Prima di reagire il saggio rispecchia ogni situazione com’è obiettivamente; come uno specchio quindi riflette solo il presente, non è saturo di informazioni trattenute dal passato con il rischio di rimanere intrappolato in atteggiamenti obsoleti; e non è neppure proteso verso il futuro, con l’intenzione di raggiungere una meta precedentemente stabilita. Il saggio allora non viene distratto da fuorvianti tensioni e percepisce ogni circostanza come nuova:

«…Kuan-yin diceva: “Non fermarti in posizioni fisse: le cose come prendono forma si manifestano. In moto sii come l’acqua, in quiete sii come uno specchio, rispondi come un’eco”…».

Il consiglio dell’autore è di abbandonare i punti di vista fissi e di attenersi a una visione obiettiva; la situazione esterna, come prende forma, si presenta di momento in momento in modo obiettivo. Il saggio è fluido come l’acqua, la quale non incontra impedimenti perché si adatta alle curve del suolo; nel reagire la mente del saggio non è soggetta alle agitazioni che oscurano la chiarezza di visione, egli svuota la mente e lascia che le cose esterne entrino in lui, coglie le relazioni e poi agisce, o meglio reagisce, la sua risposta è immediata come quella dell’eco ad un suono.
Secondo il Graham, dal punto di vista dei Taoisti, non si pensa nei termini di una dicotomia tra l’agente razionale e la natura; per cui il primo valuta i fatti che accadono, fa le sue scelte e resiste agli impulsi fisici e animali; oppure nel caso contrario il soggetto si abbandona all’idea Romantica di spontaneità, come libero gioco di impulsi, emozioni e fantasie. Nella mente del Taoista non si verificano separazioni né in un senso né nell’altro, piuttosto è costantemente in atto una mediazione tra il sé e la natura, dal cui ambito il primo non cerca di sottrarsi per dominarla ma si fonde spontaneamente in essa. Il rispettare le cose nella loro obiettività implica che la mente sia limpida come uno specchio, quindi neutrale e sgombra da valutazioni morali.
La chiarezza mentale, che consente il naturale svolgersi del wu wei, diviene anche il presupposto della pratica quotidiana degli artigiani, protagonisti di molte storie del Chuang Tzû; una tra le più famose è quella del cuoco Ting:
«…Ciò a cui il tuo suddito fa attenzione è la Via, ho abbandonato la tecnica. Quando cominciai a tagliare i buoi, non vedevo altro che questi. Tre anni più tardi non vedevo il bue come un intero. Oggi, entro in contatto attraverso il mio spirito, e non vedo con gli occhi. Con i sensi so dove fermarmi, desidero seguire il corso dello spirito. Faccio affidamento sulla struttura del Cielo, taglio lungo le giunture principali, mi lascio guidare dalle principali cavità, mi regolo su ciò che è così per sua natura. Non ho mai toccato un tendine o un legamento, mai un osso. Un buon cuoco cambia la sua mannaia una volta all’anno, perché squarta grossolanamente. Un cuoco comune la cambia una volta al mese, perché riduce in pezzi malamente. Io ho questa mannaia da diciannove anni, e ho tagliato parecchie migliaia di buoi, ma la lama è come se fosse appena stata affilata. In quel punto di congiunzione c’è un interstizio, e il filo della lama non ha spessore; se inserisci ciò che non ha spessore là dove è un interstizio, poi, cosa potresti chiedere di meglio, certamente c’è ampio spazio per girare la lama. Questo perché dopo diciannove anni il filo della mia mannaia sembra fresco di affilatura. Comunque, ogni volta che arrivo a qualcosa di intricato, io vedo dov’è duro da maneggiare e con cautela mi preparo, il mio sguardo lo fissa, l’azione rallenta, a mala pena si vede il movimento rapido della mannaia – e ad un sol tocco il groviglio è districato, come una zolla si sgretola al suolo. Tengo la mannaia in mano, mi guardo orgogliosamente tutt’intorno, mi compiaccio fino ad essere del tutto soddisfatto, poi pulisco la mannaia e la ripongo…».

Molti degli episodi sugli artigiani sono impostati secondo uno schema che vede sempre il sovrano nella posizione di chi impara dalle semplici parole di uomini umili; anche le parole del cuoco Ting sono infatti indirizzate ad un principe che ammira la sua abilità e che dopo averlo ascoltato dichiara di sapere finalmente come nutrire la vita, praticando il suo stesso metodo nel governare l’impero. Il cuoco, quando incontra un nodo specialmente intricato di ossa e muscoli, si ferma finché non ha assimilato tutte le informazioni e poi taglia con un solo abile tocco.
Possiamo definire l’arte di vivere taoista come una sensibilità massimamente intelligente, che sarebbe indebolita dall’analizzare e dal porre alternative, in particolare nel caso di pratiche fisiche; se il funambolo per esempio si chiedesse in continuazione dove muovere il passo successivo alla fine cadrebbe dalla fune.
Il problema sorge quando prevale la dicotomia tra il soggetto e l’oggetto, allora l’agente comincia a porre le alternative e a chiedersi quale potrebbe essere la soluzione migliore; in questo modo non fa altro che disperdersi in innumerevoli direzioni con il rischio di non riuscire più ad individuare la giusta via.

Tratto da: http://www.estovest.net/tradizione/wuwei.html

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FILIPPO FALZONI GALLERANI