La vita è il guru supremo (Sri Nisargadatta Maharaj)

5 Dicembre 1970

Interrogante: Veniamo tutt’e due da lontano, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Il mondo in cui viviamo va in pezzi; e poiché siamo giovani, la cosa ci riguarda. I vecchi si augurano di avere una morte naturale, per i giovani non c’è questa speranza. Alcuni di noi possono rifiutare di uccidere, ma nessuno può rifiutare di venire ucciso. C’è una possibilità per noi di raddrizzare il mondo?
Maharaj: Che cosa ti fa credere che il mondo stia finendo?
I.: Gli strumenti di distruzione sono oggi straordinariamente potenti. Inoltre la nostra produttività è diventata nemica della natura e dei valori sociali e culturali.
M.: Stai parlando del presente. Ma è così altrove, e sempre? Una situazione spaventosa può essere temporanea e locale. Una volta trascorsa, sarà dimenticata.
I.: La catastrofe che incombe è di dimensioni immani. Viviamo nel mezzo di un’esplosione.
M.: Ogni uomo soffre solo e muore solo. Le cifre sono irrilevanti. La quantità di morte è la stessa se periscono migliaia di uomini o uno solo.
I.: La natura ne sopprime a milioni, e non è questo che mi spaventa. Può essere tragico e pieno di mistero, ma non è crudele. Ciò che mi fa inorridire è la sofferenza per mano umana, la distruzione e la desolazione. La natura è magnifica nel fare e disfare. Invece v’è meschinità e follia negli atti dell’uomo.
M.: È vero. I vostri problemi non sono il dolore e la morte, ma la bassezza e la follia radicali. E la bassezza non è anche una forma di follia? E la follia, un uso distorto della mente? Il problema umano è appunto questo: l’uso distorto della mente. Tutti i tesori della natura e dello spirito si schiudono per l’uomo che sa usare correttamente la mente.
I.: Qual è il giusto uso della mente?
M.: Paura e avidità causano il cattivo uso della mente. Quello giusto è al servizio dell’amore, della vita, della verità, della bellezza.
I.: Più facile dirlo che farlo. L’amore per la verità, per l’uomo e la buona volontà, sono un lusso! Ce ne vorrebbe tanto per raddrizzare il mondo, ma chi lo fornisce?
M.: Puoi cercare all’infinito la verità e l’amore, l’intelligenza e la buona volontà, implorando Dio e gli uomini invano. Devi incominciare da te, dentro di te: questa è la legge inesorabile. Non puoi cambiare l’immagine senza cambiare il volto. Anzitutto convinciti che il tuo mondo è il riflesso di come sei tu, e smetti di trovare l’errore a furia di ragionamenti. Occupati di te, raddrizza la mente e le emozioni. La volontà materiale seguirà automaticamente. Parli tanto di riforme: sociali, economiche, politiche. Lasciale perdere e bada al riformatore. Che tipo di mondo può costruire un uomo che sia stupido, avido, senza cuore?
I.: Se dobbiamo aspettare che cambi il cuore, bella attesa! È un consiglio di perfezione, il vostro, che è anche di disperazione. Quando tutti siano perfetti, lo sarà anche il mondo. Troppo ovvio!
M.: Ripeto che non puoi cambiare il mondo prima di aver cambiato te stesso: e bada! te stesso, non ognuno. Cambiare gli altri non è attuabile e nemmeno necessario. Ma se cambi te stesso, ti accorgi che non occorre cambiare nient’altro. Per vedere un’altra immagine, basta sostituire il film, non devi assalire lo schermo!
I.: Da dove vi viene tanta sicurezza?
M.: Non è di me che sono sicuro, ma di te. Tutto ciò che ti occorre è smettere di cercare all’esterno quello che puoi trovare solo dentro di te. Raddrizza la tua prospettiva prima di agire. Soffri di un’acuta forma di incomprensione. Detergi la mente, purifica il cuore, santifica la vita: questo è il modo più rapido di cambiare il tuo mondo.
I.: Tanti santi e illuminati hanno vissuto e sono morti. Non hanno cambiato il mio mondo.
M.: Come avrebbero potuto? Il tuo mondo non è il loro, né il loro è il tuo.
I.: Certamente c’è un mondo comune a tutti.
M.: Vuoi dire il mondo delle cose concrete, fatto di energia e materia? Ammesso che esista, non è quello in cui viviamo. Il nostro è un mondo di sentimenti e idee, attrazioni e repulsioni, gradazioni, valori, motivi e stimoli: un mondo completamente mentale. Biologicamente, ci occorre assai poco. I nostri sono problemi di altra natura. Creati da desideri, paure e idee sbagliate, si risolvono solo al livello mentale. Lo scopo è conquistare la mente; ma per farlo, devi andare al di là.
I.: Che significa oltrepassare la mente?
M.: Il corpo lo oltrepassi di già, non è vero? Non segui consapevolmente i processi della digestione, della circolazione e dell’evacuazione: sono automatici. Anche la mente dovrebbe funzionare senza pretendere attenzione. La nostra coscienza della mente e del corpo è pressoché ininterrotta perché ci costringono a occuparcene. Dolore e pena non sono altro che il corpo-mente che strilla perché gli si badi. Per andare oltre il corpo, devi essere sano. Per oltrepassare la mente, devi averla in perfetto ordine. Non puoi lasciarti alle spalle una bolgia, e tirar dritto. Ti c’impantanerai. “Raccogli le tue immondizie” sembra essere la legge universale. E più che giusta.
I.: Posso sapere come siete andato oltre la mente?
M.: Grazie al mio Maestro.
I.: Come fu?
M.: Mi disse ciò che era vero.
I.: Cioè?
M.: Che sono la Realtà Suprema.
I.: E voi?
M.: Gli credetti e l’ho tenuto a mente.
I.: Tutto qui?
M.: Sì, è bastato ricordare le sue parole.
I.: Davvero solo questo?
M.: E ti par poco? Fu un gran cosa ricordare il Maestro e le sue parole. A te do un consiglio anche più modesto: ricordati di te. L'”Io sono” è sufficiente a curare la mente e a portarti al di là. Basta un po’ di fiducia. Sta’ certo che non t’inganno. Voglio niente da te? Ti auguro il bene; questa è la mia natura. Perché dovrei ingannarti?
Anche il buon senso ti conferma che per soddisfare un desiderio devi porci sopra la mente. Se vuoi conoscere la tua vera natura, devi averti in mente tutto il tempo finché il segreto del tuo essere si svelerà.
I.: Perché la reminiscenza di sé porterebbe all’autorealizzazione?
M.: Perché sono i due aspetti di un unico stato. L’autoreminiscenza è nella mente, l’autorealizzazione è al di là. L’immagine nello specchio del volto, al di là dello specchio.
I.: Capisco. Ma qual è lo scopo?
M.: Per aiutare gli altri bisogna essere al di là del bisogno di aiuto.
I.: Voglio essere felice.
M.: Se vuoi dare felicità, sii felice.
I.: Che gli altri badino a sé.
M.: Amico, tu non sei isolato. La felicità che non puoi condividere è spuria. Solo il partecipabile è davvero desiderabile.
I.: Vero. Ma devo ricorrere a un maestro o no? Quello che dite è semplice e convincente. Lo terrò a mente. Ma non per questo vi rende il mio maestro.
M.: Non è l’adorazione di una persona il fatto determinante, ma la fermezza e la profondità della tua dedizione allo scopo. La vita stessa è il Maestro; sii attento alle sue lezioni e obbediente ai suoi comandi. Quando la fonte degli ordini è personalizzata, hai il maestro esterno; quando prendi gli insegnamenti direttamente dalla vita, il maestro è dentro. Comunque sia, egli si rivela parlando. Perciò ricorda, pondera, vivi, ama, cresci, fa’ tua la sua parola. Mettici dentro tutto, e otterrai tutto. Io ho fatto così. Tutto il mio tempo lo dedicavo al Maestro e a ciò che mi diceva.
I.: Sono uno scrittore. Potete darmi qualche consiglio specifico?
M.: Scrivere è sia un talento che un’abilità. Cresci nel talento e sviluppa l’abilità. Desidera ciò che è degno di esserlo, e desideralo bene. Come ti apri un varco nella folla, così ti aprirai la tua via tra gli eventi, senza smarrire la direzione generale. Se sei serio, è facile.
I.: Insistete sull’importanza di essere seri. Ma non siamo uomini di una sola volontà. Siamo un cumulo di desideri e bisogni, istinti e pulsioni. Strisciano gli uni sugli altri. Si alternano nel sopravvento reciproco, ma mai troppo a lungo.
M.: Non ci sono bisogni, ma solo desideri.
I.: Mangiare, bere, riparare e proteggere il corpo; la vita stessa che cos’è?
M.: Il desiderio di vivere è quello fondamentale. Tutto il resto ne dipende.
I.: Viviamo perché dobbiamo.
M.: Viviamo perché bramiamo l’esistenza sensibile.
I.: Una situazione così universale non può essere sbagliata.
M.: Non è sbagliata davvero! A luogo e tempo opportuni, niente lo è. Ma quando ti interessi alla verità, alla realtà, devi mettere in questione tutto, persino la tua vita. Se convalidi la necessità dell’esperienza sensibile e intellettuale, riduci la tua indagine a una ricerca di comodità.
I.: Cerco la felicità, non la comodità.
M.: Conosci una felicità che non sia quella della mente o del corpo?
I.: Ce n’è forse un’altra?
M.: Trovalo da te. Metti in questione ogni spinta, non trattare nessun desiderio come se fosse legittimo. Scevro di possessi, materiali e mentali, libero da qualsiasi preoccupazione per te, sii aperto alla scoperta.
I.: Nella tradizione spirituale dell’India si ritiene che la semplice vicinanza di un santo o di un realizzato agevoli la liberazione, sicché non occorrerebbe altro mezzo. Perché non organizzate una comunità, un ashram nel quale i devoti potrebbero vivervi accanto?
M.: Non appena creo un’istituzione, ne divento il prigioniero. Disponibile per tutti lo sono già. Un tetto e il cibo in comune non renderebbe la gente più ben accetta di ora. Vivere accanto, non significa respirare la stessa aria. Ma aver fiducia e obbedire, non permettere che le buone intenzioni del maestro vadano sprecate. Se hai il tuo maestro sempre nel cuore e ricordi le sue istruzioni: questo significa dimorare nel vero. La vicinanza fisica è la meno importante. Rendi l’intera vita un’espressione della fede e dell’amore per il maestro: questo è il vero dimorare con lui.

Respirazione e autoindagine

Vivere il presente con una consapevolezza non condizionata dal pensiero, in spontanea sintonia con l’attimo, implica il contatto con la propria Essenza: il Sé transpersonale.

Nel silenzio di una mente serena, possiamo riconoscere che la coscienza libera dalla schiavitù dei pensieri è per sua natura in rapporto armonico con il Cosmo. Siamo una sola cosa con la realtà invisibile costituita da miliardi di particelle che compongono il corpo fisico, frutto di milioni d’anni d’evoluzione. Per loro natura le particelle subatomiche che ci compongono sconfinano in dimensioni oltre lo spazio e il tempo. Siamo la somma del processo evolutivo del cosmo dal Big Bang a ora, ma anche del nulla che precede la manifestazione. Siamo prodotto della misteriosa intelligenza-energia-consapevolezza da cui emana la Natura e il Cosmo, e siamo anche il vuoto in cui ha luogo tutto lo spettacolo.
I cento miliardi di neuroni del nostro cervello, ognuno dei quali ha diecimila connessioni con gli altri, fanno del cervello il pezzo di materia più organizzata che l’uomo conosca nell’universo. L’intelligenza che la mente umana può manifestare nell’arte, nella filosofia e nello sviluppo tecnologico, è ben piccola cosa rispetto a quell’intelligenza che ha organizzato il sistema nervoso. Questo straordinario strumento è indispensabile perché arte, religione e scienza possano essere soltanto immaginate.
I saggi di ogni tempo e gli scienziati più illuminati riconoscono che l’uomo può risolvere i suoi problemi solo riconoscendo la propria Unità con la Vita e ritrovando la sorgente di quest’intelligenza-consapevolezza intrinseca alla natura.
L’individuo deve superare l’identificazione con l’immagine di sé che ha costruito, il personaggio che immagina di essere o diventare, sempre alla vana ricerca felicità.
La felicità, infatti, non potrà mai essere raggiunta da una prospettiva egoistica. L’identificazione con l’ego, con la di divisione che produce, è la vera causa della sofferenza e dell’ansia, delle guerre e dei disordini sociali.
La distruzione della natura, non deriva dall’inquinamento e dalla cementificazione, ma dall’egoismo e dall’avidità che producono attività distruttive.
La ricerca del piacere non conduce alla felicità, ma alla frustrazione. I desideri dalla prospettiva egocentrica non potranno mai essere soddisfatti definitivamente, perché, come per la linea dell’orizzonte, appena abbiamo raggiunto la meta, vediamo spostarsi più avanti l’obbiettivo.

CONOSCI TE STESSO

Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”, che si trovava scritto sul tempio dell’oracolo di Delfi, e ripetuto dai saggi in mille modi e con infinite metafore. La psicologia del profondo e la filosofia Orientale sono concordi nell’indicare nell’autoindagine la via del risveglio dall’inganno dell’ego e metodi per superare la separazione tra chi vive e la vita stessa che l’ego crea. L’Unità che è la vera salute Olistica.
In tempi moderni le pratiche di Breathwork sono una via diretta per attingere al mondo interiore e per riconoscere le dinamiche inconsce e i giochi dell’io, poiché nella presenza mentale alle sensazioni si evitano ostacoli creati dal pensiero, poiché non si tratta di capire e interpretare, ma di sperimentare direttamente la Verità.
Ma da secoli si trovano delle pratiche basate sulla respirazione per stabilire il contatto con l’energia e l’Essenza. Il Buddha storico ad esempio ha insegnato la respirazione Vipassana e i maestri di ogni tempo hanno riconosciuto nel respiro una via rapida per accedere alla consapevolezza del Sé.
Attraverso il respiro, il corpo si armonizza e le funzioni organiche trovano il giusto equilibrio, la mente si placa ritrovando contatto con il presente non concettuale e le percezioni interiori diventano nitide e chiare. In questo stato non è raro che l’Unità della Vita appaia auto-evidente.
La prospettiva Transpersonale alla pratica della respirazione è fondamentale perché ogni metodo, insegnato, appreso e applicato con un approccio narcisistico, si rivelerà autofrustrante e inutile. Anziché alla liberazione, ogni tecnica applicata in tal modo conduce a illusioni egocentriche ancor più ingannevoli e “non ci sono peggiori illusioni che quelle che l’uomo crea per liberarsi dall’illusione…
James Hillman ci ha spesso ricordato che i fallimenti della psicanalisi e della psicoterapia in genere dipendono proprio dal narcisismo che domina i terapeuti stessi.
Il Jung infatti si compiaceva di non essere “Junghiano”. Diceva che nel momento in cui incontrava un paziente dimenticava qualunque teoria e permetteva all’inconscio di interagire e di guidare l’esperienza. Non s’identificava con un agente esterno con il compito di dirigere il paziente verso una meta, ma entrava in spontanea interazione con l’altro e in un rapporto dialogico consapevole delle istanze psichiche che emergevano dove la differenziazione e l’integrazione, facilitavano che il processo d’individuazione, avesse luogo nel qui e ora.
Con la respirazione, è più facile accedere a questo sentire immediato, a questa presenza senza aspettative libera da preconcetti che con la semplice meditazione. Ma è sempre cruciale un atteggiamento indirizzato al Transpersonale, che abbia cioè riconosciuto l’illusione del “me” come oggetto.
Tale atteggiamento, che Ramana Maharishi e altri saggi chiamano lo Stato Naturale, è espressione spontanea della consapevolezza non imprigionata dalle gabbie del pensiero.
Non si ricercano fenomeni psichici o esperienze mistiche, ma, si osserva per immedesimazione ciò che li cerca…
Essenzialmente la Psicologia Transpersonale è una versione moderna della Filosofia Perenne e delle tecniche d’autoconoscenza e autotrascendenza che l’umanità ha sviluppato nel corso degli ultimi 30 secoli. Antiche intuizioni sulla natura dell’Essere trovano conferme negli sviluppi della Scienza contemporanea e i nuovi paradigmi quantistico-relativistici conducono a intuire la realtà Olistica dell’Universo e della Coscienza in cui esso si specchia.
La Coscienza è vista come l’interfaccia della materia; la materia è energia fluttuante in uno spazio-tempo relativo. Gli antichi simboli acquistano qui significato coerente Shiva è il Sé, il l’immobile eterno testimone di Mahamaya, il mondo del divenire della manifestazione cosmica, definita anche Mahashakti o l’energia universale che anima la materia.

FILOSOFIA PERENNE

 Aldous Huxley riprese il termine Filosofia Perenne[1] che già Leibniz aveva ripreso da Steuco riconobbe che alla base delle Filosofia Perenne ci sono queste quattro assunzioni fondamentali:

1: Il mondo fenomenico di materia e di coscienza individualizzata, il mondo delle cose, degli animali, degli uomini e persino degli dei, è la manifestazione di una base o substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali hanno il loro essere e separate dal quale sarebbero inesistenti.
2: Gli esseri umani sono in grado non solo di conoscere la Base Divina per pura inferenza, ma possono anche realizzare la sua esistenza attraverso l’intuizione diretta, superiore al pensiero discorsivo. La conoscenza immediata che unisce il conoscitore con la cosa conosciuta.
3: L’uomo possiede una duplice natura, un ego fenomenico e un Sé eterno che è l’uomo interiore, lo spirito, la scintilla del divino nell’anima. È possibile per l’uomo, se lo desidera, identificarsi con lo spirito e quindi con la Base Divina che è della stessa natura dello spirito.
4: La vita dell’uomo sulla terra ha un solo scopo e fine, identificarsi con il Sé eterno e così giungere alla conoscenza unitiva della Base Divina.

Gli Indù affermano che chi non vive direttamente gli insegnamenti è come il pastore di mucche altrui. Nell’Islam, si dice che il filosofo che non sperimenta la sua metafisica è come un asino carico di libri.
Quando si è sentito il richiamo dal profondo all’autoindagine, e ci rivolge alla sorgente dell’“io sono” si inizia a intuire la natura impersonale della coscienza. Ciò permette di percepire oltre all’ego e al pensiero la luminosa trasparenza una coscienza senza confini di che vive nell’Eterno Ora.
Qui la mente sgombra, risponde in sintonia spontanea alle richieste del momento, libera dal conflitto della separazione, dalla nevrosi e dall’ansia del domani. Qui la vita reale si manifesta nella sanità.
Keats scriveva: “Chiama il mondo la valle del fare anima. Così saprai a che cosa serve il mondo”[2].
La vita nella sua pienezza di luci e ombre diventa l’avventura della coscienza e il risveglio dall’illusione del tempo. Si vive nel qui e ora in un mondo sempre nuovo, liberi dai condizionamenti; moriamo e rinasciamo ogni attimo, liberi da qualunque preoccupazione per i personaggi che appaiono sulla scena. Questa consapevolezza del rapporto tra noi e gli eventi offre profondità e chiarezza, è la fine del tempo in cui si assapora l’attimo eterno.
Vivendo in “presa diretta” senza il filtro del pensiero l’io scompare. Il passato è solo ricordo (anch’esso mutevole a ogni fluttuazione dell’umore) e il futuro fantasia… seguivamo fantasmi senza vedere la realtà, ora possiamo godere dell’Essere, ora sentiamo di essere una cosa sola con Sat Cit Ananda[3].
Quando ci dissolviamo davvero nel Sé senza forma, non separato dal mondo della manifestazione, un cosmo senza confini, possiamo affidarci al potere che è a monte di tutti i fenomeni e fluire con la vita stessa.
Inconoscibile e privo di attributi, il Sé è autoevidente come lo spazio. Come lo spazio tuttavia non lo si può definire come qualcosa di concreto e visibile. Non possiamo afferrare lo spazio e la scienza moderna dimostra che è inseparabile dal tempo. Possiamo descrivere solo ciò che contiene, ma tutto ciò che esiste, esiste solo all’interno dello spazio-tempo.
Siamo già in ogni istante e da sempre la sorgente dello spazio tempo a monte dello stesso tessuto di questo Cosmo stupefacente e misterioso, e non occorre certamente far nulla per raggiungere ciò che è.
Non dobbiamo dividerci in due (osservatore e osservato, controllore e controllato) per prendere coscienza della coscienza; è sufficiente rendersi conto che “è” presente e non divisa già ora e da sempre e che in vero noi siamo quello.
È così e ce ne accorgiamo se non interferiamo con concetti mentali, ma resta tale anche quando la mente ci inganna con il senso di separazione. Come Consapevolezza, siamo co-creatori del mondo fenomenico, noi stessi siamo il substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali e le antinomie complementari appaiono e si dissolvono.
Sullo schermo di questa consapevolezza appare l’io, e quando ne abbiamo compreso la natura relativa non ne siamo prigionieri e non prendiamo troppo sul serio le sue vicende. Possiamo vivere in armonia la nostra peculiare personalità senza essere imprigionati. Se invece siamo prigionieri di quest’immagine come fosse la sola realtà diventiamo schiavi di desideri e paure, l’idea della morte ci spaventa. Offuscata la consapevolezza del Sé ricadiamo nell’ansia e nella frustrazione.
I mistici tibetani sin dall’antichità dicono cose analoghe con metafore oggi desuete. Il termine “demone” al giorno d’oggi pare semplice superstizione ma per gli antichi rappresentava, i pensieri che ci nuocciono, quei pensieri di attaccamento egoico che sviano dalla pienezza del sé e quindi producono offuscamento e sofferenza. Si dovrebbe ricordare che termine “diavolo” etimologicamente significa: colui che divide. Riporto le parole tratte da Canti Spirituali di Ma gcig, (Machig Labdron) 1055-1149, una mistica che per i tibetani è un’incarnazione della stessa Tara, la dea protettrice di tutte le popolazioni himalayane.
Compiacersi di una teoria sulla non azione, compiacersi di una meditazione in uno stato equanime, compiacersi di una condotta priva di pensieri distraenti, compiacersi della pratica ascetica: se anche solo per poco ci si comporta in questo modo, considerandoli come oggetti, non si sta percorrendo il cammino spirituale ma quello dei demoni. Poiché la teoria e la meditazione possono essere insegnate solo attraverso simboli, non si creino nella mente concetti fissi. Riguardo alle visioni che sorgono liberamente non si creino costruzioni teoriche. Esse si manifestano senza limiti sorgendo in modo indifferenziato. Non avere alcuna teoria è la nobile pratica della Recisione dei demoni. Poiché tutto è la propria Mente spontanea, colui che medita non ha nulla su cui meditare.

[1] La “philosophia perennis” è anche il concetto centrale della “Scuola tradizionalista”, rappresentata da scrittori del XX secolo quali René Guénon, Frithjof Schuon e Ananda Coomaraswamy, e in Italia da Elémire Zolla.
[2] Per “anima”, dice J. Hillman, io intendo, prima di tutto, più che una sostanza, una prospettiva, più che una cosa in sé, una visuale sulle cose. Questa prospettiva è riflessiva essa media gli eventi e determina la differenza tra noi stessi e tutto ciò che accade. Tra noi e gli eventi, tra l’agente e l’azione, c’è un momento riflessivo, e fare anima significa differenziare questa zona intermedia.
[3] Sat Cita Ananda: Essere, Consapevolezza, Beatitudine. In essenza siamo Sat Cit Ananda.
Sat è Essenza pura e senza tempo, Cit è Consapevolezza e Ananda è beatitudine. Questa trinità è inseparabile poiché ogni aspetto interdipendente.

 

Cogliere l’essenza della Coscienza

Come è paradossale e difficile comunicare gli aspetti più profondi e importanti della Vita! Persino enunciare delle sacrosante verità può creare problemi e portare fuori strada. Ad esempio dire: “Invece di cercare di cambiare le cose dovremmo cambiare noi stessi”, “Non cercate di cambiare il mondo, ma cambiate voi stessi”, “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, oppure “Non soffriamo per le circostanze della vita ma per il modo con cui le affrontiamo”, diremmo qualcosa che è confermato dalla Filosofia Perenne e dai saggi di ogni tempo.
Tuttavia se pensiamo che il “noi stessi” da cambiare sia l’immagine che ci siamo creati, se cioè ci identifichiamo con l’ego che è un’immagine costruita dal pensiero, non solo non avviene alcun cambiamento, ma siamo del tutto fuori strada. Cercando di migliorarci, peggioriamo la situazione e le conseguenze sono spesso nevrosi narcisistiche e brucianti frustrazioni.
Tanto è vero che i cosiddetti “sentieri spirituali”, che dovrebbero condurre alla libertà dall’ego, in molti casi lo rafforzano e l’inflazionano e sono note le patologie che ne derivano. Molti si identificano con un’evanescente immagine mentale e la scambiano per un’entità vivente e durevole e cadono ancor più nel samsara della lotta degli opposti.
Il vero cambiamento si manifesta quando l’ego s’arrende alla realtà e riconosce la propria irrealtà… Solo la presa di coscienza del Sé senza forma, che offre una nuova percezione dell’Essere nel qui e ora, fa sì che possiamo agire con spontaneità, con il coraggio e la lucidità necessari per affrontare la vita con intelligenza ed efficacia e giungere all’autorealizzazione.
L’ansia creata dal pensiero anticipatorio, che si è perduto tra possibilità e alternative, paralizza l’intelligenza. La mente confusa dall’ansia non è in grado di affrontare la realtà con attenzione incondizionata. Solo il risveglio di una consapevolezza non frammentata, libera dalla prigione del tempo, conduce all’Unità della Vita. Finalmente si diventa se stessi senza che ci sia qualcuno da impersonare nel “flusso armonico del divenire”.

La liberazione non è mai della persona ma dalla persona!

La gente comune è di solito così coinvolta da fatti personali d’ogni tipo e da una nube di pensieri disordinati, da trovare difficile riflettere sulla radice essenziale di tutti i problemi e così ignora la via che potrebbe risolvere tutti i problemi del vivere. Si teme il confronto con l’ombra, il riconoscimento dell’autoinganno dell’ego. Ma è necessario scendere nel buio interiore per svelare le illusioni mentali che condizionano il vivere. E’ necessario riconoscere che stiamo sognando per svegliarci e vedere le cose con chiarezza attraverso una mente quieta e trasparente.
Per questo la respirazione che utilizzo nella pratica professionale si rivela un catalizzatore molto efficace per bypassare la mente, cogliere l’ineffabile energia che ci anima e intuire il Sé dietro la maschera. Ma se non si sono bene compresi i tranelli della mente, una momentanea estasi non è trasformativa, ben presto diventa ricordo e l’ego se ne impossessa come fosse una credenziale a suo sostegno. La memoria e la fantasia a loro volta possono creare ulteriori illusioni, mentre una nuova maschera ci imprigiona.
Si evita la ricaduta nell’imprigionamento nell’ego immagine, che sempre si nasconde in subdole vesti, comprendendo la stoffa e la sostanza della maschera. Quando la riconosciamo con chiarezza, la maschera si dissolve e ritroviamo il flusso spontaneo del vivere. Ci accorgiamo allora di non aver bisogno di sostenere una parte e neppure di identificarci con la storia personale per vivere in pienezza e autenticità.

Filippo Falzoni Gallerani, Milano, febbraio 2019

Che cosa c’è di “spirituale” in tutto questo

Ricordo che nel 1989-90, quando scrissi il mio primo libro sulle tecniche di respirazione, a causa di un ritardo della stampa, ebbi modo di ricorreggere il testo durante il mio annuale soggiorno in India. Alla prima rilettura ringraziai il cielo di quel ritardo editoriale. Rimasi quasi inorridito nell’accorgermi che avevo scritto almeno nove pagine di severe critiche sull’uso improprio delle tecniche di respirazione, di meditazione ed in particolare del Rebirthing.
Nella serenità himalayana, messe da parte le irritate reazioni dell’ego professionale che aveva dominato in quelle pagine, pensai che non dovevo criticare nessuno e scrivere soltanto ciò che ritenevo corretto senza preoccuparmi di come altri si improvvisassero terapeuti o guide spirituali senza rendersi conto di ingannare sé stessi e i pazienti con fantasie narcisiste. Riconoscevo nel Rebirthing la tecnica più potente ed efficace che avessi mai sperimentato, nonostante i fondatori americani del metodo la associassero a teorie semplicistiche per me inaccettabili.
Di fronte a queste lacune, che screditavano la validità del metodo, pensai fosse sufficiente portare avanti un approccio serio, senza prendere in considerazione le pericolose facilonerie che ne stravolgevano l’efficacia e ne screditavano il nome. Così al mio rientro dall’India portai all’editore Armenia un libro del tutto privo di anatemi e purgato da ogni critica alle scuole americane.
Pochi anni dopo mi fu proposto da Rusconi di scrivere un libro per illustrare in particolare il mio metodo. Nel 1996 pubblicai con il titolo “Rebirthing Transpersonale” un testo più specifico per differenziare il mio approccio, sempre evitando di fare critiche dirette. Da allora sono passati molti anni e ho scritto altri libri e vari articoli in cui ho cercato di evitare critiche dirette ad altre scuole, ma ho trovato indispensabile mettere in luce gli inganni dell’ego. Al giorno d’oggi infatti, internet ha diffuso su vastissima scala insegnamenti di filosofia orientale, meditazione, spiritualità, Yoga, sviluppo personale, Olismo, non-dualismo, ecc., ma molte di queste informazioni non soltanto sono scorrette, ma spesso anche svianti e dannose e devo esprimere il mio dissenso critico per la prospettiva egoica che nascondono. Da un lato tutto ciò che esiste ha diritto di esistere, tutto è un’apparizione momentanea ma per amore di verità mi par doveroso prendere in considerazione gli errori più diffusi e condivisi, se questo può evitare a qualcuno sofferenze e delusioni. L’intelligenza discriminante che svela inganni e illusioni è un ingrediente indispensabile sulla via della liberazione, e nel riconoscere ciò che è falso ritroviamo il vero, senza che ci sia conflitto.
Tutti cercano a loro modo la felicità, il benessere, l’amore, la sicurezza e la pace interiore, ma nella stragrande maggioranza dei casi lo fanno nella direzione sbagliata, e per questo è importante chiarire le coordinate del percorso.
La totalità psicosomatica dell’individuo è un algoritmo estremamente complesso, molto flessibile ma delicato tanto che basta un piccolo squilibrio per rompere l’armonia della salute olistica e l’integrità, che accompagnano la gioia di vivere e la realizzazione di sé. Si potrà vivere anche 90 anni in uno stato di disarmonia, ma non sarà vita pienamente vissuta, ma una faticosa e spesso dolorosa sopravvivenza.
Bastano piccoli blocchi emotivi e i più comuni condizionamenti psicologici, perché si disperda gran parte dell’energia che è alla base dell’intelligenza intuitiva, dell’empatia, dell’entusiasmo e dell’ispirazione.
Ogni cambiamento è impossibile se non da una prospettiva radicalmente diversa da quella comunemente proposta dalle discipline di automiglioramento quando queste non depurate dall’inganno dell’ego. Al contrario delle fantasie misticheggianti e delle estasi prodotte dall’autosuggestione, la liberazione nasce dal doloroso confronto con il lato oscuro, da una crisi, dalla disillusione e dalla resa[1].
Molti approcci, invece di affrontare i blocchi psicofisici e l’erronea prospettiva del ricercatore (gli inganni dell’ego), suggeriscono di pensare positivo e immaginare il cambiamento desiderato per creare così la propria realtà, come se si potesse avere questa libertà creativa senza aver prima riconosciuto chi siamo veramente, cosa stiamo cercando e perché lo cerchiamo.

Cerchiamo la verità che svela il nostro nulla o gratificazioni per l’ego in versione spirituale?

Invero il primo passo per iniziare qualunque processo autenticamente trasformativo è il coraggioso riconoscimento della nostra inconsistenza come individui indipendenti dalla vita stessa. Arrendersi alla realtà conduce al testimone trasparente a sé stesso, libero dal tempo che abbraccia il divenire. Vuoto e Forma, Essere e Divenire, Shiva e Shakti non sono altro che la pienezza della vita vissuta con coraggio e spontaneità.
In questo senso il Mahamudra di Tilopa afferma che “la più alta meta è l’essere ordinario privo di speranza e paura”.
Arrendersi alla realtà non ha nulla a che vedere con la passività, anzi implica attività efficace con il coraggio di vedere le cose come sono e di riconoscere i limiti dell’ego-immagine prigioniero di astrazioni e concetti.
Quell’io fatto di pensieri e aspettative non ha il controllo della situazione, anzi ne ostacola il fluire, ma difficilmente osa riconoscerlo e altrettanto difficilmente lascia la presa.
Questo autoinganno è l’errore più sottile e il problema più diffuso che impedisce di vedere e comprendere sé stessi e il mondo e che conduce ad una falsa percezione di sé.
Ed è per questo che è anche molto difficile da comunicare a chi non abbia il cuore aperto alla vita e la mente aperta al mistero e al sapere di non sapere.
Siamo energia-consapevolezza che abbraccia senza divisioni il reale e ci identifichiamo con un corpo separato dal mondo, seppure sia il corpo, sia le percezioni esistono all’interno di questa stessa consapevolezza, che è la nostra vera natura.
Siamo la vita che anima ogni essere, ma identificati con l’io abbiamo paura di morire e fantastichiamo sulla reincarnazione o la vita eterna come se fosse quell’ego che scompare appena siamo distratti o addormentati a dover durare per sempre… Come spesso ripeto, l’ego è illusorio in quanto è una non-entità, un’immagine mentale, un riflesso del pensiero e questo io vorrebbe trovare la liberazione? Che assurdità… Si spera che duri in eterno invece di comprendere che giova liberarsene immediatamente riconoscendone la natura illusoria e divisiva. Separiamo noi stessi dalla vita immaginando di essere qualcosa-qualcuno di esterno a ciò che percepiamo. Ma quando siamo in armonia tutto fluisce in spontanea pienezza e non c’è sensazione di un io separato con il suo bagaglio di pensieri. Non c’è neppur nessun bisogno di distruggerlo, basta riconoscere cos’è.
Molti pretendono di raggiungere uno stato, lo si chiami: consapevolezza, silenzio mentale, chiarezza, risveglio, ma esso sfugge a qualunque tentativo da parte dell’ego di raggiungerlo perché appartiene a un piano esperienziale oltre le immagini mentali che l’ego incarna, ma neppure lo si raggiunge cercando di annullare l’ego!
La coscienza del Sé è uno stato di totale libertà ed equanimità, che è impensabile per la mente che per natura si basa sulla contrapposizione delle polarità, mentre nella pienezza di sé si coglie la reale interdipendenza degli opposti.
Molti pseudo-insegnamenti spingono gli allievi a cercare qualcosa che non si potrà mai trovare perché si manifesta solo in una coscienza libera dal cercatore e dalla ricerca.
L’ego scompare nella consapevolezza senza scelta di ciò che è e con esso scompaiono i legami del passato e i condizionamenti che ci imprigionano, senza che questo implichi alcun vuoto di memoria, ma solo libertà dal conflitto.
Molti cercano il cambiamento senza comprendere che il problema non è cambiare, ma riconoscere chi vuole farlo, e che se osserviamo bene non abbiamo bisogno di alcun cambiamento perché tutto è già qui se si smette di cercare.
La divisione interiore tra “controllore e controllato”, che in questo modo si instaura, è sempre autofrustrante e cessa di essere un problema quando la accettiamo come semplice gioco della mente.
A volte gli insegnamenti spirituali, le ideologie di liberazione e autotrascendenza, attraverso cui molti cercano di affrancarsi dalla sofferenza, sono travisati a tal punto da amplificare la confusione.
Per vivere lo “stato naturale” (termine con cui Ramana Maharshi indica la coscienza del sé) non si possono usare metodi che complicano la situazione e conducono la mente impreparata ed ego-riferita in un ginepraio di paradossi.
Lo sforzo di liberarsi dallo sforzo crea un doppio sforzo e si è in ansia nella ricerca della pace. È fondamentale comprendere che la meditazione non può essere premeditata dall’ego che vuol liberarsi di sé stesso!
La percezione diventa chiara e luminosa quando siamo coscienti del testimone impersonale che riconosce l’io come una semplice funzione della mente.

[1] Nel mito: Proserpina viene rapita da Plutone, il Dio degli inferi, che un giorno, stanco delle tenebre, decide di affiorare alla luce e vedere un po’ di questo mondo. Plutone, quando vede Proserpina, così bella, viene abbagliato dalla sua bellezza e subito si precipita verso di lei, l’artiglia e la rapisce. Sua madre, la dea Cerere, dopo 9 giorni e 9 notti insonni di dolore, si rivolge a Giove, per implorarlo di riavere la figlia. Alle indecisioni di Giove, Cerere risponde con gravi siccità e carestie sulla Sicilia. Alla fine, Giove, invia Mercurio da Plutone, che deve obbedire e restituire Proserpina. Prima di farla partire, fa mangiare a Proserpina dei chicchi di Melograno. La discesa di Proserpina negli inferi rappresenta il cammino della Coscienza che scende in profondità, ad esplorare e conoscere gli aspetti più bui della personalità, attraverso prove ed errori, e progressive intuizioni, per poi risalire a nuova vita. Il Melograno è simbolo di Risurrezione, ed è per questo che Plutone fa mangiare a Proserpina dei chicchi di melograno, una volta risalita in superficie, alla luce. Plutone è il portatore di gravi turbamenti, viene considerato dal punto di vista simbolico come colui il quale è capace di portare a galla tutto ciò che non è stato ancora trasformato dalla Coscienza: distrugge gli ostacoli che impediscono la sintesi, passando di crisi in crisi. Le prove della siccità e delle carestie fanno parte del cammino dell’ascesa della Coscienza. Mercurio simboleggia la mente superiore, è il messaggero tra gli Dei (la Dimensione Spirituale) e gli uomini (la Dimensione Mentale) e quando compare, Plutone può solo ubbidirgli. Giove, re dell’Olimpo e Dio del Cielo e del Tuono, rappresenta le energie dell’Amore inclusivo e compare sempre a risolvere le situazioni, dopo che il dramma è stato consumato: è la celebrazione dell’Amore, che trionfa, dopo la battaglia e il dolore (Sepe, Onorati, Rubino, Folino, 2012).

Filippo Falzoni G., Milano

Archetipi, aure (Elémire Zolla)

In questa pagina tratta dal libro: – Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, Ediz. Marsilio, Venezia 1981, – Elemire Zolla ci indica quello spazio coscienziale in cui l’ego scompare e per dare luogo all’immedesimazione nel Sé. Zolla esprime con elegante prosa una dimensione che è esperienza frequente delle sedute di Rebirthing Transpersonale. Non è raro infatti che durante le sessioni di respirazione si acceda all’essenza stessa della coscienza, uno stato in cui si percepisce la realtà senza il filtro del pensiero e del tempo e si gode della pura consapevolezza libera da condizionamenti.

Un maestro vedantico, T.M.P. Mahadevan, suggeriva di immergersi meditando nel senso della frase «ho saporitamente dormito», specie su chi, su che cosa sia l’io sottinteso. E un io che si dovrebbe saper cogliere astraendo sia dall’io di veglia che dall’io onirico. Si può far cadere l’accento della frase sul primo membro, dicendo: «io ho dormito saporitamente», e approfondire i significati della meraviglia che si prova per essere quell’io, per la continuità che lo lega all’io di veglia che su di esso sta meditando. Sul discrimine fra veglia e sonno, al risveglio o nell’assopimento, aleggia al di sopra e della veglia e del sogno una traccia dell’io dormiente, persiste o si preannuncia questo io indeterminato, unificato, universale, al di qua di ogni identificazione o proiezione, e tuttavia non del tutto insussistente: un «come» piuttosto che un «qualcosa». Non è insensato, infatti, dire che si dormirà o si è dormito «saporitamente». L’esperienza metafisica è l’esperienza di questo io in qualche modo sussistente nel sonno senza sogni. E’ lecito obiettare che non si sperimenta in modo diretto questo io assopito, perché se ne serba soltanto un ricordo, e nulla comprova che la rimembranza sia autentica. Si è talvolta affermato che nemmeno dell’io onirico, avendone soltanto memoria, si è mai sicuri. Si dimentica però che anche della veglia ci si sovviene soltanto, sia pure a tempi brevissimi: non esiste l’immediatezza, tutto è mediato, memorizzato. Gli anestetici bloccano il ricordo, non la sensazione stessa, il cui engramma, sotto ipnosi, può emergere in pieno. Si dimentica che di sopore è compenetrata la veglia: essa lampeggia in modo discontinuo su un fondo di sonno. Sia un lavoro abituale che un’opera rapinosamente ispirata si eseguono in modo trasognato, da addormentati. Come nei concerti l’apice supremo è un silenzio nel quale è come se si raccogliesse in uno la miriade di pause che costella e compone la musica, così il sonno altro non è che l’apice in cui si raccolgono tutti gl’intervalli di sopore nella veglia, i quali formano come il fondo oro su cui si staglia la discontinuità dell’autocoscienza.

L’Imitazione di Cristo propone come tema di meditazione il quesito: Dove sei quando non sei presente a te stesso? Era una vecchia tecnica devozionale. Si è automaticamente efficienti, lucidi al di là dell’attenzione riflessa, nell’empito entusiasta: la veglia più intensa coincide col sonno profondo. Si esclama talvolta: «Ho perso la nozione dello spazio e del tempo», luogo comune degli innamorati, dei combattenti, degli artisti, di chiunque sia così assorto in ciò che vive da agire come un sonnambulo. Al culmine dell’impegno di veglia si dorme: quando se ne sia perfettamente consapevoli, si è in grado di avvertire nitidamente l’io quasi inafferrabile di «io ho dormito saporitamente», un io elusivo, sottile, quello stesso dei rapimenti estatici, dei momenti nei quali si scivola beatamente lungo un cammino predestinato. Quali opere meravigliose si compiono del resto nel sopore notturno, quali masse smisurate di inani superfluità si scaricano allora nel nulla, quali liberazioni non si ottengono! Basterebbe, al magico istante del transito fra sonno e risveglio, far tesoro della sensazione d’aver saporitamente dormito: sapendola trattenere in cuore, si godrebbe nel pieno tumulto del giorno di una pace profonda. Ma si rilutta ad ammettere che l’io del sonno sia l’identità ideale: una mente servile crede che l’autocoscienza sia superiore all’abbandono, che lo sforzo sia più degno della sprezzatura, come se l’essere non precedesse ontologicamente la coscienza. Una volta che si sia compreso il significato del nostro io di sonno, si può rispondere alla sfida zen: “Mostrami la faccia che avevi prima di venire al mondo”.

Tratto da: E. Zolla, Archetipi, Aure, Verità segrete, Dioniso Errante, Ediz. Marsilio

FILIPPO FALZONI GALLERANI