da Filippo Falzoni Gallerani | Apr 9, 2016
Krishnamurti, Saanen, 24 luglio 1975

Perché è stata costruita la struttura chiamata “me”? Perché il pensiero ha fatto questo? È realmente una domanda di straordinaria importanza, perché si tratta della nostra vita. Dobbiamo affrontare tutto ciò con enorme serietà. Perché il pensiero ha generato il “me”? Sia che vediate questo fatto, che il pensiero ha costruito il “me”, sia che diciate che il “me” è qualcosa di divino, qualcosa che esisteva prima ancora dei tempi, (cosa che, infatti, molti dicono), dobbiamo procedere e indagare.
Per quale motivo il pensiero ha creato il “me”? Perché? Non lo so, e voglio scoprirlo. Per quale motivo credete che il pensiero abbia creato il “me”? Ci sono due punti da prendere in considerazione: uno è che il pensiero richiede stabilità; solo quando c’è sicurezza il cervello è soddisfatto. Ecco, quando c’è sicurezza il cervello opera meravigliosamente, che lo faccia in modo ragionevole o nevrotico. Quindi, una delle ragioni è che il pensiero, essendo esso stesso insicuro, frammentato, frantumato, ha generato il “me” come qualcosa di permanente; il “me” che è poi divenuto separato dal pensiero, e quindi da questo percepito come permanente.
Questo permanere è definito attraverso l’attaccamento: la mia casa, il mio carattere, i miei desideri, le mie volontà, tutto ciò dà al “me” un completo senso di sicurezza e di continuità. Non è forse così? L’altro punto è dato dall’idea che il “me” sia qualcosa che esiste già prima del pensiero: è così? E chi può dire che esistesse prima ancora del pensiero? Se fate questa affermazione (come molti fanno), qual è la sua motivazione?
Su quale base asserite ciò? Si tratta di un’affermazione della tradizione, una convinzione, una credenza, un non voler riconoscere che il “me” è un prodotto del pensiero, e non qualcosa di meravigliosamente divino, che è ancora una volta una proiezione del pensiero che il “me” sia permanente? Avendo osservato tutto ciò, si abbandona l’idea che il “me” sia eterno, eternamente divino, o come lo si voglia definire, che è troppo assurda. Si può vedere con chiarezza che il pensiero ha creato il “me”, che il “me” è diventato indipendente, che ha acquisito conoscenza, il “me” che è l’osservatore, il “me” che è il passato.
Il “me” che è il passato transita attraverso il presente e si modifica come futuro: si tratta ancora del “me” creato dal pensiero, e quel “me” è diventato indipendente dal pensiero stesso. Giusto? Vogliamo procedere da qui?
Per favore, non accettate questa descrizione, le parole, ma osservate la verità di questa cosa. Nello stesso modo in cui vedete la realtà di questo microfono, così capite la realtà di questa cosa. Quel “me” ha un nome e una forma. Quel “me” possiede un’etichetta, si chiama K o John, e ha una forma, si identifica con il corpo, il volto, l’intera struttura. Quindi esiste l’identificazione del “me” con un nome e una forma, che sono la struttura, e con gli ideali che vuole perseguire, o il desiderio di cambiare quel “me” in un’altra forma di “me”, con un altro nome. Questo è il “me”. Questo “me” è il prodotto del tempo e, conseguentemente, del pensiero. Questo “me” è la parola; togliete la parola: che cos’è il “me”? Allora, questo “me” soffre, il “me”, come “te”, soffre. Perciò il “me” che soffre è “te”.
Il “me” nella sua grande ansia è la grande ansia del “te”: per questo motivo tu e io siamo comuni. Questa è l’essenza che è alla base: malgrado tu sia più alto, più basso, più intelligente, di diverso temperamento, con un carattere diverso, tutto ciò è dato dal periferico movimento della cultura, ma in profondità, alla radice, siamo uguali. Quindi il “me” si muove in correnti di avidità, in percorsi egoistici, nei sentieri della paura, dell’ansia e via dicendo, e questo accade, esattamente nello stesso modo, per “te”.
Ecco, è così: tu sei egoista e un altro è egoista, tu sei spaventato e un altro lo è, essenzialmente tu soffri, provi dolore, piangi, sei avido, invidioso: è ciò che tutti gli esseri umani hanno in comune. Questo, adesso, è il flusso in cui viviamo, questo è il flusso in cui tutti noi siamo catturati. In altre parole, noi tutti viviamo in quella corrente di egoismo, e in questa parola sono racchiuse tutte le descrizioni del “me” che abbiamo appena fatto.
Quando moriamo quell’organismo muore, ma quella corrente dell’ego continua. Fatela questa considerazione! Ho vissuto una vita estremamente egoistica, radicata in attività ego-centrate: i miei desideri, l’importanza dei miei desideri, le ambizioni, la brama, l’invidia, l’accumulo di proprietà, l’accumulo di conoscenza, di tutte le cose che ho raccolto (tutto quello che ho definito egoistico).
Questo è ciò in cui vivo, questo è il “me” e questo siete anche voi, e nei rapporti è esattamente la stessa cosa. Così, nel nostro vivere, noi tutti fluiamo in questa corrente di egoismo. Questa è la realtà, non la mia opinione o una mia conclusione. Se osservaste, capireste ciò di cui sto parlando. Andate in America e vedrete lo stesso fenomeno, così in India, come in Europa, magari modificato dai diversi contesti, da pressioni diverse, ma nell’essenza vedrete la stessa cosa, lo stesso flusso di egoismo; e quando il corpo muore, quel movimento continua.
Quindi, questo vasto flusso egoistico, se posso riassumere in questa espressione tutte le cose che esso implica, è il movimento del tempo; e quando il corpo muore, questo movimento continua. Viviamo quotidianamente in quella corrente fino a quando moriamo; noi moriamo e quel flusso continua. Quel flusso è il tempo. Quello è il movimento del pensiero, che ha creato sofferenza, che ha creato il “me”, dal quale il “me” ha definito se stesso come essere indipendente, separandosi da te, ma quel “me”, quando soffre, è la stessa cosa che te. Quindi il “me” è la parola, il “me” è la struttura immaginata dal pensiero, in se stessa non ha realtà, è ciò che il pensiero ha generato, perché il pensiero ha bisogno di sicurezza, di certezza, e ha investito nel “me” tutte le sue certezze, In tutto ciò è implicita la sofferenza; mentre viviamo, siamo trasportati da questa corrente, dal flusso dell’egoismo e quando moriamo, quel movimento continua. È possibile che quel flusso si arresti? Muoio fisicamente, questo è ovvio, mia moglie può piangere, ma il fatto è che io muoio, il corpo muore, mentre questo movimento del tempo, di cui facciamo tutti parte, continua. Ecco perché il mondo è me, e io sono il mondo. Ci sarà mai una fine a quel flusso? Esiste la manifestazione di qualcosa che sia completamente diverso da quel flusso?In altre parole, può mai l’egoismo, con tutte le sue sottigliezze, giungere a una fine completa? Quella fine è la fine del tempo e li si manifesta una dimensione totalmente diversa, che non è affatto centrata nell’ego.
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“Soltanto quando la mente trascende il tempo, la verità cessa di essere un’astrazione. Allora l’estasi non è un’idea derivata dal piacere, ma una realtà di fatto e non di parole. Il liberarsi della mente dal tempo è il silenzio della verità, e il vedere ciò è il fare; pertanto non c’è divisione tra il vedere ed il fare. Nell’intervallo fra il vedere e il fare nasce il conflitto, l’infelicità, la confusione. Ciò che non ha tempo è l’eterno.”
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“La meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e di gaudi. Una piccola mente squallida ed immatura può avere, e ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento. Ciò non toglie che questa immaturità sia talvolta capace di riportare successi nel mondo e ottenere fama e notorietà. I guru che essa segue sono della stessa qualità e dello stesso stato. La meditazione non appartiene a gente come questa. Non è per il “cercatore” perché costui trova ciò che vuole, ed il confronto che ne deriva è la morale delle sue paure. Per quanto faccia, l’uomo di credenza o di dogma, non può entrare nel regno della meditazione. Per meditare è necessaria la libertà. Non viene prima la meditazione e poi la libertà; la libertà – negazione totale della morale e dei valori sociali – è il primo movimento della meditazione. Non è una faccenda pubblica dove molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa intera struttura del pensiero è la realtà della meditazione”.
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Un uomo religioso:
Dunque un uomo religioso non è quello che indossa una tonaca, o un perizoma, o che consuma un solo pasto al giorno, o che ha fatto numerosi voti di essere questo e non essere quello, bensì quello che è semplice interiormente, che non tende a diventare alcunché. Una mente simile è capace di una ricettività straordinaria, perché in essa non ci sono barriere, ne paure, ne movimento verso qualcosa; è dunque capace di ricevere la grazia, Dio, la Verità, o quel che vi pare. Una mente che persegue la realtà, invece, non è una mente semplice. Una mente che cerca, si affanna, brancola in preda all’agitazione, non è una mente semplice. Una mente che si conforma a un qualsiasi modello di autorità, interna o esterna, non può essere sensibile. E soltanto quando una mente è veramente sensibile, vigile, consapevole di tutte le sue vicende, reazioni, pensieri, quando non tende più a diventare qualcosa, quando non plasma più se stessa per diventare qualcosa, solo allora è capace di accogliere ciò che è la verità. Solo allora può esserci felicità, poiché la felicità non è un fine: è il risultato della realtà. Quando la mente e il cuore saranno divenuti semplici e dunque sensibili (ma non attraverso a forme di coazione, di autorità, d’imposizione), allora vedremo che i nostri problemi possono essere affrontati con molta semplicità: per quanto complessi tali problemi siano, saremo in grado di impostarli in maniera nuova e vederli in un ottica differente. Ecco di cosa c’è bisogno oggi: di gente che sia capace di affrontare la confusione, l’agitazione, la conflittualità della realtà esterna in maniera nuova, creativa e semplice, non con teorie ne con formule, di sinistra o di destra che siano. Ma non si può affrontare tutto ciò in maniera nuova se non si è semplici.
I problemi possono essere risolti soltanto se li s’imposta in questo modo. Una nuova impostazione non è possibile se ragioniamo nei termini di precisi schemi di pensiero, religioso, politico o di altra natura. Dobbiamo liberarci di tutte queste cose per essere semplici. Ecco perché è così importante essere consapevoli, avere la capacità di comprendere il processo del proprio pensiero, avere una percezione totale di sè; da ciò scaturisce una semplicità, un’umiltà che non è virtù o esercizio. L’umiltà che si conquista attraverso uno sforzo cessa di essere umiltà. Una mente che si fa umile non è più una mente umile.
Solo quando si è umili, ma non di un’umiltà coltivata, solo allora si è in grado di affrontare i tanti problemi pressanti della vita, perché non ci si ritiene importanti, non si guarda alle cose attraverso il filtro delle proprie urgenze e del proprio senso d’importanza; si considera invece il problema in sè e così si è in grado di risolverlo…
Jiddu Krishnamurti
da Filippo Falzoni Gallerani | Apr 9, 2016
La Shakti

Parlerò oggi della Shakti o volontà-energia, poiché essa è il fondamento dello Yoga. La Shakti si trova nel settimo chakra il Loto dei mille petali sopra la sommità della testa e opera da tale sede d’azione. Sotto di essa alla sommità del cranio, c’è l’Intelligenza-comprensione (la Buddhi superiore) sotto la quale, c’è la Ragione (Buddhi inferiore); sotto quest’ultima, si trova l’organo di comunicazione con la mente sensoria (Manas). Potremmo chiamare quest’organo la “Comprensione”. La Conoscenza, la Ragione e la Comprensione sono le tre parti del cervello. Queste funzioni si trovano nel corpo sottile, ma sono collegate alle parti corrispondenti del cervello fisico.
La mente sensoria è nel petto, proprio sopra al cuore, ed è l’organo sensoriale con le sue cinque facoltà subordinate. Sotto il Manas, tra il cuore e l’ombelico, si trova la coscienza di base, mente emotiva, mente del cuore (Chitta). Da quel punto fino all’ombelico e oltre c’è la regione del prana psichico i piani sottili dell’essere (Suksma). Tutti si trovano nel corpo sottile (Sukshma deha), ma sono collegati ai rispettivi punti con il corpo materiale (o Sthula deha). Due funzioni sono situate nel corpo materiale stesso: il prana fisico o sistema nervoso nel corpo materiale (lo Annam o materia grossolana). Ora, la Volontà è l’organo dell’Ishwara o Maestro vivente del corpo. Essa opera attraverso tutte queste funzioni: attraverso la Comprensione (Buddhi) per il pensiero e la conoscenza, attraverso la mente sensoria (Manas) per la percezione sensoriale, attraverso la mente emotiva, (Chitta) per l’emozione e attraverso il Prana per la fruizione.
Quando funziona perfettamente operando in ciascun organo secondo le sue capacità, l’azione della Shakti diviene perfetta e infallibile. Ma esistono due cause di debolezza, d’errore e di cedimento. Innanzi tutto, la confusione degli organi. Se il Prana interferisce nella sensazione, nell’emozione e nel pensiero, allora la persona diventa schiava del Prana e dei desideri.
Se la mente emotiva interferisce con la sensazione e il pensiero, allora questi ultimi sono viziati dalle emozioni e dalle loro corrispondenti voglie. Se per esempio l’amore interferisce con la ragione, la persona diventa cieca rispetto all’oggetto del suo amore, non sa distinguere tra il giusto e lo sbagliato, tra kartavya e akartavya, in tutto ciò che riguarda l’oggetto del suo amore. Diventa in misura più o meno grande schiava delle emozioni, dell’amore, dell’ira, dell’odio della pietà, della vendetta ecc. Nello stesso modo se la mente sensoria interferisce con la ragione, la persona prende le proprie sensazioni per idee giuste o veri argomenti. Giudica basandosi su ciò che vede e sente in luogo di giudicare ciò che vede o sente. Se, ancora, la ragione, l’immaginazione, la memoria interferiscono con la coscienza, la persona è tagliata fuori da ogni conoscenza superiore, vaga in tondo nel circolo interminabile delle probabilità e possibilità. Se, infine, persino la ragione interferisce con la Volontà, allora la persona resta circoscritta al potere della sua limitata conoscenza, invece di avvicinarsi sempre più all’Onnipotenza. In breve se una macchina o strumento è impiegata per un lavoro cui non è adatta, per cui non è stata creata o adattata fin dall’inizio, o non sarà per nulla in grado di fare il suo lavoro, oppure lo farà male in quanto si viene a creare dharma-sankara (confusione delle funzioni).
Quello che ora ho descritto è lo stato normale degli uomini prima che conquistino la Conoscenza. Tutto è confusione delle funzioni: cattiva amministrazione e governo incompetente o ignorante (Dharma-sankara). La Volontà, il vero ministro, è ridotta a un burattino dei funzionari di più basso rango che lavorano tutti per i loro scopi egoistici, interferendo l’uno con l’altro e ostacolandosi l’un l’altro o favorendosi l’un l’altro in modo disonesto, per il loro tornaconto e a detrimento dell’Ishwara loro signore.
Egli non è più l’Ishwara, ma è anisha, (non padrone, soggetto alla natura), diventa la marionetta e lo zimbello dei suoi servitori. Come mai lo permette? A causa della non-conoscenza (Ajnanam). Non sa, non si rende conto di quello che i ministri e i funzionari e il loro innumerevole seguito di portaborse stanno facendo di lui. Che cosa è la non-conoscenza, Ajnanam? E’ l’incapacità di riconoscere la propria vera natura, posizione e autorità.
Egli ha cominciato con il provare un profondo interesse per una piccola provincia del suo regno, il corpo. Ha pensato, “Questo è il mio regno.” E’ diventato lo strumento delle proprie funzioni fisiche. Così anche con l’essere nervoso, sensoriale, emotivo e mentale: egli s’identifica con ciascuno di essi. Dimentica d’essere diverso da loro, e molto più grande e potente. Ciò che deve fare è riprendere in mano le redini del potere, ricordarsi di essere l’Ishwara, il re, il signore e Dio in persona.
Basandosi su questa presa di coscienza deve ricordarsi d’essere onnipotente. Ha al suo fianco un grande ministro la Volontà. Che egli sostenga e diriga la Volontà e la Volontà porterà l’ordine nel governo e costringerà i funzionari a fare ciascuno il proprio dovere in tutta obbedienza e perfezione. Naturalmente, questo non accadrà subito. Prenderà tempo. I funzionari sono così abituati a lavorare nella confusione e nel malgoverno che all’inizio saranno recalcitranti a lavorare nel modo appropriato; e, d’altra parte, anche se volessero farlo lo troverebbero difficile. Non saprebbero nemmeno da dove cominciare. Per esempio, qualora incominciate a usare la vostra volontà, che cosa è probabile che accada? All’inizio cercherete di usarla attraverso il Prana, il desiderio, la vaghezza, la speranza; oppure l’userete attraverso il Chitta, con emotività, eccitazione, aspettativa, o attraverso il Manas usando combattimento con sforzo (Cheshta), come se lottaste fisicamente contro la cosa che volete controllare; oppure userete la ragione cercando di dominare il soggetto del vostro interesse con il pensiero, pensando “così sia”, “che questo accada”, ecc. Tutti sono metodi che lo Yoghi usa per ritrovare il potere della Volontà: lo Hata-Yoghi usa il Prana e il corpo, il Raja-Yoghi usa il cuore, il Manas e la Buddhi. Ma il metodo migliore sfugge a entrambi. Anche il secondo metodo è solo un ripiego che necessariamente comporta lotta, sconfitta e frequente disappunto. La Volontà è perfetta nella propria azione solo quando opera in modo indipendente da tutte queste cose, diretta verso il suo oggetto dal Sahasradala, senza sforzo, senza emozione e ansietà, senza desiderio. Obbedisce sempre all’Ishwara, ma agisce in sé stessa e attraverso sé stessa. Usa le altre cose, non dev’essere usata da queste. Ogni funzione per sé e la Volontà è la sua propria funzione.
Usate la Buddhi per la conoscenza, non per il comando; usate il Manas per la percezione sensoriale, non per il comando né per la conoscenza; usate il cuore per le emozioni, non per la percezione sensoria, la conoscenza o il comando; usate il Prana per la fruizione, e per nessun’altra cosa. Usate il corpo per il movimento e l’azione, non come una cosa capace di limitare o determinare la conoscenza, l’emozione, la percezione dei sensi, il potere di godimento. Dovete quindi mantenervi distaccati e comandare tutte queste cose come entità da voi separate. Esse sono semplici yantra, meccanismi; il Purusha (lo Spirito) è lo Yantri o Signore del meccanismo e l’elettricità o potere motore è il Volere. Questa è la vera conoscenza. Vi dirò in seguito come farne uso. E’ questione di pratica, non di semplice insegnamento. Colui che ha anche solo un poco di dhairyam, la calma costanza, usando il Volere può avvicinarsi per gradi alla padronanza del meccanismo. Ma prima egli deve sapere; deve conoscere la macchina, il potere motore, deve conoscere sé stesso. Non è necessario che la conoscenza sia perfetta per cominciare, ma dev’esserci almeno una conoscenza elementare, come quella che sto cercando di darvi. Vi sto spiegando le diverse parti della macchina, la loro natura e le loro funzioni, la natura del Volere e la natura dell’Ishwara.
da Filippo Falzoni Gallerani | Dic 22, 2015
Questo brano riassume gli insegnamenti di quello che è riconosciuto tra i più grandi mistici e saggi dell’India moderna.
Lo pubblico perché il Rebirthing Transpersonale che è un un metodo esperienziale molto semplice si rivela efficace non solo ridare vitalità, energia e salute ma che spesso conduce alla scoperta del Maestro interiore che è il nostro vero Sé.
Bhagavan Sri Ramana Maharshi e il Non-Dualismo
Ramana Maharshi nacque il 30 dicembre 1879 in un villaggio non lontano da Madurai nel Tamil Nadu. Il suo risveglio spirituale fu spontaneo e tutta la sua vita fu espressione della saggezza di chi avendo trasceso l’ego e colta l’illuminazione incarna la pienezza del Sé Transpersonale.
Da ragazzo all’età di sedici anni il giovane Ramana ebbe la sensazione di stare per morire. E’ probabile che sia stato quello che oggi chiamiamo un attacco di panico, ed è interessante notare che studi recenti dimostrano che chi è predisposto al panico è predisposto all’estasi[1]. In quel momento invece di opporsi a questa sensazione e tentare di sfuggirla, la penetrò completamente, si arrese al fatto di star per morire e cercò di osservare e comprendere in che cosa consisteva la morte. In quel momento pensò, se muore il corpo, resta la mente? Se la mente e la memoria si estinguono con il corpo, che cosa resta?
Ebbe allora la chiara percezione di essere la vita stessa, oltre l’io, la mente e il corpo. Percepì con chiarezza che il pensiero “Io Sono”, che precede la consapevolezza del mondo, emerge dall’Assoluto e riconobbe che la natura profonda di ogni essere è quest’Assoluto.
Ebbe esperienza diretta di tutto ciò che i testi dell’Advaita, che lui avrebbe letto e commentato soltanto in seguito, descrivono. Riemerse da quest’esperienza senza mai perdere, per il resto della sua vita esemplare, la Coscienza del Sé con cui era completamente identificato. Assorto nella beatitudine del Sé non ebbe più interesse per il mondo esteriore.
Lasciò la casa e si ritirò a vita contemplativa in una grotta sul monte Arunachala, nei pressi di Tiruvannamalai, una montagna sacra sin dall’antichità alla quale nei Veda è dedicata una storia famosa dove visse in stato di samadhirimanendo assorto in silenzio per lunghissimi periodi.
Vicino a questo sacro monte, che lo aveva attratto con una forza ignota, avrebbe passato il resto della sua vita.
Della vita di Ramana si potrebbero raccontare centinaia di episodi straordinari e la sua vita è un esempio di saggezza, umiltà e amore incondizionato. La sua sola presenza toccava il cuore di tutti, grandi maestri vennero a inchinarsi ai suoi piedi riconoscendo in Lui un’incarnazione di saggezza. Senza aver studiato il Sanscrito e senza aver ricevuto alcuna iniziazione realizzò l’essenza degli insegnamenti spirituali e continuò la catena ininterrotta dei maestri Non-dualisti, come dopo di Lui Nisargadatta Maharaj, il quale dopo il risveglio lasciò la vita ascetica, per incarnare il Sé mantenendo una vita“normale” nella quotidianità. (Nisargadatta Maharaj sarà l’argomento del mio prossimo articolo).
Sri Ramana lasciava serenamente il corpo il 14 aprile 1950. Quel giorno il fotografo francese Henri Cartier-Bresson che risiedeva all’ashram, fu testimone di un fenomeno emblematico. Alla sera una stella con una scia simile quella di una cometa illuminò il cielo, lo attraversò lentamente sino alla cima del monte Arunachala, dove parve fermarsi un po’ per poi scomparire dietro di esso.
Henri controllò l’orologio ed erano le 20,47. Tornato all’ashram seppe che esattamente alle 20,47 Sri Ramana Maharshi aveva smesso di respirare.
Quando una grande anima lascia il corpo accadono spesso fatti di questo genere, come gli arcobaleni appaiono a ciel sereno alla scomparsa di un grande Lama[2].
Non mi dilungo sui fatti storici della sua vita, che chiunque sia interessato può leggere in dettaglio su questo link:
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/mancusoramana.pdf.
Mentre scrivo queste righe ricordo anche che Sri Babaji in mia presenza una volta disse che delle migliaia di maestri che l’India aveva generato, solo pochi erano veri maestri e poi aggiunse che Ramana Maharshi era uno dei più grandi, un vero Rishi, un portatore della saggezza perenne.
Il Non Dualismo
Gli insegnamenti di Sri Ramana Maharshi, (allego sotto alcune pagine di Sue parole) sono una purissima espressione della filosofia Advaita. Advaita significa “non dualità”, “non dualismo” e per essere più precisi: “al di là di dualismo e non dualismo”.
Naturalmente in queste poche righe non ho intenzione di addentrarmi che molto superficialmente nella vastissima e poliedrica filosofia Indiana.
Tanto per dare una vaga idea a chi non conosce l’argomento, ad esempio, il Dio Shiva, nel Vedanta è identificato come la Coscienza, è lo stesso Sé .
Perciò il Sé (Dio) non potrà mai essere conosciuto come “oggetto”: non può esser visto perché è ciò che vede, non può essere udito perché è ciò che ode, non può essere pensato perché è ciò che pensa. E’ oltre lo spazio e il tempo e contiene in sé tutta la manifestazione.
Non ha forma, ma è la base di ogni forma. E’ la suprema identità. E’ sempre soggetto e mai oggetto. E’ l’Uno senza un secondo.
Può essere conosciuto solo per immedesimazione. Nel cuore la coscienza immersa nel Sé partecipa all’eterno.
Quando si supera l’identificazione con il corpo e la mente percepiamo di essere Spirito, l’Uno atemporale che tutto contiene, là dove le parole, il pensiero e la fantasia non possono giungere, nel mondo dell’inesprimibile quiddità dell’essere.
I primi versi dell’Avadhoota Gita, un testo delle Upanishad che come la Ribhu Gita Ramana Maharshi occasionalmente citava, così recitano:
1 Sri Avadhoota Dattatreya disse: è solo per grazia del Signore se un’anima o due aspirano all’unione con Lui, sfuggendo a seri pericoli.
2 Come posso prostrarmi di fronte a quel Sé senza forma, il solo immutabile bene, che riempie di sé ogni cosa, attraverso la sua stessa natura e potere?
3 Ogni cosa è fatta di terra, acqua, luce, aria, spazio, come le onde di un miraggio, non ha sostanza; ma io sono senza errore, uno senza un secondo; a chi allora dovrei prostrarmi?
4 Tutto non è altro che il Sé. Non esiste vicinanza né distanza, come posso dire una cosa senza negarne un’altra?
5 Questa è l’unica sostanza degli insegnamenti Vedici, l’essenza di tutto il conoscere del sentire. Per mia natura io sono il Sé senza forma che vive in ogni cosa.
Il primo capitolo di questa Gita si conclude con questi versi:
74 Nel Sé non c’è presagio, non c’è talismano, nulla da imparare, non c’è prosodia da studiare. Avadhoota Dattatreya, che nuota nell’oceano della non differenziazione, canta nella delizia di un cuore puro la grandezza della verità.
76 Ogni cosa né è, né non è, ogni cosa non è né vera né falsa. Parlo del Sé come lo trovo in me stesso con piena conoscenza della materia.
Dalla prospettiva Advaita le mitologie, gli dei e i rituali sono trascesi e integrati in una coerente visione d’insieme. Gli Dei sono considerati archetipi utili alla mente per dare forma alle energie che ci agiscono, e i racconti mitologici sono interpretati come metafore che indicano le dinamiche della psiche umana nella sua lotta per il risveglio e la liberazione.
Solo l’ingenuo prende alla lettera le scritture che mal interpretate danno adito alla superstizione e a pericolose illusioni.
Comprendendo il significato psicologico dei racconti mitologici si trovano le indicazioni per affrontare gli inganni della mente e i problemi del mondo. Ed è vivendo sul piano dello Spirito (dell’atman), cioè oltre i conflitti della mente, che si può realizzare ed esprimere il Sé.
Il Sé (o la Coscienza-Consapevolezza) nella sua natura essenziale non è diviso in osservatore e osservato, interno-esterno, perché ogni coppia di opposti deve il suo esistere all’interdipendenza. Tutto è contenuto nell’Uno, nellaconsapevolezza non divisa che è appunto il substrato coscienziale in cui appaiono i fenomeni del divenire e le creazioni della mente e del pensiero.
La scienza stessa ci dice che spazio e tempo sono un’illusione percettiva. Invero viviamo nel continuo infinito presente, ma siamo prigionieri di tempo psicologico, fatto di ricordi e anticipazioni che è causa di desiderio è paura. Esso ci pare reale ma è solo una categoria creata dal pensiero, utile per orientarci nel mondo. Perdere contatto con il presente, schiavi del tempo, è la malattia umana che ostacola l’armonia e l’intuizione.
Il pensiero è uno strumento fondamentale per l’uomo, ma ha i sui ristretti ambiti e non è in grado di cogliere il mistero della realtà, la vita non può essere imprigionata entro i suoi confini condizionati.
Il “liberato in vita” incarna l’esperienza concreta di chi avendo trasceso l’identificazione con l’io e avendo riconosciuto le illusioni mentali, si è stabilizzato nella consapevolezza del Sé; è il testimone libero di legami che osserva il divenire della vita in perfetta equanimità e ne diventa l’espressione armonica e spontanea.
Nello stato di non dualità i conflitti interiori sono dissolti.
Per la psicologia del profondo il processo di autorealizzazione avviene attraverso l’integrazione dell’inconscio, dell’Anima e dell’Ombra. La realizzazione del Sé o Individuazione è il cammino eroico di coloro che hanno il coraggio di guardare nell’abisso, nel profondo dell’essere, riconoscere l’illusorietà dell’io e di rinascere al vero Sé che è pienezza e autenticità dell’Essere. Un processo iniziatico di morte e rinascita al vero Sé.
Maestri come Ramana Maharshi incarnano e diffondono una profonda serenità, la loro equanimità e saggezza liberano le menti confuse dal giogo del pensiero autofrustrante. La loro vita è uno spontaneo servizio al bene di tutti.
Tat Tvam Asi, Tu sei Quello!
In queste righe non ho voluto raccontare i fatti storici che riguardano Sri Ramana, né limitarmi a ricordare ed elogiare la grandezza di un santo indiano, già c’è molto materiale disponibile. Vorrei fare qualcosa di diverso che non troviamo negli scritti su di lui. Vorrei portare il lettore a riflettere sull’importanza pratica e trasformativa del sentiero dell’autoindagine che ha indicato e delle difficoltà che impediscono a gran parte dei lettori di capire l’attualità del suo insegnamento.
C’è chi, dopo qualche brutta esperienza con il fanatismo e la corruzione che regnano nelle sette e nelle chiese, rifiuta come fantasioso e irreale qualunque argomento spirituale, e così facendo è come se buttasse il bambino con l’acqua sporca, perché Ramana Maharshi invero offre insegnamenti autentici, efficaci, preziosi e sempre attuali.
Altri invece idealizzano la spiritualità indiana e rischiano di cadere nell’errore, come fa la maggior parte dei ricercatori spirituali, di mitizzare il personaggio, di farne un idolo, dimenticando che, ciò che realmente conta, è l’incarnare il suo messaggio, piuttosto che mettere fiori e incensi sotto la sua foto.
Non si può cogliere l’attualità pratica ed esperibile dell’insegnamento, se si pensa che cose del genere riguardano solo i santi e non sono in vero alla portata di ogni ricercatore sincero. Chiediamo le sue benedizioni senza seguire le sue indicazioni, quando la sola benedizione è il risveglio alla conoscenza di sé che ci ha indicato.
Di certo per comprendere le sue parole e viverne il significato è indispensabile avere passione per la conoscenza e per la verità, essere in grado di mettere da parte i preconcetti religiosi o antireligiosi e avere il coraggio di lasciare le rassicuranti ideologie che ci condizionano.
Se con mente sgombra e attenta si avvicinano le parole di saggi come Ramana Maharshi, esse possono davvero risvegliare la coscienza e far percepire l’Unità della vita. In tal modo il cuore si sintonizza con il flusso spontaneo del Sanatan Dharma (la legge dell’armonia universale) e solo cosi l’essenza del suo insegnamento è davvero trasformativa e liberatoria.
Ogni uomo può trovare la realizzazione del sé, riconoscere l’Unità e trovare pace interiore senza inseguire il destino di nessun altro e senza cercare alcuna somiglianza con un santo che ovviamente è una figura irraggiungibile solo per il fatto che non siamo noi.
La realizzazione è l’adempiere al proprio destino senza imitare nessuno. E’ l’essere autenticamente ciò che si è. La serenità sorge quando si è liberi dal conflitto della mente divisa… finalmente “a casa”.
Il santo è un essere umano come gli altri che ha il destino di fare la parte di colui che indica la via della liberazione e del risveglio. E’ responsabilità di chi ascolta il suo messaggio indagare con sincerità la via dell’autoindagine e trovare in sé la Verità.
Il Maestro ci guida dal vero maestro, il Sat Guru che è il nostro stesso Sé.
In verità sarebbe sufficiente comprendere gli insegnamenti per avere quei profondi insight che possono aprire al nuovo piano di coscienza e condurre alla liberazione. Ma gli uomini hanno molte difficoltà ad accogliere le idee che mettono in discussione la struttura dell’io, e l’ego, che è immagine mentale creata in anni di condizionamento, non vuol mai lasciare il campo e si aggrappa al conosciuto e alla maschera. Ma se non si ha il coraggio di lasciare l’angusto ambito dell’io e del pensiero, se non si fa esperienza diretta di stati di coscienza non ordinari e se non si accolgono nuove prospettive, le parole non servono a nulla e non si potrà mai percepire qualcosa di sacro e di eterno.
Per la mente occidentale, inoltre, è difficile comprendere che il mondo fenomenico è Maya, un’illusione. Ramana Maharshi paragona il mondo fenomenico ai riflessi che appaiono sullo specchio. In assenza dello specchio essi non esistono, non sono reali. Le immagini dipendono dallo specchio, l’immagine c’è ma non è la realtà è un riflesso, per cui si potrebbe dire che esiste e non esiste. La coscienza è lo specchio reale e oltre il tempo su cui appaiono i riflessi del divenire. Se lo specchio è distorto il mondo appare distorto.
Se Shiva è la pura Coscienza-consapevolezza, Paramashiva (Brahman) è oltre e prima della Coscienza, è l’Assoluto impensabile e inconoscibile da cui essa emerge e in cui manifesta. Questo è lo stato di Turya il Vuoto, il Sahaja Nirvikalpa Samadhi[3], in cui Ramana viveva in grande umiltà.
In questi anni la Psicologia Transpersonale ha interpretato la tradizione spirituale in termini moderni e usato tecniche psicofisiche tratte dalla tradizione orientale per rendere esperibile all’’uomo contemporaneo la dimensione essenziale dell’Essere.
Non solo questi studi mostrano la coerenza del Vedanta con le vette della Filosofia Perenne, ma persino coerenza con i nuovi paradigmi scientifici. Le conoscenze scientifiche degli ultimi decenni confermano che lo spazio e il tempo non esistono e sono relativi alle nostre percezioni. La fisica ci descrive un universo immateriale la cui sostanza è soloinformazione. Gli atomi che compongono il nostro corpo stesso fisico sono composti da particelle “dalla natura non locale” e si comportano in modo paradossale. La teoria delle stringhe che implica undici dimensioni, la teoria olografica, le teorie quantistico-relativistiche, ecc. ovvero la visione della Realtà proposta dalla scienza moderna, mi pare più fantastica della visione dei saggi. Per questo oggi la dimensione spirituale può essere compresa in un’ottica non regressiva e superstiziosa, ma alla luce della nuova emergente consapevolezza di esser parte di un universo multidimensionale e intelligente con il quale possiamo integrarci armonicamente.
La conoscenza del Sé (Jnana Yoga) è la via di liberazione indicata dai saggi del passato e del presente da Socrate ai più grandi filosofi occidentali come Nietzsche e Heidegger.
Tutti hanno indicato che la meta finale è la conoscenza del sé. Riconoscere che stiamo cercando il cercatore stesso. Lascio quindi la parola a Ramana Maharshi, qui di seguito trovate i suoi insegnamenti essenziali che sono la via più diretta verso la meta della liberazione interiore.
Filippo Falzoni Gallerani, Milano, Ottobre 2014
Per approfondimenti vedi:
La Vita di Sri Ramana Maharshi:
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/mancusoramana.pdf
PDF: https://www.amazon.it/clouddrive/share/-_MMZMyJf7w1Ww4PDYUkTl5bq5M6VzKIMd-DYOd6QNM
Gli Insegnamenti di Sri Ramana Maharshi:
PDF: https://www.amazon.it/clouddrive/share/GiuEGVLwSZ1x1i59m2v61qPMpy-baKNDgnKHjneaTCQ
Testi pubblicati recentemente e altro materiale in italiano nel sito: http://www.ramana-maharshi.it/
Ho tradotto dall’inglese la Ramana Gita, che è una raccolta di domande e risposte con devoti avanzati:
Ramana Gita: http://www.ramana-maharshi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=51:ramana-gita&catid=35&Itemid=60
Ramana Gita, download PDF: https://www.amazon.it/clouddrive/share?s=-iHzMXZ-S-0r7oRJE7P3QY
Trovate testi di classici di Advaita Vedanta in liena con l’insegnamento di Ramana, – l’Avadhoota Gita, gli insegnamenti di Dattatreya,- La Ribhu Gita gli insegnamenti di Shiva, – Vijananabhairava o Coscienza Divina
altri testi nel sito: http://www.rebirthing-italia.com/advaita.htm
Piccola bibliografia essenziale:
Ramana Maharshi: Chi Sono Io? Ubaldini Editore Roma 1977
Goodman D.: Ramana Maharshi e il Suo Insegnamento, Edizioni Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1987
Osborne, A. Ramana Maharshi e la Via della Conoscenza, Edizioni Vidyananda, Assisi, 1997
Osborne A.: Ramana Maharshi and the Path of Self-Knowledge, K.S. Mani B.I. Publications New Delhi, 1976
Ganapati Muni: Ramana Gita, Dialogues with Sri Ramana Maharshi, Ramana Maharshi Centre for Learning Bangalore, Third Edition, 1994
Osborne A.: The Teachings of Ramana Maharshi in His own Words, Sri Ramanasram, Tiruvannamalai, 2008
Ramana Maharshi: Spiritual Stories as told by Ramana Maharshi, Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai, 2008
Cohen S. S.: Reflections on talks with Sri Ramana Maharshi, Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai, 2006
Nota:
1) Sahaja nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato del jnani (risvegliato alla conoscenza del sé) che ha definitivamente e irrevocabilmente eliminato il suo ego. ‘Sahaja’ significa “naturale” e ‘nirvikalpa’ significa “nessuna differenza”. Un jnani in questo stato è in grado di agire naturalmente nel mondo, proprio come fa qualunque ordinaria persona. Sapendo di essere il Sé, il ‘sahaja jnani’ non vede differenze fra sé e gli altri e nessuna differenza fra se stesso e il mondo. Per una tale persona, ogni cosa è una manifestazione dell’invisibile Sé.
2) Nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato che precede la realizzazione del Sé. In questo stato c’è una consapevolezza del Sé temporanea, ma priva di sforzo; però l’ego non è stato eliminato definitivamente. E’ caratterizzato da un’assenza di coscienza corporea. In questo stato si ha una temporanea consapevolezza del Sé nell’assorbimento interiore, ma non si è in grado rimanere in contato con il mondo e l’azione. Quando la coscienza corporea torna, l’ego riappare.
3) Savikalpa samadhi. In questo stato particolare, la consapevolezza del Sé viene mantenuta dallo sforzo costante. La continuità del samadhi dipende totalmente dallo sforzo compiuto per mantenerlo. Quando l’attenzione sul Sé vacilla, la consapevolezza del Sé viene a essere oscurata.