La vita è il guru supremo (Sri Nisargadatta Maharaj)

5 Dicembre 1970

Interrogante: Veniamo tutt’e due da lontano, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Il mondo in cui viviamo va in pezzi; e poiché siamo giovani, la cosa ci riguarda. I vecchi si augurano di avere una morte naturale, per i giovani non c’è questa speranza. Alcuni di noi possono rifiutare di uccidere, ma nessuno può rifiutare di venire ucciso. C’è una possibilità per noi di raddrizzare il mondo?
Maharaj: Che cosa ti fa credere che il mondo stia finendo?
I.: Gli strumenti di distruzione sono oggi straordinariamente potenti. Inoltre la nostra produttività è diventata nemica della natura e dei valori sociali e culturali.
M.: Stai parlando del presente. Ma è così altrove, e sempre? Una situazione spaventosa può essere temporanea e locale. Una volta trascorsa, sarà dimenticata.
I.: La catastrofe che incombe è di dimensioni immani. Viviamo nel mezzo di un’esplosione.
M.: Ogni uomo soffre solo e muore solo. Le cifre sono irrilevanti. La quantità di morte è la stessa se periscono migliaia di uomini o uno solo.
I.: La natura ne sopprime a milioni, e non è questo che mi spaventa. Può essere tragico e pieno di mistero, ma non è crudele. Ciò che mi fa inorridire è la sofferenza per mano umana, la distruzione e la desolazione. La natura è magnifica nel fare e disfare. Invece v’è meschinità e follia negli atti dell’uomo.
M.: È vero. I vostri problemi non sono il dolore e la morte, ma la bassezza e la follia radicali. E la bassezza non è anche una forma di follia? E la follia, un uso distorto della mente? Il problema umano è appunto questo: l’uso distorto della mente. Tutti i tesori della natura e dello spirito si schiudono per l’uomo che sa usare correttamente la mente.
I.: Qual è il giusto uso della mente?
M.: Paura e avidità causano il cattivo uso della mente. Quello giusto è al servizio dell’amore, della vita, della verità, della bellezza.
I.: Più facile dirlo che farlo. L’amore per la verità, per l’uomo e la buona volontà, sono un lusso! Ce ne vorrebbe tanto per raddrizzare il mondo, ma chi lo fornisce?
M.: Puoi cercare all’infinito la verità e l’amore, l’intelligenza e la buona volontà, implorando Dio e gli uomini invano. Devi incominciare da te, dentro di te: questa è la legge inesorabile. Non puoi cambiare l’immagine senza cambiare il volto. Anzitutto convinciti che il tuo mondo è il riflesso di come sei tu, e smetti di trovare l’errore a furia di ragionamenti. Occupati di te, raddrizza la mente e le emozioni. La volontà materiale seguirà automaticamente. Parli tanto di riforme: sociali, economiche, politiche. Lasciale perdere e bada al riformatore. Che tipo di mondo può costruire un uomo che sia stupido, avido, senza cuore?
I.: Se dobbiamo aspettare che cambi il cuore, bella attesa! È un consiglio di perfezione, il vostro, che è anche di disperazione. Quando tutti siano perfetti, lo sarà anche il mondo. Troppo ovvio!
M.: Ripeto che non puoi cambiare il mondo prima di aver cambiato te stesso: e bada! te stesso, non ognuno. Cambiare gli altri non è attuabile e nemmeno necessario. Ma se cambi te stesso, ti accorgi che non occorre cambiare nient’altro. Per vedere un’altra immagine, basta sostituire il film, non devi assalire lo schermo!
I.: Da dove vi viene tanta sicurezza?
M.: Non è di me che sono sicuro, ma di te. Tutto ciò che ti occorre è smettere di cercare all’esterno quello che puoi trovare solo dentro di te. Raddrizza la tua prospettiva prima di agire. Soffri di un’acuta forma di incomprensione. Detergi la mente, purifica il cuore, santifica la vita: questo è il modo più rapido di cambiare il tuo mondo.
I.: Tanti santi e illuminati hanno vissuto e sono morti. Non hanno cambiato il mio mondo.
M.: Come avrebbero potuto? Il tuo mondo non è il loro, né il loro è il tuo.
I.: Certamente c’è un mondo comune a tutti.
M.: Vuoi dire il mondo delle cose concrete, fatto di energia e materia? Ammesso che esista, non è quello in cui viviamo. Il nostro è un mondo di sentimenti e idee, attrazioni e repulsioni, gradazioni, valori, motivi e stimoli: un mondo completamente mentale. Biologicamente, ci occorre assai poco. I nostri sono problemi di altra natura. Creati da desideri, paure e idee sbagliate, si risolvono solo al livello mentale. Lo scopo è conquistare la mente; ma per farlo, devi andare al di là.
I.: Che significa oltrepassare la mente?
M.: Il corpo lo oltrepassi di già, non è vero? Non segui consapevolmente i processi della digestione, della circolazione e dell’evacuazione: sono automatici. Anche la mente dovrebbe funzionare senza pretendere attenzione. La nostra coscienza della mente e del corpo è pressoché ininterrotta perché ci costringono a occuparcene. Dolore e pena non sono altro che il corpo-mente che strilla perché gli si badi. Per andare oltre il corpo, devi essere sano. Per oltrepassare la mente, devi averla in perfetto ordine. Non puoi lasciarti alle spalle una bolgia, e tirar dritto. Ti c’impantanerai. “Raccogli le tue immondizie” sembra essere la legge universale. E più che giusta.
I.: Posso sapere come siete andato oltre la mente?
M.: Grazie al mio Maestro.
I.: Come fu?
M.: Mi disse ciò che era vero.
I.: Cioè?
M.: Che sono la Realtà Suprema.
I.: E voi?
M.: Gli credetti e l’ho tenuto a mente.
I.: Tutto qui?
M.: Sì, è bastato ricordare le sue parole.
I.: Davvero solo questo?
M.: E ti par poco? Fu un gran cosa ricordare il Maestro e le sue parole. A te do un consiglio anche più modesto: ricordati di te. L'”Io sono” è sufficiente a curare la mente e a portarti al di là. Basta un po’ di fiducia. Sta’ certo che non t’inganno. Voglio niente da te? Ti auguro il bene; questa è la mia natura. Perché dovrei ingannarti?
Anche il buon senso ti conferma che per soddisfare un desiderio devi porci sopra la mente. Se vuoi conoscere la tua vera natura, devi averti in mente tutto il tempo finché il segreto del tuo essere si svelerà.
I.: Perché la reminiscenza di sé porterebbe all’autorealizzazione?
M.: Perché sono i due aspetti di un unico stato. L’autoreminiscenza è nella mente, l’autorealizzazione è al di là. L’immagine nello specchio del volto, al di là dello specchio.
I.: Capisco. Ma qual è lo scopo?
M.: Per aiutare gli altri bisogna essere al di là del bisogno di aiuto.
I.: Voglio essere felice.
M.: Se vuoi dare felicità, sii felice.
I.: Che gli altri badino a sé.
M.: Amico, tu non sei isolato. La felicità che non puoi condividere è spuria. Solo il partecipabile è davvero desiderabile.
I.: Vero. Ma devo ricorrere a un maestro o no? Quello che dite è semplice e convincente. Lo terrò a mente. Ma non per questo vi rende il mio maestro.
M.: Non è l’adorazione di una persona il fatto determinante, ma la fermezza e la profondità della tua dedizione allo scopo. La vita stessa è il Maestro; sii attento alle sue lezioni e obbediente ai suoi comandi. Quando la fonte degli ordini è personalizzata, hai il maestro esterno; quando prendi gli insegnamenti direttamente dalla vita, il maestro è dentro. Comunque sia, egli si rivela parlando. Perciò ricorda, pondera, vivi, ama, cresci, fa’ tua la sua parola. Mettici dentro tutto, e otterrai tutto. Io ho fatto così. Tutto il mio tempo lo dedicavo al Maestro e a ciò che mi diceva.
I.: Sono uno scrittore. Potete darmi qualche consiglio specifico?
M.: Scrivere è sia un talento che un’abilità. Cresci nel talento e sviluppa l’abilità. Desidera ciò che è degno di esserlo, e desideralo bene. Come ti apri un varco nella folla, così ti aprirai la tua via tra gli eventi, senza smarrire la direzione generale. Se sei serio, è facile.
I.: Insistete sull’importanza di essere seri. Ma non siamo uomini di una sola volontà. Siamo un cumulo di desideri e bisogni, istinti e pulsioni. Strisciano gli uni sugli altri. Si alternano nel sopravvento reciproco, ma mai troppo a lungo.
M.: Non ci sono bisogni, ma solo desideri.
I.: Mangiare, bere, riparare e proteggere il corpo; la vita stessa che cos’è?
M.: Il desiderio di vivere è quello fondamentale. Tutto il resto ne dipende.
I.: Viviamo perché dobbiamo.
M.: Viviamo perché bramiamo l’esistenza sensibile.
I.: Una situazione così universale non può essere sbagliata.
M.: Non è sbagliata davvero! A luogo e tempo opportuni, niente lo è. Ma quando ti interessi alla verità, alla realtà, devi mettere in questione tutto, persino la tua vita. Se convalidi la necessità dell’esperienza sensibile e intellettuale, riduci la tua indagine a una ricerca di comodità.
I.: Cerco la felicità, non la comodità.
M.: Conosci una felicità che non sia quella della mente o del corpo?
I.: Ce n’è forse un’altra?
M.: Trovalo da te. Metti in questione ogni spinta, non trattare nessun desiderio come se fosse legittimo. Scevro di possessi, materiali e mentali, libero da qualsiasi preoccupazione per te, sii aperto alla scoperta.
I.: Nella tradizione spirituale dell’India si ritiene che la semplice vicinanza di un santo o di un realizzato agevoli la liberazione, sicché non occorrerebbe altro mezzo. Perché non organizzate una comunità, un ashram nel quale i devoti potrebbero vivervi accanto?
M.: Non appena creo un’istituzione, ne divento il prigioniero. Disponibile per tutti lo sono già. Un tetto e il cibo in comune non renderebbe la gente più ben accetta di ora. Vivere accanto, non significa respirare la stessa aria. Ma aver fiducia e obbedire, non permettere che le buone intenzioni del maestro vadano sprecate. Se hai il tuo maestro sempre nel cuore e ricordi le sue istruzioni: questo significa dimorare nel vero. La vicinanza fisica è la meno importante. Rendi l’intera vita un’espressione della fede e dell’amore per il maestro: questo è il vero dimorare con lui.

Respirazione e autoindagine

Vivere il presente con una consapevolezza non condizionata dal pensiero, in spontanea sintonia con l’attimo, implica il contatto con la propria Essenza: il Sé transpersonale.

Nel silenzio di una mente serena, possiamo riconoscere che la coscienza libera dalla schiavitù dei pensieri è per sua natura in rapporto armonico con il Cosmo. Siamo una sola cosa con la realtà invisibile costituita da miliardi di particelle che compongono il corpo fisico, frutto di milioni d’anni d’evoluzione. Per loro natura le particelle subatomiche che ci compongono sconfinano in dimensioni oltre lo spazio e il tempo. Siamo la somma del processo evolutivo del cosmo dal Big Bang a ora, ma anche del nulla che precede la manifestazione. Siamo prodotto della misteriosa intelligenza-energia-consapevolezza da cui emana la Natura e il Cosmo, e siamo anche il vuoto in cui ha luogo tutto lo spettacolo.
I cento miliardi di neuroni del nostro cervello, ognuno dei quali ha diecimila connessioni con gli altri, fanno del cervello il pezzo di materia più organizzata che l’uomo conosca nell’universo. L’intelligenza che la mente umana può manifestare nell’arte, nella filosofia e nello sviluppo tecnologico, è ben piccola cosa rispetto a quell’intelligenza che ha organizzato il sistema nervoso. Questo straordinario strumento è indispensabile perché arte, religione e scienza possano essere soltanto immaginate.
I saggi di ogni tempo e gli scienziati più illuminati riconoscono che l’uomo può risolvere i suoi problemi solo riconoscendo la propria Unità con la Vita e ritrovando la sorgente di quest’intelligenza-consapevolezza intrinseca alla natura.
L’individuo deve superare l’identificazione con l’immagine di sé che ha costruito, il personaggio che immagina di essere o diventare, sempre alla vana ricerca felicità.
La felicità, infatti, non potrà mai essere raggiunta da una prospettiva egoistica. L’identificazione con l’ego, con la di divisione che produce, è la vera causa della sofferenza e dell’ansia, delle guerre e dei disordini sociali.
La distruzione della natura, non deriva dall’inquinamento e dalla cementificazione, ma dall’egoismo e dall’avidità che producono attività distruttive.
La ricerca del piacere non conduce alla felicità, ma alla frustrazione. I desideri dalla prospettiva egocentrica non potranno mai essere soddisfatti definitivamente, perché, come per la linea dell’orizzonte, appena abbiamo raggiunto la meta, vediamo spostarsi più avanti l’obbiettivo.

CONOSCI TE STESSO

Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”, che si trovava scritto sul tempio dell’oracolo di Delfi, e ripetuto dai saggi in mille modi e con infinite metafore. La psicologia del profondo e la filosofia Orientale sono concordi nell’indicare nell’autoindagine la via del risveglio dall’inganno dell’ego e metodi per superare la separazione tra chi vive e la vita stessa che l’ego crea. L’Unità che è la vera salute Olistica.
In tempi moderni le pratiche di Breathwork sono una via diretta per attingere al mondo interiore e per riconoscere le dinamiche inconsce e i giochi dell’io, poiché nella presenza mentale alle sensazioni si evitano ostacoli creati dal pensiero, poiché non si tratta di capire e interpretare, ma di sperimentare direttamente la Verità.
Ma da secoli si trovano delle pratiche basate sulla respirazione per stabilire il contatto con l’energia e l’Essenza. Il Buddha storico ad esempio ha insegnato la respirazione Vipassana e i maestri di ogni tempo hanno riconosciuto nel respiro una via rapida per accedere alla consapevolezza del Sé.
Attraverso il respiro, il corpo si armonizza e le funzioni organiche trovano il giusto equilibrio, la mente si placa ritrovando contatto con il presente non concettuale e le percezioni interiori diventano nitide e chiare. In questo stato non è raro che l’Unità della Vita appaia auto-evidente.
La prospettiva Transpersonale alla pratica della respirazione è fondamentale perché ogni metodo, insegnato, appreso e applicato con un approccio narcisistico, si rivelerà autofrustrante e inutile. Anziché alla liberazione, ogni tecnica applicata in tal modo conduce a illusioni egocentriche ancor più ingannevoli e “non ci sono peggiori illusioni che quelle che l’uomo crea per liberarsi dall’illusione…
James Hillman ci ha spesso ricordato che i fallimenti della psicanalisi e della psicoterapia in genere dipendono proprio dal narcisismo che domina i terapeuti stessi.
Il Jung infatti si compiaceva di non essere “Junghiano”. Diceva che nel momento in cui incontrava un paziente dimenticava qualunque teoria e permetteva all’inconscio di interagire e di guidare l’esperienza. Non s’identificava con un agente esterno con il compito di dirigere il paziente verso una meta, ma entrava in spontanea interazione con l’altro e in un rapporto dialogico consapevole delle istanze psichiche che emergevano dove la differenziazione e l’integrazione, facilitavano che il processo d’individuazione, avesse luogo nel qui e ora.
Con la respirazione, è più facile accedere a questo sentire immediato, a questa presenza senza aspettative libera da preconcetti che con la semplice meditazione. Ma è sempre cruciale un atteggiamento indirizzato al Transpersonale, che abbia cioè riconosciuto l’illusione del “me” come oggetto.
Tale atteggiamento, che Ramana Maharishi e altri saggi chiamano lo Stato Naturale, è espressione spontanea della consapevolezza non imprigionata dalle gabbie del pensiero.
Non si ricercano fenomeni psichici o esperienze mistiche, ma, si osserva per immedesimazione ciò che li cerca…
Essenzialmente la Psicologia Transpersonale è una versione moderna della Filosofia Perenne e delle tecniche d’autoconoscenza e autotrascendenza che l’umanità ha sviluppato nel corso degli ultimi 30 secoli. Antiche intuizioni sulla natura dell’Essere trovano conferme negli sviluppi della Scienza contemporanea e i nuovi paradigmi quantistico-relativistici conducono a intuire la realtà Olistica dell’Universo e della Coscienza in cui esso si specchia.
La Coscienza è vista come l’interfaccia della materia; la materia è energia fluttuante in uno spazio-tempo relativo. Gli antichi simboli acquistano qui significato coerente Shiva è il Sé, il l’immobile eterno testimone di Mahamaya, il mondo del divenire della manifestazione cosmica, definita anche Mahashakti o l’energia universale che anima la materia.

FILOSOFIA PERENNE

 Aldous Huxley riprese il termine Filosofia Perenne[1] che già Leibniz aveva ripreso da Steuco riconobbe che alla base delle Filosofia Perenne ci sono queste quattro assunzioni fondamentali:

1: Il mondo fenomenico di materia e di coscienza individualizzata, il mondo delle cose, degli animali, degli uomini e persino degli dei, è la manifestazione di una base o substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali hanno il loro essere e separate dal quale sarebbero inesistenti.
2: Gli esseri umani sono in grado non solo di conoscere la Base Divina per pura inferenza, ma possono anche realizzare la sua esistenza attraverso l’intuizione diretta, superiore al pensiero discorsivo. La conoscenza immediata che unisce il conoscitore con la cosa conosciuta.
3: L’uomo possiede una duplice natura, un ego fenomenico e un Sé eterno che è l’uomo interiore, lo spirito, la scintilla del divino nell’anima. È possibile per l’uomo, se lo desidera, identificarsi con lo spirito e quindi con la Base Divina che è della stessa natura dello spirito.
4: La vita dell’uomo sulla terra ha un solo scopo e fine, identificarsi con il Sé eterno e così giungere alla conoscenza unitiva della Base Divina.

Gli Indù affermano che chi non vive direttamente gli insegnamenti è come il pastore di mucche altrui. Nell’Islam, si dice che il filosofo che non sperimenta la sua metafisica è come un asino carico di libri.
Quando si è sentito il richiamo dal profondo all’autoindagine, e ci rivolge alla sorgente dell’“io sono” si inizia a intuire la natura impersonale della coscienza. Ciò permette di percepire oltre all’ego e al pensiero la luminosa trasparenza una coscienza senza confini di che vive nell’Eterno Ora.
Qui la mente sgombra, risponde in sintonia spontanea alle richieste del momento, libera dal conflitto della separazione, dalla nevrosi e dall’ansia del domani. Qui la vita reale si manifesta nella sanità.
Keats scriveva: “Chiama il mondo la valle del fare anima. Così saprai a che cosa serve il mondo”[2].
La vita nella sua pienezza di luci e ombre diventa l’avventura della coscienza e il risveglio dall’illusione del tempo. Si vive nel qui e ora in un mondo sempre nuovo, liberi dai condizionamenti; moriamo e rinasciamo ogni attimo, liberi da qualunque preoccupazione per i personaggi che appaiono sulla scena. Questa consapevolezza del rapporto tra noi e gli eventi offre profondità e chiarezza, è la fine del tempo in cui si assapora l’attimo eterno.
Vivendo in “presa diretta” senza il filtro del pensiero l’io scompare. Il passato è solo ricordo (anch’esso mutevole a ogni fluttuazione dell’umore) e il futuro fantasia… seguivamo fantasmi senza vedere la realtà, ora possiamo godere dell’Essere, ora sentiamo di essere una cosa sola con Sat Cit Ananda[3].
Quando ci dissolviamo davvero nel Sé senza forma, non separato dal mondo della manifestazione, un cosmo senza confini, possiamo affidarci al potere che è a monte di tutti i fenomeni e fluire con la vita stessa.
Inconoscibile e privo di attributi, il Sé è autoevidente come lo spazio. Come lo spazio tuttavia non lo si può definire come qualcosa di concreto e visibile. Non possiamo afferrare lo spazio e la scienza moderna dimostra che è inseparabile dal tempo. Possiamo descrivere solo ciò che contiene, ma tutto ciò che esiste, esiste solo all’interno dello spazio-tempo.
Siamo già in ogni istante e da sempre la sorgente dello spazio tempo a monte dello stesso tessuto di questo Cosmo stupefacente e misterioso, e non occorre certamente far nulla per raggiungere ciò che è.
Non dobbiamo dividerci in due (osservatore e osservato, controllore e controllato) per prendere coscienza della coscienza; è sufficiente rendersi conto che “è” presente e non divisa già ora e da sempre e che in vero noi siamo quello.
È così e ce ne accorgiamo se non interferiamo con concetti mentali, ma resta tale anche quando la mente ci inganna con il senso di separazione. Come Consapevolezza, siamo co-creatori del mondo fenomenico, noi stessi siamo il substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali e le antinomie complementari appaiono e si dissolvono.
Sullo schermo di questa consapevolezza appare l’io, e quando ne abbiamo compreso la natura relativa non ne siamo prigionieri e non prendiamo troppo sul serio le sue vicende. Possiamo vivere in armonia la nostra peculiare personalità senza essere imprigionati. Se invece siamo prigionieri di quest’immagine come fosse la sola realtà diventiamo schiavi di desideri e paure, l’idea della morte ci spaventa. Offuscata la consapevolezza del Sé ricadiamo nell’ansia e nella frustrazione.
I mistici tibetani sin dall’antichità dicono cose analoghe con metafore oggi desuete. Il termine “demone” al giorno d’oggi pare semplice superstizione ma per gli antichi rappresentava, i pensieri che ci nuocciono, quei pensieri di attaccamento egoico che sviano dalla pienezza del sé e quindi producono offuscamento e sofferenza. Si dovrebbe ricordare che termine “diavolo” etimologicamente significa: colui che divide. Riporto le parole tratte da Canti Spirituali di Ma gcig, (Machig Labdron) 1055-1149, una mistica che per i tibetani è un’incarnazione della stessa Tara, la dea protettrice di tutte le popolazioni himalayane.
Compiacersi di una teoria sulla non azione, compiacersi di una meditazione in uno stato equanime, compiacersi di una condotta priva di pensieri distraenti, compiacersi della pratica ascetica: se anche solo per poco ci si comporta in questo modo, considerandoli come oggetti, non si sta percorrendo il cammino spirituale ma quello dei demoni. Poiché la teoria e la meditazione possono essere insegnate solo attraverso simboli, non si creino nella mente concetti fissi. Riguardo alle visioni che sorgono liberamente non si creino costruzioni teoriche. Esse si manifestano senza limiti sorgendo in modo indifferenziato. Non avere alcuna teoria è la nobile pratica della Recisione dei demoni. Poiché tutto è la propria Mente spontanea, colui che medita non ha nulla su cui meditare.

[1] La “philosophia perennis” è anche il concetto centrale della “Scuola tradizionalista”, rappresentata da scrittori del XX secolo quali René Guénon, Frithjof Schuon e Ananda Coomaraswamy, e in Italia da Elémire Zolla.
[2] Per “anima”, dice J. Hillman, io intendo, prima di tutto, più che una sostanza, una prospettiva, più che una cosa in sé, una visuale sulle cose. Questa prospettiva è riflessiva essa media gli eventi e determina la differenza tra noi stessi e tutto ciò che accade. Tra noi e gli eventi, tra l’agente e l’azione, c’è un momento riflessivo, e fare anima significa differenziare questa zona intermedia.
[3] Sat Cita Ananda: Essere, Consapevolezza, Beatitudine. In essenza siamo Sat Cit Ananda.
Sat è Essenza pura e senza tempo, Cit è Consapevolezza e Ananda è beatitudine. Questa trinità è inseparabile poiché ogni aspetto interdipendente.

 

Simboli e visioni nella Psicologia Transpersonale e Archetipica


Una delle illustrazioni con cui Jung ha decorato il Libro Rosso

Nelle tradizioni sapienziali della tradizione classica l’inconscio era concepito come un mondo metafisico e reale abitato da forze benigne e malefiche che possono influenzare e dirigere il nostro vivere. Al giorno d’oggi gli psicologi trattano in genere molto riduttivamente l’inconscio, ad eccezione delle correnti Transpersonali e Archetipiche, di cui parlo in queste righe. Il mondo degli archetipi e delle figure mistiche e mitiche che abitano il regno della psiche, sono state oggetto di studio sin dall’alba delle civiltà ed è alla base di ogni cultura e fonte di conoscenze filosofiche.
La mitologia d’Oriente e d’Occidente, Cristiana e Pagana, mostra la straordinaria ricchezza delle figure che rappresentano le energie che ci dirigono. Le religioni sono ricche di tali immagini simboliche e le visioni e ispirazioni dei fondatori sono le basi della civiltà. Mistici, yoghi, sciamani danno una descrizione di questi mondi immaginali che trova, con nomi diversi, evidenti paralleli in ogni epoca e luogo, tanto da poter riconoscere una realtà oggettiva a queste istanze psichiche. L’Oriente ha conservato opere vastissime come il Mahabharata e il Ramayana ma, oltre alle religioni sono pilastri della nostra cultura universi visionari come l’Odissea e l’Iliade, che sono espressione di questi mondi mitici nei quali l’eroe si deve confrontare con difficili prove per realizzare se stesso. Dopo il confronto con il mondo immaginale sotterraneo, come l’affrontare mostri, sconfiggere demoni, la discesa all’Ade o la salita ai cieli e simili iniziazioni, i premi per l’eroe vittorioso sono il ritorno a casa, la riconquista del regno, la rinascita, la vittoria sulla morte, il risveglio e la liberazione.

Troviamo questi temi in Egitto e in Tibet, in leggende e fiabe, nei racconti di Giasone e il vello d’oro, nei miti Orfici, il per non citare i neoplatonici come il grande Plotino e le sue Enneadi. Le visioni e le immagini che sorgono in noi spontaneamente dall’alba delle civiltà rappresentano la sorgente nascosta di verità esoteriche che il pensiero razionale non può cogliere in quanto si tratta di energie e di stati dell’essere esperienziali e non di concetti.
Nel Rinascimento abbiamo la riscoperta di culti orientali e pagani, e personaggi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Giordano Bruno, trattano ampiamente di fantasmi psichici che la magia e la suggestione posso produrre e di poteri invisibili che ci agiscono.
Nel secolo scorso C. G. Jung ci ha lasciato un’opera grandiosa nella quale ha dato un’interpretazione al significato che hanno per la psiche i simboli religiosi e alchemici, raccogliendo in anni di studi testi medievali e gnostici di inestimabile importanza. In testi come Psicologia e Alchimia e Psicologia e Religione e altri ponderosi volumi i simboli sono tradotti in modo tale da offrire nuove prospettive e illuminanti intuizioni sul vero significato delle religioni e per comprendere gli aspetti esoterici e trasformativi delle dottrine sapienziali.
Jung ha permesso la pubblicazione del Libro Rosso 50 anni dopo la sua scomparsa, perché era certo di non poter essere compreso. I suoi dialoghi interiori con le visioni e immagini sarebbe stata interpretata dalla scienza imperante come una manifestazione psicotica. In verità si tratta di un’opera di sostanziale importanza per la Psicologia del futuro, in quanto la descrizione del rapporto dialettico che Jung ebbe con le immagini dell’inconscio in un periodo critico della sua vita è un percorso iniziatico che, benché intrinsecamente personale, rappresenta il viaggio interiore che dall’alba delle civiltà l’uomo affronta per trovare il proprio vero Sè. Questo ci induce a riconoscere che il processo psicoterapeutico è essenzialmente esperienziale, e le interpretazioni intellettuali per quanto corrette non hanno alcuna efficacia trasformativa se non sono vissute. Jung curò di rappresentare queste esperienze con dipinti che decorano il volume di grande bellezza artistica e calligrafica, molto simile a un codice miniato medievale. Un Pdf del Libro Rosso – testo in Inglese – con le bellissime immagini dipinte da Jung è visibile: https://www.dropbo RedBook.pdf.
Per fare un altro esempio, gli antropologi che hanno sperimentato sostanze psicoattive come l’Ayahuasca e il DMT, sono stati sbalorditi dal constatare che una sostanza chimica può condurre in mondi abitati da presenze dinamiche, entità di forme impensabili che si manifestano per dare il benvenuto e offrire insegnamenti su sconosciute dimensioni dello spazio tempo, sulla natura della coscienza e del cosmo. (Vedi T. McKenna).
Anche queste esperienze confermano la realtà immateriale, ma attiva e operante, di questo mondo potente e vastissimo cui possiamo accedere solo in particolari stati di coscienza. Per ritornare a esperienze comuni, come non ricordare la fantasmagoria di immagini che si possono manifestare nei sogni che occasionalmente rappresentano epifanie stupefacenti e cariche di significato e di precognizione.
Lo studio dei sogni, ovviamente, non inizia nel ‘900 con Freud ma ha radici antichissime, e non solo come mezzo per cogliere presagi, viaggiare nello spazio e nel tempo o per comunicare con i defunti, ma anche come percorso di guarigione. Nell’antica Grecia la terapia passava attraverso il sogno e Terapeutas era colui che assisteva alla guarigione. Il malato era condotto in un tempio sotterraneo dove sarebbe stato guidato da esperti sacerdoti a entrare in un sonno profondo durante il quale la divinità poteva guarirlo attraverso un sogno. Tale metodica era detta “incubazione” e si dice che Jung stesso avesse accesso al mondo visionario che ha descritto, con questa pratica di distacco della mente da tutti i pensieri verso una specie di sonno vigile in cui si può partecipare coscientemente ai sogni. Potrei andare avanti per molte pagine a citare autori che si sono dedicati allo studio di queste realtà ormai rimosse dalla cultura contemporanea, da Neumann a Eliade e in particolare la Psicologia Archetipica di J. Hillman che ha cercato di cogliere la rivelazione che sta alla base del pensiero di Jung, assieme al lavoro e agli scritti di Sonu Shamdasani che ne ha curato l’opera e studiato la vita e le origini del suo pensiero nel modo più minuzioso e profondo. (Per chi desidera approfondire metto in fondo una piccola bibliografia dei testi consultati.)
In anni recenti nell’opera di Peter Kingsley ho trovato un’ennesima attendibile testimonianza che le radici della nostra cultura e il pensiero dei grandi filosofi alla base della nostra logica sono scaturiti da esperienze in stati di coscienza che trascendono il pensiero, in cui l’io del filosofo scompare ed egli è posseduto da una superiore consapevolezza, la si chiami Daimon, Atman, Sé, o Logos… Kingsley dimostra con appassionanti studi storici come i filosofi presocratici iniziati ai misteri portassero dall’esperienza nell’altra realtà una visione che distruggeva la comune percezione condivisa dagli uomini, che la si chiami Avidya, Maya o inganni dell’io. In stati di assorbimento interiore i filosofi incontravano gli dèi che mostravano loro una realtà indivisa senza tempo oltre la mente, la nascita e la morte, senza creazione né distruzione.
Posseduti dal contatto con la divinità erano iniziati alla percezione della realtà atemporale, all’attimo eterno, alla coscienza indivisa dell’Uno primordiale da cui siamo emanati… Queste esperienze interiori erano la chiave della saggezza e della comprensione dei problemi umani. Kingsley mostra chiaramente come tutto questo non è stato compreso poiché non si tratta di concetti astratti ma di stati di coscienza non ordinari di consapevolezza unitaria oltre all’ego, inesprimibili con le parole. Cercando di razionalizzare il messaggio esso diventa oscuro, ed è per questo che abbiamo perduto le radici di saggezza della nostra stessa cultura e siamo prigionieri del pensiero frammentato.
Nei secoli gli studiosi di Parmenide invece di cercare l’iniziazione all’altra realtà da cui egli aveva tratto la conoscenza, si sono limitati a discutere sulle sue parole come il fondatore del pensiero “razionale”, trascurando due aspetti fondamentali del suo modo di accedere alla conoscenza: Metis e Elenchos. Metis è la particolare qualità di intensa consapevolezza che senza sforzo può essere consapevole di tutto all’istante. Mentre le nostre menti vaganti se ne vanno nei loro viaggi senza fine, essa sta sempre a casa. E la sua casa è ovunque. Metis, sente, ascolta, osserva… (Sembrano parole di Krishnamurti sull’attenzione non divisa). Il termine Elenchos rappresenta la capacità di comprendere e comunicare in modo convincente le verità ispirate dalla dea.
Ecco alcune righe tratte da una libera traduzione del libro: “Reality”, pag. 153, Cap. 12, Scrive Kingsley:
“Il fatto che entrambi Parmenide e Socrate abbiano dato particolare importanza al processo di elenchos è molto significativo considerando che sono spesso visti come i due grandi padri della filosofia. E potrebbe sembrare sorprendente che questa corrispondenza non sia mai stata considerata e compresa. Ma a un esame più attento possiamo capire perché pochi hanno voluto farlo. La pratica di elenchos non era una questione di scelta personale o di soddisfazione per Socrate. I resoconti concordano che ha fatto ciò che ha fatto, spinto da un comando divino: gli era stato ordinato di farlo dagli dei. Parmenide, spiega che il processo di elenchos gli fu rivelato da un essere divino. Anche lui non aveva alcuna scelta in merito. Gli fu dato il divino comando di riportare ciò che era stato mostrato in un altro mondo, oltre al mondo dei viventi; ed è questo esattamente quello che fece. I due padri fondatori di una filosofia “razionale” invero stavano entrambi portando avanti una missione per conto degli dei. Per tutta la sua vita Socrate continuò a ricevere la guida divina che lo aveva portato innanzitutto alla pratica dell’elenchos. Ci arrivò attraverso oracoli, ma soprattutto attraverso i sogni. Per quanto riguarda Parmenide: le prove lo connettono con un lignaggio di sacerdoti esperti di incubazione e dell’evocare la guida divina attraverso i sogni. E il poema che espone il suo insegnamento su elenchos è il risultato diretto di un’incubazione, esperienza che lo ha portato faccia a faccia con la dea. Troviamo lo stesso processo di base che si ripete da secoli, più tardi, con i cosiddetti scrittori ermetici in Egitto, che lasciarono testi che registrano la conoscenza divina ricevuta in stati di incubazione, che poi sono stati incaricati di rendere disponibile agli altri esseri umani. Per tornare all’essenziale: il nocciolo del processo di elenchos mostrato a Parmenide dalla dea consisteva nel fatto che gli uomini e le donne “non sanno nulla”. “Non sapere nulla”. Il cuore del messaggio di Socrate e lo scopo incrollabile dei suoi elenchos era di mostrare alle persone che non sanno niente. Non c’era speranza di conoscenza reale senza prima aver accettato e compreso questo. Gli elenchos di Socrate presero la forma molto particolare nel fare sì che le persone con cui parlava si contraddicessero: rivelare che nonostante la loro apparente conoscenza, erano completamente in autocontraddizione con sé stessi. Per Parmenide e Socrate, l’umana condizione mostra che siamo totalmente in contraddizione con noi stessi – viviamo, camminiamo in auto contraddizione – e tutta la nostra intelligenza e le migliori intenzioni peggiorano soltanto la situazione”…
L’uomo nell’antichità percepiva una coscienza che permea e trascende la natura, mentre lo scientismo moderno riduce tutto a materia e non considera reale ciò che non è misurabile… L’inconscio è tutto ciò che si muove in noi al di fuori del raggio della nostra consapevolezza, e la nostra consapevolezza ordinaria è molto superficiale, spesso è un chiacchierio legato a fatti quotidiani di nessuna importanza, a desideri e timori e dalla ricerca di sicurezza e piacere. Raramente ascoltiamo i moti profondi dell’animo e siamo all’oscuro di tutti i processi fisiologici che si svolgono naturalmente senza la nostra partecipazione. Anche la respirazione, che è una funzione sia volontaria, sia involontaria, è quasi sempre meccanica ed estranea al nostro sentire. E’ inconscia l’eredità non solo fisica e cromosomica, ma anche culturale di tutti gli antenati e non ci rendiamo conto di essere espressione dell’inconscio collettivo che domina il nostro sentire sino a quando, attraverso l’autoindagine, ci differenziamo da esso esprimendo le nostre autentiche peculiarità. Dentro di noi, oltre i confini angusti della memoria e dell’io fenomenico, ci sono le radici profonde dell’Essere, l’afflato dello Spirito e del Soffio che ci tiene in vita e che ci anima come consapevolezza. Scendendo consapevolmente sino a queste radici della coscienza si giunge alla meta di ogni ricerca metafisica e conoscenza di Sé, cioè all’Unità che è l’Alpha e l’Omega e l’integrazione di Yin e Yang.
E’ l’armonia e la pienezza che nasce dall’integrazione degli opposti, maschile e femminile, Essere e divenire, vuoto e forma, il Sé e l’io. Al giorno d’oggi c’è molta confusione su questo tipo d’esperienze, da un lato l’umanità è sempre più imprigionata dal pensiero razionale materialista e dalla natura meccanica della società, dall’altro si nota che, a parte alcune ottime pubblicazioni che permetterebbero una seria guida alla conoscenza, c’è un proliferare di correnti pseudo spirituali che insegnano una parodia di ogni vera esperienza metafisica. Le follie dei falsi maestri che plagiano i creduloni ha disgustato molti, tanto che a sentir parlare di visioni spirituali si sospetta subito qualcosa di malato.
Nell’attuale decadenza culturale a volte si confondono prodotti della fantasia e dell’auto suggestione per autentiche esperienze psichiche, oppure ci si rifiuta del tutto di prendere in considerazione il mondo dell’anima. Ho trattato in altre pagine la cosiddetta “pre-trans fallacy” ovvero la confusione tra le esperienze pre-egoiche con le esperienze transegoiche, delle prerazionali con le transrazionali, delle pre-personali con le transpersonali, in quanto tutte appartenenti a una dimensione non egoica, personale e razionale, si possono confondere tra loro mentre sono di natura radicalmente diversa, in un caso prima della ragione nell’altro oltre la ragione, ecc. Non riconoscere questa differenza porta a considerare fantasie isteriche e le visioni di un mistico, o viceversa considerare uno stato catatonico un samadhi. Alcuni psichiatri riducono tutti gli stati meditativi a una regressione patologica e, sul fronte opposto, praticanti entusiasti ma inesperti, considerano meditazione dei momentanei stati di assenza che sono invero semplici fughe dalla realtà.
C’è poi un altro aspetto altrettanto importante: se scartiamo l’auto suggestione e le fantasie egoiche, le espressioni della psiche anche quando sono autentiche spontanee possono ingannare e produrre squilibri della personalità quando non le si coglie in modo corretto. Gli archetipi hanno caratteristiche numinose e mitiche che possono condurre chi non è preparato fuori strada in quanto l’identificare l’io fenomenico con l’archetipo è patologico. Userò l’esperienza di una partecipante a un mio seminario come esempio adatto a chiarire ciò che vorrei esprimere.
M. mi scrive dopo un recente seminario: Racconto dell’esperienza: “All’inizio della visione ero in un posto invaso da un’intensa luce gialla, dove tutti i partecipanti al seminario erano uniti con me in un canto corale di preghiera, bellissimo, erano chini, ma potenti nel canto. Lo spazio si è poi dilatato all’infinito e tutti noi eravamo nella luce di un deserto africano, ma non era caldo. Si è quindi unita a noi una folla immensa di persone vestite con una tunica color tabacco e pregavano cantando, chini anche loro. Io ufficiavo una cerimonia sacra, all’inizio ero con loro, poi non li ho più visti, ero da sola in uno spazio infinito e, dalle mie spalle, si è alzato lentamente un cobra, è andato verso il collo, è salito dalla nuca, su lungo la testa, poi sopra la testa e la sua testa era lì sopra come un piccolo ombrello che mi proteggeva, potente. Io ho iniziato ad allungarmi indietro, come fossi il cobra, (se tentassi di farlo ora mi spaccherei la schiena!). E’ andata avanti così per un po’: avevo bisogno di allungarmi indietro. Era liberatorio, potente e bellissimo. La mia parte razionale ha cominciato a dirmi che era meglio non correre rischi fisici. Quando ho smesso di chinarmi indietro, mi è arrivato un messaggio dall’alto: “hai il tuo posto, prendilo!” (è da ieri che continuo a chiedermi quale è il mio posto, cribbiolino e poi, che tipo di posto??? spirituale? devo cominciare a fare qualcosa che fino ad ora non ho mai fatto? devo andare in qualche posto? devo cambiare qualcosa nella mia vita? Falzoni illuminami per favore! Altrimenti diglielo tu a quello che mi parla di essere più chiaro! Questo è quanto. Se hai tempo, se hai voglia, mi piacerebbe leggere un tuo commento”.
La persona è una signora matura ed equilibrata, che non si è mai particolarmente interessata allo yoga o alla ricerca metafisica, e che affronta queste visioni con il dovuto distacco e ironia. Grazie alla mia presentazione del metodo ha evitato di inflazionare il proprio ego con fantasie di grandezza. Avvicinarsi senza le opportune indicazioni a questo tipo di fenomeni l’avrebbe potuta portare a considerarsi una persona davvero “speciale”, prescelta per un grande compito umanitario… Immagino quanti maestri improvvisati le avrebbero detto che aveva ricordato una vita passata in cui era una grande sacerdotessa e ora deve ritrovare tale autorevole stato. Questo è il pericolo “dell’ego spirituale”: la miglior maschera in cui nascondersi, che porta a fantasie di onnipotenza ad illusioni, frustrazioni e conflitti. Si possono comprendere questo tipo di comunicazioni che giungono dall’inconscio senza gonfiare l’ego.

Quando M. sente dentro di sé: “hai il tuo posto, prendilo!possiamo intenderlo come: “diventa ciò che sei” di Nietzsche, ovvero realizza il tuo vero Sé, vivi con autenticità, certo non è un suggerimento di diventare chissà chi. La realizzazione del Sè (l’autorealizzazione) è presagita dall’inconscio con immagini iniziatiche e mistiche che sono solo simboli di sanità. Se il soggetto immagina di essere esaltato a ruoli di grandezza mistica invece di liberarsi ed emanciparsi dall’ego per vivere in autenticità spontanea, può invece cadere in un’illusione maniacale narcisistica.
Per trovare sé stessi non c’è bisogno di immaginarie iniziazioni in monasteri segreti, né si deve diventare differenti e “spirituali”.
Si tratta della folgorante scoperta dell’illusorietà dell’io fenomenico separato dal Sé trascendente da cui emerge, che è risvegli e liberazione da pensieri e illusioni. Ci si accorge semplicemente che siamo già e da sempre ciò che cercavamo… Non cambiamo il nostro comportamento esteriore, ma non siamo più “divisi”. I conflitti io/altro, mente/corpo, coscienza/natura, son dissolti nella pienezza… Uno stato che “intender non lo può chi non lo prova”. Il risveglio si rivela una realtà assolutamente differente dall’idea che comunemente si immagina. Non assomiglia per nulla a quanto pensavamo dell’illuminazione. Non c’è nessuno che si illumini, piuttosto si dissolve il cercatore dell’illuminazione.
È la chiara percezione della realtà, senza il filtro del pensiero condizionante dall’egocentrismo. In un certo senso si potrebbe dire che non succede nulla, che non cambia proprio nulla eppure è finita la lotta, è finita la ricerca, fine del conflitto e dell’insoddisfazione. Si è dissolta la paura della morte e l’attaccamento al mutevole divenire, senza né controllo né abbandono, si vive con spontanea autenticità. Non c’è bisogno che di alcun riconoscimento da parte di nessuno, perché si vive in una straordinaria semplicità e chiarezza, senza bisogno di sostenere nessuna parte e ruolo se in naturale semplicità… Fluire con la vita perché siamo la Vita e non separati da essa, offre una straordinaria sensazione di libertà e pienezza. Al contrario chi si esalta posseduto dall’idea di incarnare il personaggio del risvegliato o del prescelto, ricade ancor più nel dualismo e in nevrosi narcisistiche. Il principale danno all’integrità dell’individuo che fraintende il messaggio spirituale è l’autoinganno che impedisce di ragionare con chiarezza in una paralisi dell’intelligenza. Per questo molti rifiutano di avvicinarsi ad argomenti metafisici, che anche la persona istruita le guarda con sospetto nel dubbio nascondano irrazionalità e follia. La ricerca di sé, invero, è un cammino difficile, ma, se da un lato possiamo vedere nel mondo la decadenza e il nichilismo, dall’altro vediamo sorgere l’alba di una nuova coscienza e un’emergente rinascita spirituale. Ed è proprio in questi tempi di rapida trasformazione che la realizzazione di sé diventa una necessità, e la sola guida sicura la troviamo nella riscoperta della saggezza perenne che nasce dalla pace mentale e dal risveglio del cuore.

FilippoFalzoni Gallerani, Milano 2019

27 agosto 1946 Mircea Eliade esule a Parigi scrive nel diario:
Penso di essere il solo a poter superare gli insuccessi a catena, le sofferenze, le malinconie, la disperazione, nel momento in cui, con uno sforzo di lucidità e di volontà, capisco che rappresentano, nel senso concreto, immediato del termine, una discesa agli Inferi. Appena uno “capisce” che sta realizzando questo smarrimento labirintico negli Inferi, sente di nuovo, decuplicate, quelle forze spirituali che credeva di aver perduto da lungo tempo. In quell’istante, ogni sofferenza diventa una “prova” iniziatica.

Bibliografia:

Calasso R.: Ka, Adelphi Milano 1996
Calasso R.: Le Nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano, 1998
Calasso R.: La Letteratura degli Dei, Adelphi, Milano, 2001
Coomaraswamy A. K.: Induismo e Buddismo. Storia, dottrina, credenze e scritture sacre, Rusconi Editore Milano, 1973-94
Coomaraswamy A. K.: La Danza di Shiva, Adelphi Milano 2011
Culianu Petrus: Eros e Magia Nel Rinascimento, Edizioni Boringhieri, Torino, 2006
De Quincey T.: Le Confessioni di un Mangiatore d’Oppio, Rizzoli Editore Milano, 1956
David Neel A.: La vita sovrumana di Gesar di Ling, Edizioni Mediterranee Roma, 1990
Eliade Mircea: Giornale, Ediz. Boringhieri Torino 1976
Eliade Mircea: Immagini e Simboli, Edizioni Jaca Book Milano 1980
Eliade Mircea: La Creatività dello Spirito, Edizioni Jaca Book Milano 1975
Eliade Mircea: Lo Sciamanesimo e le Tecniche dell’Estasi, Edizioni Mediterranee Roma 1974
Eliade Mircea: Storia delle Credenze e delle Idee Religiose, Sansoni Editore Firenze Tre vol. 1979-1980-1983
Fabbro F.: Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, Edizioni Ubaldini, Roma, 2010
Falzoni-Gallerani F.: Rebirthing Transpersonale, Edizioni Rusconi Milano 1996
Falzoni-Gallerani F.: L’Io Trasparente, 2 vol. edizione privata. Milano 2005
Falzoni-Gallerani F.: La saggezza non dualista. edizione privata, Milano 2009
Kingsley P.: Nei luoghi oscuri della saggezza”, Marco Tropea Editore, Milano 2001,
Kingsley P.: Reality, The Golden Sufi Center
Kingsley P.: A story waiting to pierce you, The Golden Sufi Center, 2010
Hillman J.: Il lamento dei morti, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino, 2014
Hillman J.: Anima, Edizioni Adelphi Milano 1989 Hillman J.: Animali del Sogno, Cortina Editore Milano 1991
Hillman J.: Il Codice dell’Anima, Edizioni Adelphi Milano 1997
Hillman J.: Il Mito dell’Analisi, Edizioni Adelphi Milano 1979
Hillman J.: Il Sogno ed il Mondo Infero, Edizioni il Saggiatore Milano 1988
Hillman J.: Le Storie che Curano, Cortina Editore Milano 1984
Hillman J.: Re-visione della Psicologia, Edizioni Adelphi Milano 1983
Hillman J.: Saggio su Pan, Edizioni Adelphi Milano 1977
Hillman J.: Trame Perdute, Cortina Editore Milano 1985
Horvath Gabriela D.: Shakespeare. Ermetismo, mistica, magia, Biblioteca studi Inglesi e Edizioni di storia e letteratura Roma 2003
Huxley A.: Filosofia Perenne, Edizioni Adelphi 1995
Jung C.G.: Il Libro Rosso, Editore Boringhieri Torino 2010-2012
Jung C.G.: Simboli della Trasformazione, Editore Boringhieri Torino 1970
Jung C.G.: Gli Archetipi e l’Inconscio Collettivo, Editore Boringhieri Torino 1976
Jung C.G.: Psicologia e Religione, Editore Boringhieri Torino 1979
Jung C.G.: Mysterium Coniuctionis, Editore Boringhieri Torino 1990
Jung C.G. Lo Zarathustra di Nietzsche, tre volumi Editore Boringhieri Torino, 2011
Jung C.G.: Aion Ricerche sul Simbolismo del Sé, due vol. Editore Boringhieri Torino 1982
Jung C.G. e altri: L’Uomo e i Suoi Simboli, Edizioni Longanesi Milano, 1980
Magris A.: Invito al Pensiero di Plotino, Mursia Editore Milano 1986
Matgioi (Giorge A. Puyou conte di Pourville): La Via Metafisica, Edizioni Luni, Milano, 2005
McKenna T.: Il Nutrimento degli Dei, Edizioni Urrà Apogeo Milano 1995
McKenna T.: Vere Allucinazioni, Edizioni Shake Milano 1995
Meier C. A.: Il Sogno Come Terapia, Edizioni Mediterranee Roma 1987
Neumann E.: Storia delle Origini della Coscienza, Edizioni Ubaldini, Roma, 1978
Neumann E.: La Grande Madre, Edizioni Ubaldini, Roma, 1981
Neumann E.: Amore e Psiche, Edizioni Ubaldini, Roma, 1989
René Guenon, Tradizione e Simbolismo, Edizioni Luni Milano, 2017
Schuon F. Logica e Trascendenza, Edizioni Mediterranee, Roma, 2013
Shamdasani Sonu: C.G. Jung a Biography in Books, Published by W.W. Norton & Company, Inc. 2012
Shamdasani Sonu: Fatti e Artefatti, Edizioni Magi Roma, 2004
Zolla E.: Archetipi, Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, Edizioni Marsilio, 1981
Zolla E.: Le tre vie. Soluzioni sovrumane in terra indiana, Adelphi 1995
Zolla E.: Discesa all’Ade e resurrezione, Adelphi, 2002
Zolla E., Marchianò G.: Filosofia perenne e mente naturale, Edizioni Marsilio, 2013

Che cosa c’è di “spirituale” in tutto questo

Ricordo che nel 1989-90, quando scrissi il mio primo libro sulle tecniche di respirazione, a causa di un ritardo della stampa, ebbi modo di ricorreggere il testo durante il mio annuale soggiorno in India. Alla prima rilettura ringraziai il cielo di quel ritardo editoriale. Rimasi quasi inorridito nell’accorgermi che avevo scritto almeno nove pagine di severe critiche sull’uso improprio delle tecniche di respirazione, di meditazione ed in particolare del Rebirthing.
Nella serenità himalayana, messe da parte le irritate reazioni dell’ego professionale che aveva dominato in quelle pagine, pensai che non dovevo criticare nessuno e scrivere soltanto ciò che ritenevo corretto senza preoccuparmi di come altri si improvvisassero terapeuti o guide spirituali senza rendersi conto di ingannare sé stessi e i pazienti con fantasie narcisiste. Riconoscevo nel Rebirthing la tecnica più potente ed efficace che avessi mai sperimentato, nonostante i fondatori americani del metodo la associassero a teorie semplicistiche per me inaccettabili.
Di fronte a queste lacune, che screditavano la validità del metodo, pensai fosse sufficiente portare avanti un approccio serio, senza prendere in considerazione le pericolose facilonerie che ne stravolgevano l’efficacia e ne screditavano il nome. Così al mio rientro dall’India portai all’editore Armenia un libro del tutto privo di anatemi e purgato da ogni critica alle scuole americane.
Pochi anni dopo mi fu proposto da Rusconi di scrivere un libro per illustrare in particolare il mio metodo. Nel 1996 pubblicai con il titolo “Rebirthing Transpersonale” un testo più specifico per differenziare il mio approccio, sempre evitando di fare critiche dirette. Da allora sono passati molti anni e ho scritto altri libri e vari articoli in cui ho cercato di evitare critiche dirette ad altre scuole, ma ho trovato indispensabile mettere in luce gli inganni dell’ego. Al giorno d’oggi infatti, internet ha diffuso su vastissima scala insegnamenti di filosofia orientale, meditazione, spiritualità, Yoga, sviluppo personale, Olismo, non-dualismo, ecc., ma molte di queste informazioni non soltanto sono scorrette, ma spesso anche svianti e dannose e devo esprimere il mio dissenso critico per la prospettiva egoica che nascondono. Da un lato tutto ciò che esiste ha diritto di esistere, tutto è un’apparizione momentanea ma per amore di verità mi par doveroso prendere in considerazione gli errori più diffusi e condivisi, se questo può evitare a qualcuno sofferenze e delusioni. L’intelligenza discriminante che svela inganni e illusioni è un ingrediente indispensabile sulla via della liberazione, e nel riconoscere ciò che è falso ritroviamo il vero, senza che ci sia conflitto.
Tutti cercano a loro modo la felicità, il benessere, l’amore, la sicurezza e la pace interiore, ma nella stragrande maggioranza dei casi lo fanno nella direzione sbagliata, e per questo è importante chiarire le coordinate del percorso.
La totalità psicosomatica dell’individuo è un algoritmo estremamente complesso, molto flessibile ma delicato tanto che basta un piccolo squilibrio per rompere l’armonia della salute olistica e l’integrità, che accompagnano la gioia di vivere e la realizzazione di sé. Si potrà vivere anche 90 anni in uno stato di disarmonia, ma non sarà vita pienamente vissuta, ma una faticosa e spesso dolorosa sopravvivenza.
Bastano piccoli blocchi emotivi e i più comuni condizionamenti psicologici, perché si disperda gran parte dell’energia che è alla base dell’intelligenza intuitiva, dell’empatia, dell’entusiasmo e dell’ispirazione.
Ogni cambiamento è impossibile se non da una prospettiva radicalmente diversa da quella comunemente proposta dalle discipline di automiglioramento quando queste non depurate dall’inganno dell’ego. Al contrario delle fantasie misticheggianti e delle estasi prodotte dall’autosuggestione, la liberazione nasce dal doloroso confronto con il lato oscuro, da una crisi, dalla disillusione e dalla resa[1].
Molti approcci, invece di affrontare i blocchi psicofisici e l’erronea prospettiva del ricercatore (gli inganni dell’ego), suggeriscono di pensare positivo e immaginare il cambiamento desiderato per creare così la propria realtà, come se si potesse avere questa libertà creativa senza aver prima riconosciuto chi siamo veramente, cosa stiamo cercando e perché lo cerchiamo.

Cerchiamo la verità che svela il nostro nulla o gratificazioni per l’ego in versione spirituale?

Invero il primo passo per iniziare qualunque processo autenticamente trasformativo è il coraggioso riconoscimento della nostra inconsistenza come individui indipendenti dalla vita stessa. Arrendersi alla realtà conduce al testimone trasparente a sé stesso, libero dal tempo che abbraccia il divenire. Vuoto e Forma, Essere e Divenire, Shiva e Shakti non sono altro che la pienezza della vita vissuta con coraggio e spontaneità.
In questo senso il Mahamudra di Tilopa afferma che “la più alta meta è l’essere ordinario privo di speranza e paura”.
Arrendersi alla realtà non ha nulla a che vedere con la passività, anzi implica attività efficace con il coraggio di vedere le cose come sono e di riconoscere i limiti dell’ego-immagine prigioniero di astrazioni e concetti.
Quell’io fatto di pensieri e aspettative non ha il controllo della situazione, anzi ne ostacola il fluire, ma difficilmente osa riconoscerlo e altrettanto difficilmente lascia la presa.
Questo autoinganno è l’errore più sottile e il problema più diffuso che impedisce di vedere e comprendere sé stessi e il mondo e che conduce ad una falsa percezione di sé.
Ed è per questo che è anche molto difficile da comunicare a chi non abbia il cuore aperto alla vita e la mente aperta al mistero e al sapere di non sapere.
Siamo energia-consapevolezza che abbraccia senza divisioni il reale e ci identifichiamo con un corpo separato dal mondo, seppure sia il corpo, sia le percezioni esistono all’interno di questa stessa consapevolezza, che è la nostra vera natura.
Siamo la vita che anima ogni essere, ma identificati con l’io abbiamo paura di morire e fantastichiamo sulla reincarnazione o la vita eterna come se fosse quell’ego che scompare appena siamo distratti o addormentati a dover durare per sempre… Come spesso ripeto, l’ego è illusorio in quanto è una non-entità, un’immagine mentale, un riflesso del pensiero e questo io vorrebbe trovare la liberazione? Che assurdità… Si spera che duri in eterno invece di comprendere che giova liberarsene immediatamente riconoscendone la natura illusoria e divisiva. Separiamo noi stessi dalla vita immaginando di essere qualcosa-qualcuno di esterno a ciò che percepiamo. Ma quando siamo in armonia tutto fluisce in spontanea pienezza e non c’è sensazione di un io separato con il suo bagaglio di pensieri. Non c’è neppur nessun bisogno di distruggerlo, basta riconoscere cos’è.
Molti pretendono di raggiungere uno stato, lo si chiami: consapevolezza, silenzio mentale, chiarezza, risveglio, ma esso sfugge a qualunque tentativo da parte dell’ego di raggiungerlo perché appartiene a un piano esperienziale oltre le immagini mentali che l’ego incarna, ma neppure lo si raggiunge cercando di annullare l’ego!
La coscienza del Sé è uno stato di totale libertà ed equanimità, che è impensabile per la mente che per natura si basa sulla contrapposizione delle polarità, mentre nella pienezza di sé si coglie la reale interdipendenza degli opposti.
Molti pseudo-insegnamenti spingono gli allievi a cercare qualcosa che non si potrà mai trovare perché si manifesta solo in una coscienza libera dal cercatore e dalla ricerca.
L’ego scompare nella consapevolezza senza scelta di ciò che è e con esso scompaiono i legami del passato e i condizionamenti che ci imprigionano, senza che questo implichi alcun vuoto di memoria, ma solo libertà dal conflitto.
Molti cercano il cambiamento senza comprendere che il problema non è cambiare, ma riconoscere chi vuole farlo, e che se osserviamo bene non abbiamo bisogno di alcun cambiamento perché tutto è già qui se si smette di cercare.
La divisione interiore tra “controllore e controllato”, che in questo modo si instaura, è sempre autofrustrante e cessa di essere un problema quando la accettiamo come semplice gioco della mente.
A volte gli insegnamenti spirituali, le ideologie di liberazione e autotrascendenza, attraverso cui molti cercano di affrancarsi dalla sofferenza, sono travisati a tal punto da amplificare la confusione.
Per vivere lo “stato naturale” (termine con cui Ramana Maharshi indica la coscienza del sé) non si possono usare metodi che complicano la situazione e conducono la mente impreparata ed ego-riferita in un ginepraio di paradossi.
Lo sforzo di liberarsi dallo sforzo crea un doppio sforzo e si è in ansia nella ricerca della pace. È fondamentale comprendere che la meditazione non può essere premeditata dall’ego che vuol liberarsi di sé stesso!
La percezione diventa chiara e luminosa quando siamo coscienti del testimone impersonale che riconosce l’io come una semplice funzione della mente.

[1] Nel mito: Proserpina viene rapita da Plutone, il Dio degli inferi, che un giorno, stanco delle tenebre, decide di affiorare alla luce e vedere un po’ di questo mondo. Plutone, quando vede Proserpina, così bella, viene abbagliato dalla sua bellezza e subito si precipita verso di lei, l’artiglia e la rapisce. Sua madre, la dea Cerere, dopo 9 giorni e 9 notti insonni di dolore, si rivolge a Giove, per implorarlo di riavere la figlia. Alle indecisioni di Giove, Cerere risponde con gravi siccità e carestie sulla Sicilia. Alla fine, Giove, invia Mercurio da Plutone, che deve obbedire e restituire Proserpina. Prima di farla partire, fa mangiare a Proserpina dei chicchi di Melograno. La discesa di Proserpina negli inferi rappresenta il cammino della Coscienza che scende in profondità, ad esplorare e conoscere gli aspetti più bui della personalità, attraverso prove ed errori, e progressive intuizioni, per poi risalire a nuova vita. Il Melograno è simbolo di Risurrezione, ed è per questo che Plutone fa mangiare a Proserpina dei chicchi di melograno, una volta risalita in superficie, alla luce. Plutone è il portatore di gravi turbamenti, viene considerato dal punto di vista simbolico come colui il quale è capace di portare a galla tutto ciò che non è stato ancora trasformato dalla Coscienza: distrugge gli ostacoli che impediscono la sintesi, passando di crisi in crisi. Le prove della siccità e delle carestie fanno parte del cammino dell’ascesa della Coscienza. Mercurio simboleggia la mente superiore, è il messaggero tra gli Dei (la Dimensione Spirituale) e gli uomini (la Dimensione Mentale) e quando compare, Plutone può solo ubbidirgli. Giove, re dell’Olimpo e Dio del Cielo e del Tuono, rappresenta le energie dell’Amore inclusivo e compare sempre a risolvere le situazioni, dopo che il dramma è stato consumato: è la celebrazione dell’Amore, che trionfa, dopo la battaglia e il dolore (Sepe, Onorati, Rubino, Folino, 2012).

Filippo Falzoni G., Milano

Serenità e fortuna

“Mi è sempre stato chiaro che la teoria New Age, secondo la quale immaginando una cosa con convinzione la si fa accadere, fosse ingannevole. E’ ovvio che avere in mente un progetto chiaro è utile quando si tratta di faccende materiali e concrete, ma quando ci si addentra nella conoscenza di sé o in un percorso di individuazione e liberazione queste idee di automiglioramento diventano dannose e allontanano dalla realtà. Per questo quando sentii parlare per la prima volta della cosiddetta “legge di attrazione” (che probabilmente è stata tratta da “Course in Miracles”, i tre volumi di moda negli anni ’80 sul potere della fede e del pensiero), mi parve subito un’ennesima illusione che trova un lucroso mercato nel variegato mondo dei nuovi approcci pseudo-spirituali, dove troviamo un confuso mix di filosofie orientali mal comprese, di teorie scientifiche banalizzate e di medicina alternativa senza basi concrete. Con questo non intendo screditare tutte le scuole di questo tipo o la medicina alternativa in genere che, quando ben applicata, è spesso più efficace e priva di controindicazioni della medicina tradizionale. Ma purtroppo nell’era di internet chiunque si può proclamare maestro e trovare seguaci anche se diffonde le teorie più assurde. Questo, oltre a danneggiare gli ingenui che si affidano a questi falsi maestri, scredita i seri ricercatori, le tecniche valide e la vera conoscenza. La “legge di attrazione”, per come viene in genere presentata, ha un certo successo perché indica reali possibilità latenti nell’individuo che tuttavia hanno ben poco a che vedere con i metodi proposti dalla teoria stessa.

Invero è possibile entrare nel flusso delle sincronicità armoniche, ma si tratta di stati dell’essere che non sono frutto del pensiero intenzionale, come erroneamente si insegna. Esiste la possibilità di una trasformazione che può dare una direzione positiva al destino, ma non può essere indotta dal desiderio e dalla riprogrammazione mentale. Le tecniche del “pensiero creativo” o l’uso delle “affermazioni positive”, che si pretende faranno andare tutto per il meglio, mi sono sempre sembrate ingannevoli e recenti ricerche su un gran numero di ex praticanti lo hanno confermato. Già da ragazzo mi ero reso conto che i momenti d’esaltazione e ottimismo spesso conducono in errore e attirano pesanti lezioni dalla vita, mentre momenti di accettazione della propria incapacità e coscienza dei propri limiti sono spesso forieri di occasioni fortunate. Quando si crede di aver capito tutto e di avere il controllo, eventi indesiderati presto ci disilludono. In questo senso i pensieri positivi non attraggono belle cose, anzi! L’autostima facilmente diventa hybris o nevrosi narcisistica. In passato ogni delusione di questo tipo mi riconduceva a momenti di introversione che mettevano in luce che nella mente albergavano contraddizioni e conflitti di diversa natura. Sapere che questa condizione psicologica fosse connaturata all’uomo, tanto da essere considerata normale, non mi era di gran sollievo. Il raggiungimento di scopi e la soddisfazione di desideri, inoltre, non era ciò che soddisfaceva i bisogni più profondi. Cercavo la “liberazione” ed ero convinto che fosse una meta raggiungibile, seppur inafferrabile ed elusiva, qualcosa che sapevo di aver assaporato e perduto molte volte. Cercavo con gli strumenti della psicologia, con lo studio dei testi classici e con diverse pratiche psicofisiche, di risolvere i conflitti interiori. Ma per anni vittorie e sconfitte si sono alternate senza darmi una stabile serenità e pienezza. In un certo senso anche quando avevo una buona vita e stavo bene, mi accorgevo di non essere mai del tutto soddisfatto. Di certo se ci si confronta con l’ideale non si sarà mai contenti, ma comunque mi pareva che mancasse qualcosa che non sapevo identificare e che i beni materiali non potevano soddisfare. La ricerca pareva girare attorno a una specie di mancanza di amore per la vita così com’è. Jiddu Krishnamurti direbbe: “il confronto tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere”, che spinge a una frustrante ricerca di automiglioramento senza fine. Imparare a memoria i testi dei saggi, incontrare maestri risvegliati e meditare in eremitaggi sull’Himalaya non sembrava sufficiente e neppure l’analisi junghiana, lo Yoga, le esperienze con le piante sacre e le diete purificanti. Solo dopo parecchi anni di ricerca ebbi, nel modo più inaspettato, un’esperienza interiore davvero trasformativa che a distanza di anni considero un vero risveglio. E’ impossibile definire con le parole quell’esperienza in cui è come se avessi compreso che “cercavo il cercatore”, che ero già “il me stesso” che cercavo, e non ero un mero prodotto del pensiero e del tempo. Seppure impossibile proverò a descriverne alcuni effetti. E’ stato come vedere la realtà autoevidente che come un’onda non è separata dal mare e dipende dal mare sotto ogni aspetto, allo stesso modo l’individuo è espressione della Vita. Come percepire la vita nel suo insieme, in un flusso continuo e indiviso, in cui non c’era un io-separato dalla scena. La realtà: una manifestazione sullo sfondo di un continuo presente senza tempo. Percepire che la vita mi agiva, del tutto al di là di ogni pretesa di controllo dell’io-persona. Era assurdo cercare di migliorare quel “me”, qualcosa che non esisteva nella realtà, se non come concetto mentale. Le coppie di opposti erano ricomposte in unità senza lacune. Ma le parole sono del tutto inadeguate ad esprimerlo. Cambiata la prospettiva, tutti i conflitti interiori che avevo cercato invano di risolvere non avevano affatto bisogno di essere risolti, perché esistevano a un livello che non mi toccava più. Erano solo pensieri, creazioni illusorie di un altrettanto illusorio “io”… Era evidente che non ero un pensiero e che le radici della coscienza che mi animano erano la Vita stessa nella sua pienezza, oltre qualunque concetto. Tutte queste cose le avevo lette e studiate negli anni, ma in quel momento ne sentii la realtà autoevidente. Potrei elencare un gran numero di prospettive coesistenti che comunque non potrebbero rendere attuale l’esperienza. In precedenza avevo già provato stati transpersonali in cui avevo percepito una simile realtà. Ma erano stati momenti passeggeri di cui la mente presto si impossessava. Concettualizzandoli ne perdevo la sostanza e presto diventavano un ricordo del passato e l’ego ritornava in prima fila. In questo caso, invece, non si trattava di uno stato di rapimento meditativo, o uno stato fuori dall’ordinario, non era un’esperienza, ma un riconoscimento della cosa più evidente e sostanziale riguardo alla natura del “me”, che non mi ha più lasciato.

Non potrai percorrere il sentiero prima di essere diventato il sentiero stesso

Appena ho smesso di sprecare energie alle prese con i falsi problemi dell’ego, ho percepito un’onda di chiarezza e di forza interiore che dispensava coraggio e benessere. Erano scomparsi ogni bisogno, ogni mancanza, era finita la divisione tra il giudicante e il giudicato, non c’era più di che essere insoddisfatti. La vita non aveva più nulla di problematico, non c’era nulla da temere, e anche l’enigma di “essere e non essere” non era un problema, anzi dava profondità e mistero alla quotidianità. In questo flusso, non ci sono immagini personali da sostenere, nessun bisogno di apparire agli altri in un modo o in un altro, nulla da mostrare e non siamo neppure qualcuno che ha raggiunto qualcosa. A questo punto l’Essere indiviso nel suo fluire si manifesta senza sforzo. L’assenza di ostacoli inutili e di conflitti interiori è lo stato della normale attività della mente che finalmente si è arresa alla totalità dell’Essere in un auto-accadere spontaneo e fluido. Non desiderando e non temendo, non temendo il timore né desiderando il non desiderio, prendendo la vita come viene secondo ciò che l’attimo richiede, tutto pare trovare un ordine ed un’armonia che vista dall’esterno sembra solo buona fortuna. Dicendo questo sembra che io riaffermi la legge di attrazione e il pensiero creativo, cioè se cambiamo noi cambia il mondo. E’ qui che credo sia necessario chiarire bene la differenza che è tanto radicale da apparire l’esatto opposto. Il surrender è la fine dell’io che vuole automigliorarsi… Coloro che insegnano la legge d’attrazione, suggeriscono di riprogrammare il cervello e sostituire i programmi negativi che producono insicurezza e conflitto con programmi di incoraggiamento e successo. In questo modo ciò che è programmato si traveste da programmatore per riprogrammarsi… Mentre è proprio quando non c’è più un io, né la presunzione di programmare, proprio quando non voglio nulla e non mi sento qualcuno, che la fortuna mi stupisce. Tutto va come deve e anche apparenti contrattempi si rivelano la miglior cosa in un contesto più ampio, come quando perdiamo l’aereo che poi sarebbe precipitato. E’ piuttosto una consapevolezza impersonale, senza desideri e alternative ad attirare le sincronicità armoniche e le coincidenze positive. E’ la fine di ogni pretesa e controllo. Il cammino di certo non ha nulla a che vedere con intenzionali riprogrammazioni, neppure con la pretesa di sapere che cosa programmare. Oltretutto dovremmo ricordare che il programmatore e il programmato esistono solo nell’immaginazione. Il dissolversi dell’io, la fine dell’autoinganno è una cosa seria, un impegnativo cammino di disillusione per il quale ci vuole molta attenzione ed energia. Reagire ai problemi quando la mente non vede chiaramente l’illusione dell’ego anziché risolverli, li amplifica. Arrendersi alla Realtà e riconoscere la natura del sé è un compito difficile, ben diverso da esercizi mentali per influenzare l’inconscio ecc. La conoscenza di sé conduce alla liberazione, ma è necessario ricercare nella giusta direzione e applicare, con coerenza, pratiche esperienziali efficaci.

Più di mille anni fa diceva Huang Po, importante maestro della scuola buddhista Zen cinese: “Quando l’Illuminazione è compiuta, egli non è libero dalla schiavitù delle cose, ma non cerca di essere liberato dalle cose. Il Samsara non è odiato da lui né egli ama il Nirvana. Quando raggiunge la perfetta illuminazione, essa non è né schiavitù né liberazione”.  

Filippo Falzoni Gallerani, Milano, ottobre 2017

FILIPPO FALZONI GALLERANI