolto due funzioni importantissime e molto diverse. Una è: dare un senso al sé individuale. Essa offre miti, storie, leggende, racconti, riti e rievocazioni che, presi insieme, aiutano l’io individuale a dare un senso e a sopportare i colpi e gli strali di una fortuna avversa. Di solito, questa funzione della religione non muta necessariamente il livello di consapevolezza di una persona. Non comporta una trasformazione radicale né una rivoluzionaria liberazione. Piuttosto, consola, fortifica, difende e promuove l’io. Si crede fermamente che, fino a quando l’io individuale crederà nei miti, compirà i rituali, dirà le preghiere o abbraccerà il dogma, sarà “salvato”: adesso nella gloria dei prediletti del Signore o della Dea, o in un aldilà che garantisce meraviglie eterne. Ma la religione ha svolto anche la funzione – di solito per una minoranza molto, molto piccola – di garantire una trasformazione radicale e liberatoria. Tale funzione della religione non fortifica l’ego individuale, ma lo scuote dalle fondamenta. Non offre la consolazione, ma la distruzione; non il consolidamento, ma il vuoto; non il compiacimento, ma l’esplosione; non il conforto, ma la rivoluzione. In breve, non un sostegno alla coscienza tradizionale, ma una trasmutazione e una trasformazione radicali nel più profondo della consapevolezza stessa.

Ken Wilber

Tutti conosciamo quel tremendo senso di solitudine nel quale né i libri né la religione servono più a niente, quando tutto quello che rimane dentro di noi è un vuoto spaventoso. La maggior parte di noi non riesce ad affrontare quel vuoto, quella solitudine; così fuggiamo e andiamo a cercare rifugio nella dipendenza da qualcosa, perché non possiamo sopportare di rimanere soli con noi stessi. Accendiamo la radio, leggiamo, lavoriamo, chiacchieriamo incessantemente occupandoci delle cose più diverse, dell’arte, della cultura. Ma arriva il momento nel quale non possiamo fare a meno di imbatterci in quel senso tremendo di isolamento. Anche se abbiamo un ottimo lavoro in cui tuffarci disperatamente, anche se ci mettiamo a scrivere libri, dentro di noi c’è questo vuoto tremendo. E siccome vogliamo riempirlo, ricorriamo alla dipendenza. Ci rifugiamo nella dipendenza, nei divertimenti, nella religione; facciamo dell’assistenza, ci diamo al bere, alle donne, facciamo di tutto per riempire quel vuoto. Ma se ci rendiamo conto che qualunque cosa facciamo per riempirlo o per nasconderlo non serve assolutamente a nulla; se ce ne rendiamo conto non a parole, vediamo l’assurdità di quello che stiamo facendo… allora ci ritroviamo ad affrontare un fatto. Non è questione di liberarsi dalla dipendenza. Il fatto non è la dipendenza; la dipendenza è solo una reazione a un fatto… Perché allora non affronto il fatto e sto a vedere che cosa succede? A questo punto sorge il problema dell’osservatore e dell’osservato. L’osservatore dice: “Mi sento completamente vuoto; non lo sopporto” e fugge da questa sensazione. L’osservatore dice: “Io sono diverso da questo vuoto”. Mentre, invece, l’osservatore è proprio questo vuoto; non c’è un osservatore che stia vedendo quel vuoto. L’osservatore è l’osservato. Quando questo accade, avviene una rivoluzione tremenda nella mente e nel cuore.

Jiddu Krishnamurti, da “Il Libro della Vita”

“Una cosa sola insegno”, diceva il Buddha, “il dukkha (sofferenza) e la liberazione dal dukkha”.
Secondo Buddha, la causa dell’infelicità è il rifiuto di accettare i “tre segni dell’essere”. Questi sono:
1. Anicca – Impermanenza;
2. Anatta – L’irrealtà dell’io come unità permanente, autonoma e autodiretta;
3. Dukkha – La sofferenza nel senso più lato.
Quando sono pienamente accettati, l’uomo consegue il Nirvana. Cioè: tutti gli uomini soffrono, ma non tutti sono infelici, si è infelici quando non si accetta la sofferenza.

Alan Watts

 Affronta i fatti e vedi che cosa succede
Tutti conosciamo quel tremendo senso di solitudine nel quale né i libri né la religione servono più a niente, quando tutto quello che rimane dentro di noi è un vuoto spaventoso. La maggior parte di noi non riesce ad affrontare quel vuoto, quella solitudine; così fuggiamo e andiamo a cercare rifugio nella dipendenza da qualcosa, perché non possiamo sopportare di rimanere soli con noi stessi. Accendiamo la radio, leggiamo, lavoriamo, chiacchieriamo incessantemente occupandoci delle cose più diverse, dell’arte, della cultura. Ma arriva il momento nel quale non possiamo fare a meno di imbatterci in quel senso tremendo di isolamento. Anche se abbiamo un ottimo lavoro in cui tuffarci disperatamente, anche se ci mettiamo a scrivere libri, dentro di noi c’è questo vuoto tremendo. E siccome vogliamo riempirlo, ricorriamo alla dipendenza. Ci rifugiamo nella dipendenza, nei divertimenti, nella religione; facciamo dell’assistenza, ci diamo al bere, alle donne, facciamo di tutto per riempire quel vuoto. Ma se ci rendiamo conto che qualunque cosa facciamo per riempirlo o per nasconderlo non serve assolutamente a nulla; se ce ne rendiamo conto non a parole, vediamo l’assurdità di quello che stiamo facendo… allora ci ritroviamo ad affrontare un fatto. Non è questione di liberarsi dalla dipendenza. Il fatto non è la dipendenza; la dipendenza è solo una reazione a un fatto… Perché allora non affronto il fatto e sto a vedere che cosa succede? A questo punto sorge il problema dell’osservatore e dell’osservato. L’osservatore dice: “Mi sento completamente vuoto; non lo sopporto” e fugge da questa sensazione.
L’osservatore dice: “Io sono diverso da questo vuoto”. Mentre, invece, l’osservatore è proprio questo vuoto; non c’è un osservatore che stia vedendo quel vuoto. L’osservatore è l’osservato. Quando questo accade, avviene una rivoluzione tremenda nella mente e nel cuore.

Jiddu Krishnamurti

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