da Filippo Falzoni Gallerani | Apr 9, 2016
La Shakti

Parlerò oggi della Shakti o volontà-energia, poiché essa è il fondamento dello Yoga. La Shakti si trova nel settimo chakra il Loto dei mille petali sopra la sommità della testa e opera da tale sede d’azione. Sotto di essa alla sommità del cranio, c’è l’Intelligenza-comprensione (la Buddhi superiore) sotto la quale, c’è la Ragione (Buddhi inferiore); sotto quest’ultima, si trova l’organo di comunicazione con la mente sensoria (Manas). Potremmo chiamare quest’organo la “Comprensione”. La Conoscenza, la Ragione e la Comprensione sono le tre parti del cervello. Queste funzioni si trovano nel corpo sottile, ma sono collegate alle parti corrispondenti del cervello fisico.
La mente sensoria è nel petto, proprio sopra al cuore, ed è l’organo sensoriale con le sue cinque facoltà subordinate. Sotto il Manas, tra il cuore e l’ombelico, si trova la coscienza di base, mente emotiva, mente del cuore (Chitta). Da quel punto fino all’ombelico e oltre c’è la regione del prana psichico i piani sottili dell’essere (Suksma). Tutti si trovano nel corpo sottile (Sukshma deha), ma sono collegati ai rispettivi punti con il corpo materiale (o Sthula deha). Due funzioni sono situate nel corpo materiale stesso: il prana fisico o sistema nervoso nel corpo materiale (lo Annam o materia grossolana). Ora, la Volontà è l’organo dell’Ishwara o Maestro vivente del corpo. Essa opera attraverso tutte queste funzioni: attraverso la Comprensione (Buddhi) per il pensiero e la conoscenza, attraverso la mente sensoria (Manas) per la percezione sensoriale, attraverso la mente emotiva, (Chitta) per l’emozione e attraverso il Prana per la fruizione.
Quando funziona perfettamente operando in ciascun organo secondo le sue capacità, l’azione della Shakti diviene perfetta e infallibile. Ma esistono due cause di debolezza, d’errore e di cedimento. Innanzi tutto, la confusione degli organi. Se il Prana interferisce nella sensazione, nell’emozione e nel pensiero, allora la persona diventa schiava del Prana e dei desideri.
Se la mente emotiva interferisce con la sensazione e il pensiero, allora questi ultimi sono viziati dalle emozioni e dalle loro corrispondenti voglie. Se per esempio l’amore interferisce con la ragione, la persona diventa cieca rispetto all’oggetto del suo amore, non sa distinguere tra il giusto e lo sbagliato, tra kartavya e akartavya, in tutto ciò che riguarda l’oggetto del suo amore. Diventa in misura più o meno grande schiava delle emozioni, dell’amore, dell’ira, dell’odio della pietà, della vendetta ecc. Nello stesso modo se la mente sensoria interferisce con la ragione, la persona prende le proprie sensazioni per idee giuste o veri argomenti. Giudica basandosi su ciò che vede e sente in luogo di giudicare ciò che vede o sente. Se, ancora, la ragione, l’immaginazione, la memoria interferiscono con la coscienza, la persona è tagliata fuori da ogni conoscenza superiore, vaga in tondo nel circolo interminabile delle probabilità e possibilità. Se, infine, persino la ragione interferisce con la Volontà, allora la persona resta circoscritta al potere della sua limitata conoscenza, invece di avvicinarsi sempre più all’Onnipotenza. In breve se una macchina o strumento è impiegata per un lavoro cui non è adatta, per cui non è stata creata o adattata fin dall’inizio, o non sarà per nulla in grado di fare il suo lavoro, oppure lo farà male in quanto si viene a creare dharma-sankara (confusione delle funzioni).
Quello che ora ho descritto è lo stato normale degli uomini prima che conquistino la Conoscenza. Tutto è confusione delle funzioni: cattiva amministrazione e governo incompetente o ignorante (Dharma-sankara). La Volontà, il vero ministro, è ridotta a un burattino dei funzionari di più basso rango che lavorano tutti per i loro scopi egoistici, interferendo l’uno con l’altro e ostacolandosi l’un l’altro o favorendosi l’un l’altro in modo disonesto, per il loro tornaconto e a detrimento dell’Ishwara loro signore.
Egli non è più l’Ishwara, ma è anisha, (non padrone, soggetto alla natura), diventa la marionetta e lo zimbello dei suoi servitori. Come mai lo permette? A causa della non-conoscenza (Ajnanam). Non sa, non si rende conto di quello che i ministri e i funzionari e il loro innumerevole seguito di portaborse stanno facendo di lui. Che cosa è la non-conoscenza, Ajnanam? E’ l’incapacità di riconoscere la propria vera natura, posizione e autorità.
Egli ha cominciato con il provare un profondo interesse per una piccola provincia del suo regno, il corpo. Ha pensato, “Questo è il mio regno.” E’ diventato lo strumento delle proprie funzioni fisiche. Così anche con l’essere nervoso, sensoriale, emotivo e mentale: egli s’identifica con ciascuno di essi. Dimentica d’essere diverso da loro, e molto più grande e potente. Ciò che deve fare è riprendere in mano le redini del potere, ricordarsi di essere l’Ishwara, il re, il signore e Dio in persona.
Basandosi su questa presa di coscienza deve ricordarsi d’essere onnipotente. Ha al suo fianco un grande ministro la Volontà. Che egli sostenga e diriga la Volontà e la Volontà porterà l’ordine nel governo e costringerà i funzionari a fare ciascuno il proprio dovere in tutta obbedienza e perfezione. Naturalmente, questo non accadrà subito. Prenderà tempo. I funzionari sono così abituati a lavorare nella confusione e nel malgoverno che all’inizio saranno recalcitranti a lavorare nel modo appropriato; e, d’altra parte, anche se volessero farlo lo troverebbero difficile. Non saprebbero nemmeno da dove cominciare. Per esempio, qualora incominciate a usare la vostra volontà, che cosa è probabile che accada? All’inizio cercherete di usarla attraverso il Prana, il desiderio, la vaghezza, la speranza; oppure l’userete attraverso il Chitta, con emotività, eccitazione, aspettativa, o attraverso il Manas usando combattimento con sforzo (Cheshta), come se lottaste fisicamente contro la cosa che volete controllare; oppure userete la ragione cercando di dominare il soggetto del vostro interesse con il pensiero, pensando “così sia”, “che questo accada”, ecc. Tutti sono metodi che lo Yoghi usa per ritrovare il potere della Volontà: lo Hata-Yoghi usa il Prana e il corpo, il Raja-Yoghi usa il cuore, il Manas e la Buddhi. Ma il metodo migliore sfugge a entrambi. Anche il secondo metodo è solo un ripiego che necessariamente comporta lotta, sconfitta e frequente disappunto. La Volontà è perfetta nella propria azione solo quando opera in modo indipendente da tutte queste cose, diretta verso il suo oggetto dal Sahasradala, senza sforzo, senza emozione e ansietà, senza desiderio. Obbedisce sempre all’Ishwara, ma agisce in sé stessa e attraverso sé stessa. Usa le altre cose, non dev’essere usata da queste. Ogni funzione per sé e la Volontà è la sua propria funzione.
Usate la Buddhi per la conoscenza, non per il comando; usate il Manas per la percezione sensoriale, non per il comando né per la conoscenza; usate il cuore per le emozioni, non per la percezione sensoria, la conoscenza o il comando; usate il Prana per la fruizione, e per nessun’altra cosa. Usate il corpo per il movimento e l’azione, non come una cosa capace di limitare o determinare la conoscenza, l’emozione, la percezione dei sensi, il potere di godimento. Dovete quindi mantenervi distaccati e comandare tutte queste cose come entità da voi separate. Esse sono semplici yantra, meccanismi; il Purusha (lo Spirito) è lo Yantri o Signore del meccanismo e l’elettricità o potere motore è il Volere. Questa è la vera conoscenza. Vi dirò in seguito come farne uso. E’ questione di pratica, non di semplice insegnamento. Colui che ha anche solo un poco di dhairyam, la calma costanza, usando il Volere può avvicinarsi per gradi alla padronanza del meccanismo. Ma prima egli deve sapere; deve conoscere la macchina, il potere motore, deve conoscere sé stesso. Non è necessario che la conoscenza sia perfetta per cominciare, ma dev’esserci almeno una conoscenza elementare, come quella che sto cercando di darvi. Vi sto spiegando le diverse parti della macchina, la loro natura e le loro funzioni, la natura del Volere e la natura dell’Ishwara.
da Filippo Falzoni Gallerani | Apr 9, 2014

Prova ad ascoltarti, proprio ora, ascolta la sensazione d’essere te stesso, e nota che questo “te” non è altro che un oggetto nella consapevolezza. Non è neppure un vero soggetto, è un altro oggetto nella consapevolezza. Questo piccolo “io” con i suoi pensieri sfila in parata davanti a te proprio come le nuvole attraverso il cielo. Che cosa è allora il vero “te” che sta osservando tutto questo? Chi sta osservando il tuo piccolo io? Chi o che cosa è? Quando ti spingi indietro verso questa pura “Soggettività”, questo puro osservatore, non lo potrai vedere come un oggetto, perché non è un oggetto. Non è nulla che tu possa vedere. Piuttosto se rimani calmo in questa consapevolezza osservante, testimone della mente, del corpo e della natura che fluiscono davanti a te, potresti incominciare a notare che quello che provi ora è semplicemente una sensazione di libertà, una sensazione di distensione, di non essere legato a nessuno degli oggetti che stai tranquillamente osservando. Non guardi nulla, semplicemente riposi in questa vasta libertà. Di fronte a te le nuvole passano in parata, i pensieri passano in parata, le sensazioni fisiche passano in parata, e tu non sei nessuna di queste cose. Tu sei il vasto espandersi della libertà attraverso la quale gli oggetti vanno e vengono. Tu sei un’apertura, un vuoto, un vasto spazio nel quale gli oggetti vanno e vengono. Le nuvole vanno e vengono, le sensazioni vanno e vengono, i pensieri vanno e vengono, e tu non sei loro, tu sei il vasto senso di libertà, quel vasto “Vuoto”, quella vasta apertura in cui sorge la manifestazione, resta per un po’, poi se ne va.
Incominci a notare che “l’Osservatore” in te che è testimone di tutti gli oggetti, è in se stesso solo un vasto “vuoto”. Non è una cosa, un oggetto, non è qualcosa che puoi vedere o afferrare. E’ piuttosto una sensazione d’ampia libertà, non essendo nulla che possa entrare nel mondo obiettivo degli oggetti, della tensione e dello sforzo… questo puro Testimone è un puro Vuoto nel quale tutti questi soggetti e oggetti individuali si manifestano, stanno per un po’ e poi passano. Questo puro Testimone non è qualcosa che possa essere visto… oggetti e soggetti possono indubbiamente essere osservati, ma l’Osservatore non può essere osservato. L’osservatore è assolutamente indipendente da loro, un’assoluta Libertà che non può essere catturata dal loro trambusto, dai loro desideri, dalle paure e dalle speranze… di certo abbiamo la tendenza a identificarci con quei piccoli soggetti e oggetti ed è esattamente questo il problema! Noi identifichiamo l’Osservatore con fragili piccole cose che possono essere viste. Questo è l’inizio del coinvolgimento e della schiavitù. Siamo in realtà un’ampia espansione di spazio libero, ma c’identifichiamo con oggetti e soggetti limitati e non liberi, che sono tutti osservabili, tutti vittime della sofferenza, e nessuno dei quali è ciò che noi siamo. Patanjali dette la classica descrizione della schiavitù come “l’identificazione dell’Osservatore con gli strumenti dell’osservazione” con i piccoli soggetti e oggetti, invece che con l’apertura, la vastità, il Vuoto in cui tutto sorge e si manifesta… così quando risiedi nel puro Testimone sei invisibile. Non puoi essere visto. Nessuna parte di te può essere vista perché tu non sei un oggetto. Può essere visto il tuo corpo, può essere vista la tua mente, la natura può essere vista, ma tu non sei nessuno di questi oggetti. Sei la pura sorgente della consapevolezza e non qualcosa che si manifesta in tale consapevolezza. Così tu sei consapevolezza! Le cose sorgono nella consapevolezza, vanno e vengono… sorgono nello spazio si muovono nel tempo. Il puro Testimone non va e non viene. Non sorge nello spazio e non si muove nel tempo. E’ sempre presente e immutabile. Non è un oggetto là fuori e quindi non entra mai nella corrente del tempo, dello spazio, della nascita e della morte…
Mia libera traduzione da: Brief History of Everything, edizioni Shambhala USA 1996 di Ken Wilber tratto dal l’Io Trasparente Volume due.