Qualunque forma di dipendenza è cattiva, che sia morfina o idealismo. (C. G. Jung)
La mente intuitiva consiste in una consapevolezza immediata, che non dipende dalla memoria, dal tempo, dall’esperienza o da un processo logico. E’ uno stato immediato e translogico cioè oltre il pensiero. L’intuizione è un tipo di conoscenza-azione che si presenta spontanea in una mente sgombra, ricettiva, attenta, libera dalla confusione e dal conflitto, libera da schemi, da desideri e paure.
Una mente agitata è come uno specchio distorto, una mente condizionata o dogmatica vede solo all’interno delle sue aspettative. Una mente vittima dei conflitti interiori non è in grado di ascoltare e vedere con chiarezza.
L’uomo d’oggi ha estremo bisogno di sviluppare l’intuizione per fronteggiare questo periodo storico di grande trasformazione, caratterizzato dal crollo dei vecchi valori e dall’embrionale emergere della coscienza dell’Unità.
C’è chi ha il problema di trovare un Guru, una guida spirituale che lo liberi dai conflitti interiori e magari risolva anche le questioni mondane, economiche e sentimentali. E c’è chi ha ancor più problemi perché ne ha incontrato uno e si è perduto nel ginepraio dell’ego spirituale. Mi pare che ciò succeda molto spesso ai seguaci dei Santi e dei Maestri, del passato e del presente.
L’uomo vive prigioniero di mondi concettuali e astrazioni, che lo allontanano dalla percezione diretta di ciò che realmente “è”. In questo modo sperimenta la frustrazione di chi confonde la mappa con il territorio, e vivendo sempre separato dalla vita reale, rimane prigioniero di una gabbia di pensieri. In queste condizioni anche se incontra un vero Maestro, lo percepisce attraverso il filtro della mente, e il rapporto con lui sarà condizionato dal suo modo di vedere e di pensare.
Il problema della religione da secoli è davvero drammatico. Stentiamo a credere che il messaggio di amore di Gesù possa aver condotto a fenomeni come l’inquisizione e che protestanti e cattolici si siano ammazzati per secoli.
E’ impressionante come le parole dei saggi possano essere tanto distorte dalle chiese. Anche molte comunità, ispirate da scopi spirituali e umanitari, si trasformano spesso in luoghi dove i conflitti, invece di scomparire, si amplificano.
Quasi tutti i ricercatori, alla fine, si confrontano con gli stessi problemi. Osservando le dinamiche distruttive dell’io-separato, ci si rende conto che sono alla base di tutti i problemi dell’uomo. Gli ashram non sono diversi dal resto del mondo, ma forse i problemi dell’io si notano di più per la discrepanza tra la realtà dei fatti e gli ideali professati.
Perciò quanto scrivo non vuol essere una critica a chi segue un Guru, anzi: l’incontro con un Maestro è stata l’esperienza più importante della mia vita.
Voglio solo far notare quanto sia facile cadere nei tranelli della mente e i problemi che ciò comporta. Questa confusione mentale è una la condizione normale nell’uomo contemporaneo che tutti, a diversi livelli, dobbiamo affrontare per giungere all’autorealizzazione.
L’Ego è il problema umano per eccellenza. Non critico quindi gli individui, ma piuttosto voglio far luce sugli inganni mentali e i falsi valori che l’uomo accetta acriticamente. Questi erronei presupposti sono la radice di tutti i problemi umani. Per questo che tutti i saggi affermano che lo sviluppo di una nuova coscienza è un’impellente necessità evolutiva
Negli anni con il Maestro, anch’io sono passato attraverso fasi simili a quelle che descrivo. Benché fossi sin da ragazzo un appassionato ammiratore di Jiddu Krishnamurti, ho dovuto passare attraverso gli inganni dell’ego spirituale che, a livello intellettuale, ero certissimo di aver compreso e superato.
Spero che questa mia esperienza possa esser d’aiuto a chi segue un maestro e percorre il sentiero dell’autoconoscenza. L’esempio degli ashram riflette ciò che accade in tutto il mondo che in questa fase è vittima del pensiero che frammenta e distorce.
Incontrare un Maestro
Incontrare un Maestro, un vero illuminato, un individuo equanime e risvegliato, libero dalle prigioni dell’io, che vive in sintonia con il Cosmo, è un’esperienza toccante e indimenticabile. Chi lo avvicina percepisce il suo stato, così differente dalla mente divisa dell’uomo comune. La sola presenza di un individuo del genere può indurre momenti di grande profondità e chiarezza.
Interagendo con lui, facilmente si riconosce la prigione dei pensieri in cui viviamo, e accanto a lui, l’ininterrotto dialogo interno, almeno per qualche istante, s’interrompe. Il vedere con chiarezza i giochi della mente ce li fa abbandonare e conduce ad attimi di autentica consapevolezza. Il Maestro non si perde in pensieri e parole, poiché comunica, come si suole dire, con il cuore. Ci tocca profondamente il fatto che veda nella nostra essenza, senza farsi ingannare dalle maschere che indossiamo, e così di fronte a lui è frequente che emerga in noi quell’autentica trasparenza mentale che induce una magnifica nitidezza percettiva[1].
Spesso dopo un incontro con il Maestro, ci accorgiamo che tutti i problemi che avevamo per la testa si sono miracolosamente dissolti. E’ sufficiente percepire per qualche attimo lo “stato naturale[2]” per ritrovare il contatto con la vita reale e per liberare la consapevolezza dagli inganni del pensiero.
Nello stato naturale la realtà del momento appare nitida e radiosa. In questa consapevolezza si manifesta il vero Maestro Interiore, che ci guida nel qui e ora.
Dalla prospettiva della mente intuitiva scopriamo che la consapevolezza è il Guru e il vivere quotidiano è il nostro vero Yoga. A questo punto si comprende che non è più necessario ritirarsi in un ashram per elevarci spiritualmente. Affrontare con consapevolezza ogni situazione che la vita ci presenta è la nostra vera sadhana[3], la pratica perfetta proprio per noi.
Ritirarsi nella natura o in un monastero a meditare e isolarsi per alcuni periodi dalla vita comune è molto benefico ed è cosa certamente consigliabile.
E’ necessario però esser molto vigili per non confondere la conoscenza del Sé, che libera dal tempo e dal pensiero, con i desideri e le fantasie dell’ego spirituale.
Non vediamo le cose per quello che sono, ma per quello che siamo
Purtroppo gli stati di lucida presenza mentale e di percezione estatica sono passeggeri perché l’ego subito s’impossessa dell’esperienza. Il momento di risveglio presto diventa un ricordo cui ci si attacca, e così ci si riaddormenta nei pensieri e non si coglie l’esperienza attuale, sempre nuova, la verità dell’attimo. Si è presto di nuovo prigionieri della dimensione concettuale e quindi s’interpreta l’esperienza influenzati da condizionamenti religiosi e culturali.
Anche se abbiamo incontrato un vero Maestro che ci ha offerto un’occasione di risveglio, il rapporto con lui nel tempo sarà il più delle volte condizionato dal nostro modo di vedere e di pensare e, su quelle basi, ci inventeremo una storia più o meno fantasiosa.
Seguendo le pratiche che il Maestro ha suggerito troviamo momenti di grande serenità ed entusiasmo, ma alla fine riemergeranno i problemi non risolti dell’io.
Purtroppo presto si sarà spinti a desiderare che questo stato sia sempre più completo, profondo e stabile e in questo modo iniziano i problemi per l’ego spirituale, proiettato nel futuro.
Se attorno al Maestro c’è un contesto religioso, i simboli tramandati da millenni avranno certamente una grande presa sulla mente dell’aspirante discepolo, rafforzando fantasie mistiche che facilitano la perdita di contatto con la realtà quotidiana. Invece di coltivare una coscienza fluida e spontanea, e a vivere davvero gli insegnamenti, si è spinti a creare una nuova religione. Cristallizzando le esperienze avute con il Maestro si finisce con il creare un eccessivo attaccamento alle regole e ai riti e a perdere di vista lo spirito. Se ci sono conflitti si attende che si risolvano per intervento della grazia del guru, senza davvero chiarire le relazioni sul piano più semplice e umano.
Le frasi del Maestro (spesso anche mal tradotte) sono enfatizzate come comandamenti, senza comprendere che fuori dal contesto in cui furono espresse non hanno più senso.
In questo modo si darà importanza più alle forme esteriori che allo stato di coscienza. Ed anche questo è certamente a scapito della serenità che si cercava. Di certo negli ashram ci sono anche molte cose buone, a volte s’incontrano amabilissime persone, e si hanno relazioni umane importanti, e questo spinge a sorvolare sulle profonde contraddizioni che animano il gruppo, nel suo insieme.
Desideriamo sentirci creatori della una nuova realtà, perdendo però contatto con la realtà obiettiva, e ci troviamo a inseguire una realtà immaginaria contraddetta dalla realtà del vivere.
Purtroppo l’ego, nell’identificarsi con il ricercatore spirituale, trova un ruolo gratificante e seducente degno di essere vissuto. “Non sono uno qualunque, ma un discepolo, guidato da un Guru, e avrò accesso a sempre più alte conquiste spirituali”.
Qui incominciano i veri guai: le subdole illusioni dell’io spirituale… E le illusioni portano certamente a dolorose delusioni.
L’Hybris[4] suscita l’ira degli dèi e di conseguenza la nemesi è certa.
Il Maestro interiore è proiettato fuori
Per fare un esempio: da questa ingannevole prospettiva dell’io-separato, quando noteremo una sincronicità (quelle strane coincidenze che capitano di frequente) invece di considerarla un’espressione della misteriosa natura non divisa della realtà in cui siamo immersi, inizieremo a interpretarla come il diretto intervento del Guru e del nostro peculiare rapportopersonale con Lui. Ogni coincidenza favorevole è un suo dono e dimostra come ci segua da vicino.
Se le coincidenze non sono fortunate, si dà la colpa ad altri (che non riteniamo spirituali), oppure sono considerate una punizione per i nostri “peccati” (non sufficiente fede, mancanze nella disciplina e altri ipotetici errori).
Il cristianesimo imparato da bambini s’insinua nella mente e nulla è più facile che regredire all’infanzia.
Si dimentica che l’esempio del saggio è l’equanimità con cui accoglie il ciclico fluire degli eventi, le oscillazioni di Yin e Yang, la sua serenità e il suo distacco di fronte a qualunque cosa accada, senza che entrino in gioco né meriti, né colpe. Gli insegnamenti più severi impartiti individualmente hanno lo scopo di scuotere la mente confusa del devoto.
Le risposte del saggio, per l’assenza in lui dell’ego, sono sempre in sintonia con ciò che il momento richiede. Per il devoto invece, in breve tempo, il Guru diventa un feticcio da adorare nella speranza che lo teleguidi.
Sfugge così il suo vero insegnamento, che svela la natura spirituale della realtà quotidiana: “la presa diretta”, libera dalle gabbie delle parole, vissuta vicino a lui.
Solo se si vive nell’attimo liberi dai pensieri si può attingere a quell’intelligenza discriminante, che i dogmi mandano all’ammasso.
Lo stato naturale si manifesta quando si dissolve l’io con il suo bagaglio di condizionamenti e aspettative: è attenzione senza alternative nel qui e ora, senza desideri e paure, in cui l’osservatore come entità separata scompare.
Attendendo l’aiuto dall’esterno, si confonde il sentiero della verità, la percezione obiettiva, il fluire spontaneo, con lo sforzo della disciplina e l’accettazione dei dogmi condivisi.
Chi non ha incontrato il Maestro di persona, ma ne ha solo sentito parlare, vanterà un rapporto peculiare con lui per non sentirsi inferiore ai “vecchi devoti” che l’hanno incontrato.
Un individuo insicuro che non si sente realizzato, nel momento che si considera un discepolo, subito si sente qualcuno. Se impara a memoria un po’ di mantra (cosa che chiunque può fare) sarà presto convinto di essere già un iniziato e di certo un essere speciale.
Il grande orientalista Zimmer già nei primi decenni del Novecento, per indicare questa condizione usava, molto spiritosamente, il termine “iniziati immaginari”.
Con questa nuova e gratificante identificazione, l’ego insegue rispettabilità e importanza all’interno del gruppo che condivide il suo mito spirituale.
Ed ecco il paradosso: il ricercatore che era stato attratto e conquistato dalla consapevolezza e presenza mentale del Maestro, si trova ora a inseguirla nel più ingannevole dei modi.
Coinvolto in ruoli gerarchici, rafforza la sua separazione dalla consapevolezza che si manifesta in assenza dell’ego. Invece che avidità di denaro o di piacere ora c’è avidità di esperienze e riconoscimenti spirituali.
Ciò naturalmente crea in molti ashram le dinamiche del potere che portano sempre a interminabili conflitti. Il luogo di pace diventa così una palestra in cui la mente è coinvolta nella lotta delle proiezioni.
Se il devoto raggiunge status e sostegno anche in un piccolo gruppo, sarà convinto di essere sulla giusta via per diventare a sua volta un maestro. L’uomo è predisposto ad attendersi da altri la soluzione dei suoi problemi, ed è incredibile con quale facilità il transfert ci faccia proiettare il ruolo di maestro su chi ci offre facili soluzioni.
C’è chi viste queste cose si allontana del tutto dalla spiritualità, e in questo modo butta via il bambino con l’acqua sporca.
L’uomo ha bisogno di religione, ma nel senso più autentico e profondo (religere = riunire, riunificare) ed è quindi fondamentale riconoscere quest’inganno se non si vuol continuare ad adorare un vaso senza mai berne l’acqua.
Parafrasando una frase di Albert Einstein, il pensiero razionale è l’utile servo, (adatto ai compiti meccanici che gli competono) di cui siamo diventati schiavi, mentre la mente intuitiva è il dono sacro che questa società ha dimenticato.
Il giorno in cui mi sono reso conto dell’illusorietà delle costruzioni del pensiero, la vita è cambiata radicalmente.
Nell’ambito delle comunità spirituali penso sia urgente che si coltivi davvero l’autenticità dell’essere e l’intuizione che nasce dalla resa al Sé, alla Natura, alla Vita con grande semplicità e spontaneità. E’ necessario riconoscere gli inganni dell’ego e le fantasie di grandezza, se non si vuol travisare il messaggio di verità che il Maestro mostrava con l’esempio.
Solo così potranno nascere tra gli uomini relazioni davvero fraterne, nella Verità dell’autenticità spontanea, nellaSemplicità dello stato naturale, nell’Amore dello stato non diviso.
E’ nella natura della mente il vagabondare. Tu non sei la mente. La mente salta su e poi sprofonda, è impermanente, transitoria, mentre tu sei eterno… rimani nel Sè! Non dar importanza alla mente… nell’uomo realizzato la mente può essere attiva o inattiva, solo il Sè rimane per lui.
Ramana Maharshi
Vedere nella propria natura è vedere nel nulla. Vedere nel nulla è vero vedere ed eterno vedere.
Shen-hui
Finché sono questo o quello non sono tutte le cose.
Meister Eckhart
Filippo Falzoni Gallerani, 2012
[1] Tuttavia individui immaturi non coglieranno la magia della presenza mentale, ma saranno sopraffatti dall’esaltazione e posseduti da fantasie religiose nella regressione al pensiero mitico e magico. La ricerca di piaceri emozionali di questo tipo di spiritualità conduce molti fuori strada e scredita l’autentica spiritualità.
[2] Stato naturale è il termine usato da Ramana Maharsi per indicare la spontanea consapevolezza del Sé che è libera da senso di separazione indotto dall’io che è un prodotto del pensiero.
[3] Pratica spirituale. Letteralmente: strumento per raggiungere qualcosa.
[4] Hýbris è un termine tecnico della tragedia greca e della letteratura greca, che compare nella Poetica di Aristotele (il più antico studio critico su questo genere). Significa letteralmente “tracotanza”, “eccesso”, “superbia”, “orgoglio” o “prevaricazione”. Nella trama della tragedia, la hýbris è un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli eventi del presente. È una “colpa” dovuta a un’azione che viola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie. Al termine hýbris viene spesso associato, come diretta conseguenza, quello di “némesis”, che significa “vendetta degli dèi”, “ira”, “sdegno” e che quindi si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dèi a chi si macchia di tracotanza.