Efficacia delle pratiche esperienziali

Le più potenti pratiche esperienziali, per quanto efficaci, non possono essere la panacea dei problemi umani. Qualunque metodo funziona soltanto se applicato correttamente. In questo brano cerco di chiarire il motivo che determina la liberazione o l’autoinganno.

Le tecniche di respirazione sono il metodo naturale più efficace per la soluzione dell’ansia e di molti disturbi. Sciogliere i blocchi della corazza psicosomatica e ottenere una respirazione libera e naturale è d’importanza cruciale per la salute olistica. Non mi soffermo sugli aspetti propriamente terapeutici che ho già trattato in molti scritti e sui quali c’è già un’ampia letteratura. Oltre alla risoluzione dei disturbi psicofisici, queste tecniche possono aprire alla conoscenza di Sé ed è questo l’aspetto più importante per l’autorealizzazione. Nell’uomo, infatti, è innato un anelito alla libertà interiore e alla conoscenza. L’uomo una volta che ha soddisfatto i bisogni primari, ha più che mai necessità di dare senso Siamo immersi nella realtà dello Spirito, ma non lo vediamo perché lo Spirito stesso è substrato e testimone della realtà.
Di fronte al problema della morte e del non essere che lo attende, ha bisogno di trovare ciò che in lui non è nato né muore per affrontare con coraggio il vivere ed esprimere in spontaneità il suo potenziale. Per entrare in sintonia con la vita e con la morte e
coglierne il senso è necessaria una profonda ricerca interiore. Poiché è la conoscenza della natura universale del Sé che libera dalla sofferenza e recide alla base le radici della paura.
L’ego insegue esperienze piacevoli che non possono durare, mentre il Sé testimonia la natura profonda dell’Essere. Per questo non c’è tecnica, anche tra le più efficaci, con cui si possa risolvere il mal di vivere se il praticante non ha compreso con quale prospettiva impostare la ricerca. Qualunque metodo funziona solo se è applicato nel modo giusto e per far buon uso delle tecniche esperienziali bisogna avere la giusta prospettiva e soprattutto evitare l’autosuggestione e gli inganni dell’ego che confondono anche i ricercatori avanzati. 
Tecniche di respirazione intensa come il Rebirthing Transpersonale o la Respirazione Olotropica di Stanislav Grof, praticate con l’atteggiamento opportuno, sono straordinariamente efficaci per esplorare sé stessi, per catarsi liberatorie, per l’autoguarigione e il risveglio tanto che spesso poche sedute sono sufficienti per realizzare una stabile chiarezza e serenità interiore. Tuttavia se non si è stati istruiti correttamente e si dirige l’esperienza secondo delle aspettative preconcette, la stessa pratica diventa una via di fuga e un autoinganno anziché un’espansione della consapevolezza. Il medesimo metodo che può rapidamente condurre al risveglio, se è mal applicato, può amplificare l’egotismo. Questo vale anche per la meditazione e le pratiche psicospirituali in genere. Come dice Elémire Zolla: “Ciò che s’impara dipende dal perché si vuole imparare”, e naturalmente c’è un’enorme differenza tra il cercare esperienze gratificanti e il cercare “colui che sta cercando”.
E’ necessaria totale sincerità con sé stessi, il coraggio di stare con le sensazioni e accogliere l’ombra e l’ignoto. La conoscenza del Sé è elusiva, poiché è oltre la mente e riguarda uno Stato dell’Essere e non un pensiero. Il Sé (o consapevolezza impersonale) è un abisso che contiene l’universo, fa paura perché è la morte dell’ego. Il mondo è dentro di noi ma noi immaginiamo di essere in lui. Il risveglio è un ribaltamento di questa prospettiva in cui sperimentiamo l’identificazione con il Tutto.

Conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei

I saggi insegnano che il corpo-mente con cui l’uomo s’identifica è solo un oggetto, che appare e scompare nel Sé che è consapevolezza senza confini, ed è il nostro vero essere profondo. Ciò che è mutevole e temporaneo non è reale, mentre la Consapevolezza è oltre il tempo e lo spazio, è la Realtà che non muta, il substrato di ogni altra realtà. La tecnica di respirazione in sé è semplicissima e intuitiva, tuttavia l’intuizione rivelatrice del risveglio non può essere di facile portata senza la giusta predisposizione. Come ho detto, sono necessarie indicazioni corrette e l’atteggiamento opportuno. Per trarne benefici profondi è basilare dirigere l’attenzione oltre il piano mentale, al sentire immediato senza alternative, perché è da questa prospettiva transegoica della consapevolezza che il respiro può condurre alle dimensioni più profonde della coscienza dove si risolve definitivamente il problema dell’ansia e del timore.
L’ansia è un disturbo talmente diffuso che per le persone “normali” la serenità e la chiarezza mentale sono una condizione rara e passeggera. Siamo in un’epoca in cui l’alienazione è una patologia endemica. Per spiegare questa condizione di separazione dal proprio sé dell’uomo contemporaneo trovo appropriata la nota metafora della carrozza con cavalli, auriga e padrone all’interno, a indicare i piani fisico (la struttura della carrozza), vitale (i cavalli), mentale (il nocchiere) e spirituale (il padrone all’interno).
Se la mente (il nocchiere) non è in contatto con il signore che siede all’interno della carrozza (il Sé transpersonale) i cavalli (l’energia vitale) non vanno dove dovrebbero. Se la mente è confusa, cioè il nocchiere è vittima di illusioni e conflitti interiori, è probabile che ci siano incidenti di percorso e che il corpo subisca dei danni. Quando si è perduto contatto con il Sé il viaggio è insicuro, non ha direzione e scopo e una vita priva di senso è deprimente.
Il “Sé” ovviamente non è un individuo superiore latente in noi; è piuttosto l’intelligenza intrinseca della natura che governa la danza degli atomi e delle molecole. E’ il mistero della consapevolezza: il testimone della sensazione di Essere. Qualcosa che il pensiero non può afferrare perché è a monte del pensiero stesso.
La metafora della carrozza è molto antica, Platone nel Fedro descrive una carrozza tirata da due cavalli, uno bianco e uno nero, che rappresentano forze opposte. Se l’auriga è in contatto con l’Iperuranio (mondo delle idee, al di là del cielo) il cavallo bianco lo conduce verso l’alto. Se l’auriga non è in grado di contemplare il mondo superiore, il cavallo nero prevarrà su quello bianco e lo trascinerà fuori strada verso il basso.
Nella Bhagavad Gita, Krishna (il Sé) guida il carro su cui combatte il trepidante Arjuna (l’io) e lo sprona ad affrontare con coraggio la battaglia agendo secondo quanto il momento richiede. Non entro qui nel magnifico e illuminante capolavoro della Filosofia indiana che è un tema troppo vasto e profondo per essere trattato in poche righe, ma voglio ricordare che i maestri insegnano che Yoga è Coraggio e il termine coraggio deriva da cuore, cioè suggerisce l’azione ispirata dal cuore e non dalla mente. Il Sé, dicono i saggi, risiede nel cuore.

Il coraggio di vedere le cose come sono

Le forme popolari delle religioni rinforzano l’idea che la guida sia fuori di noi, ma è in noi che dobbiamo trovare la guida poiché l’aderire a una fede e dipendere da autorità esterne inibisce la ricerca della verità. D’altra parte il razionalismo e la prospettiva egocentrica condivisa evitano con cura di avvicinarsi all’ignoto e a tutto ciò che non può spiegare e ridurre in parole e pensieri. Di certo l’autoindagine è scoraggiata in una società materialista, dominata da interessi economici disumanizzanti, prigioniera di una visione ristretta, impegnata in uno sviluppo tecnologico che non ha riguardo per la natura e i valori umani.
L’uomo che ha perduto il contatto con sé stesso, cerca nel pensiero una guida, si aggrappa a mappe obsolete o si conforma alla massa e segue altri che sono sperduti come lui. Non sapendo ascoltare il Sé profondo, egli cerca nella mente una soluzione al senso di smarrimento che la mente stessa ha creato. Solo quando egli riconosce la sua impotenza e sa di non sapere e quindi si arrende alla realtà, può iniziare a sentire l’ispirazione e l’intuizione che sono la sola guida sicura.
Solo se la mente è serena può arrendersi al Sé impersonale che è vita-morte, essere e non essere, nella spontaneità dell’attimo, mentre l’intelletto svolge le funzioni che gli competono senza interferire. La presenza senza alternative di fronte alla realtà di una mente libera da condizionamenti è la fine del divenire e dell’ansia. Ma non è una condizione comune perché le parole tutti possono ripeterle, mentre vedere con chiarezza la realtà e realizzare nel vissuto ciò che si è compreso è cosa totalmente diversa, come sentire il silenzio dietro a ogni suono…

La guida interiore non si trova nel campo del pensiero

Riconoscere il nostro vero Essere, ritrovare spontaneità e pienezza non è affare che il pensiero possa risolvere, è necessario aver avuto accesso a uno stato di coscienza non ordinario per superare l’identificazione con la mente. La respirazione intensa è un metodo rapido e privo di controindicazioni per entrare in contatto con queste dimensioni esperienziali che la mente e il pensiero non possono raggiungere. Yoga è la fine delle fluttuazioni della mente. Solo quando il lago è perfettamente calmo la sua superficie riflette senza deformazioni. Ma abbiamo visto che la mente non può calmare la mente anzi, quando cerca di calmarla si agita anche di più perché si dissocia da sé stessa. 
Attraverso il respiro possiamo andare oltre la mente e trovare la sorgente dell’Io Sono e immergerci nel Sé, l’Invisibile, l’Impensabile, privo di attributi, che permea ogni cosa. Una volta che attraverso la respirazione si è in contatto con il Sé e si riconosce la natura dell’ego, si è in armonia con la Vita e liberi dall’ansia e dalla paura. Direi meglio: non si ha paura della paura e non si è ansiosi di fronte all’ansia, perché non si tratta di liberazione nell’indifferenza, ma di vivere con pienezza e partecipare alle gioie e ai dolori come a una rappresentazione, integrando gli opposti nell’Unità e arrendendoci al potere del Sé che ci agisce. Così la vita sarà sempre una continua esperienza di crescita interiore e non più un problema da risolvere.

Filippo Falzoni Gallerani, Milano

Sri Nisargadatta Maharaj: “Ciò che può essere descritto dall’intelletto fa parte del conosciuto, che non può aver nulla a che fare con la Realtà”.

Piccola bibliografia sulla respirazione

Grof, S. Grof, C.: Emergenza Spirituale (la Crisi Personale come Rinnovamento Profondo), Edizioni RED, Como 1993
Grof, S, Grof C.: La Tempestosa Ricerca di Sé Stessi, Edizioni RED, Como 1995
Grof S, Grof C.: La Mente Olotropica (La Respirazione Olotropica per giungere ai livelli più profondi della psiche) Ediz. RED, Como 1996
Grof, S.: Il Gioco Cosmico della Mente, Ediz. RED, Como, 2000
Grof S, Grof C.: Psicologia del Futuro, Ediz. RED, Como, 2001
Falzoni-Gallerani F.: Il Respiro dell’Anima, Ediz. Armenia, 1991,
cartaceo e eBook: https://filippofalzoni.com/pubblicazioni/
Falzoni-Gallerani F.: Rebirthing Transpersonale, Ediz. Rusconi, 1996
cartaceo e eBook: https://filippofalzoni.com/pubblicazioni/
Falzoni-Gallerani F.: L’Io Trasparente, 2 vol. Ediz. privata, Milano 2005
Falzoni-Gallerani F.: La Saggezza non Dualista. Ediz. privata, Milano 2009

Su Ramana Maharishi e il Non-dualismo

Questo brano riassume gli insegnamenti di quello che è riconosciuto tra i più grandi mistici e saggi dell’India moderna.
Lo pubblico perché il Rebirthing Transpersonale che è un un metodo esperienziale molto semplice si rivela efficace non solo ridare vitalità, energia e salute, ma che spesso conduce a profonde esperienze interiori legate al risveglio della consapevolezza e alla scoperta del Maestro interiore che è il nostro vero Sé.

Bhagavan Sri Ramana Maharshi e il Non-Dualismo

Ramana Maharshi nacque il 30 dicembre 1879 in un villaggio non lontano da Madurai nel Tamil Nadu. Il suo risveglio spirituale fu spontaneo e tutta la sua vita fu espressione della saggezza di chi avendo trasceso l’ego e colta l’illuminazione incarna la pienezza del Sé Transpersonale.

Da ragazzo all’età di sedici anni il giovane Ramana ebbe la sensazione di stare per morire. E’ probabile che sia stato quello che oggi chiamiamo un attacco di panico, ed è interessante notare che studi recenti dimostrano che chi è predisposto al panico è predisposto all’estasi[1]. In quel momento invece di opporsi a questa sensazione e tentare di sfuggirla, la penetrò completamente, si arrese al fatto di star per morire e cercò di osservare e comprendere in che cosa consisteva la morte. In quel momento pensò, se muore il corpo, resta la mente? Se la mente e la memoria si estinguono con il corpo, che cosa resta?

Ebbe allora la chiara percezione di essere la vita stessa, oltre l’io, la mente e il corpo. Percepì con chiarezza che il pensiero “Io Sono”, che precede la consapevolezza del mondo, emerge dall’Assoluto e riconobbe che la natura profonda di ogni essere è quest’Assoluto.

Ebbe esperienza diretta di tutto ciò che i testi dell’Advaita, che lui avrebbe letto e commentato soltanto in seguito, descrivono. Riemerse da quest’esperienza senza mai perdere, per il resto della sua vita esemplare, la Coscienza del Sé con cui era completamente identificato. Assorto nella beatitudine del Sé non ebbe più interesse per il mondo esteriore.

Lasciò la casa e si ritirò a vita contemplativa in una grotta sul monte Arunachala, nei pressi di Tiruvannamalai, una montagna sacra sin dall’antichità alla quale nei Veda è dedicata una storia famosa dove visse in stato di samadhirimanendo assorto in silenzio per lunghissimi periodi.

Vicino a questo sacro monte, che lo aveva attratto con una forza ignota, avrebbe passato il resto della sua vita.

Della vita di Ramana si potrebbero raccontare centinaia di episodi straordinari e la sua vita è un esempio di saggezza, umiltà e amore incondizionato. La sua sola presenza toccava il cuore di tutti, grandi maestri vennero a inchinarsi ai suoi piedi riconoscendo in Lui un’incarnazione di saggezza. Senza aver studiato il Sanscrito e senza aver ricevuto alcuna iniziazione realizzò l’essenza degli insegnamenti spirituali e continuò la catena ininterrotta dei maestri Non-dualisti, come dopo di Lui Nisargadatta Maharaj, il quale dopo il risveglio lasciò la vita ascetica, per incarnare il Sé mantenendo una vita“normale” nella quotidianità. (Nisargadatta Maharaj sarà l’argomento del mio prossimo articolo).

Sri Ramana lasciava serenamente il corpo il 14 aprile 1950. Quel giorno il fotografo francese Henri Cartier-Bresson che risiedeva all’ashram, fu testimone di un fenomeno emblematico. Alla sera una stella con una scia simile quella di una cometa illuminò il cielo, lo attraversò lentamente sino alla cima del monte Arunachala, dove parve fermarsi un po’ per poi scomparire dietro di esso.

Henri controllò l’orologio ed erano le 20,47. Tornato all’ashram seppe che esattamente alle 20,47 Sri Ramana Maharshi aveva smesso di respirare.
Quando una grande anima lascia il corpo accadono spesso fatti di questo genere, come gli arcobaleni appaiono a ciel sereno alla scomparsa di un grande Lama[2].
Non mi dilungo sui fatti storici della sua vita, che chiunque sia interessato può leggere in dettaglio su questo link:
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/mancusoramana.pdf.
Mentre scrivo queste righe ricordo anche che Sri Babaji in mia presenza una volta disse che delle migliaia di maestri che l’India aveva generato, solo pochi erano veri maestri e poi aggiunse che Ramana Maharshi era uno dei più grandi, un vero Rishi, un portatore della saggezza perenne.

Il Non Dualismo

Gli insegnamenti di Sri Ramana Maharshi, (allego sotto alcune pagine di Sue parole) sono una purissima espressione della filosofia Advaita. Advaita significa “non dualità”, “non dualismo” e per essere più precisi: “al di là di dualismo e non dualismo”.
Naturalmente in queste poche righe non ho intenzione di addentrarmi che molto superficialmente nella vastissima e poliedrica filosofia Indiana.
Tanto per dare una vaga idea a chi non conosce l’argomento, ad esempio, il Dio Shiva, nel Vedanta è identificato come la Coscienza, è lo stesso Sé. Perciò il Sé (Dio) non potrà mai essere conosciuto come “oggetto”: non può esser visto perché è ciò che vede, non può essere udito perché è ciò che ode, non può essere pensato perché è ciò che pensa. E’ oltre lo spazio e il tempo e contiene in sé tutta la manifestazione.
Non ha forma, ma è la base di ogni forma. E’ la suprema identità. E’ sempre soggetto e mai oggetto. E’ l’Uno senza un secondo.
Può essere conosciuto solo per immedesimazione. Nel cuore la coscienza immersa nel Sé partecipa all’eterno.
Quando si supera l’identificazione con il corpo e la mente percepiamo di essere Spirito, l’Uno atemporale che tutto contiene, là dove le parole, il pensiero e la fantasia non possono giungere, nel mondo dell’inesprimibile quiddità dell’essere.

I primi versi dell’Avadhoota Gita, un testo delle Upanishad che come la Ribhu Gita Ramana Maharshi occasionalmente citava, così recitano:

1 Sri Avadhoota Dattatreya disse: è solo per grazia del Signore se un’anima o due aspirano all’unione con Lui, sfuggendo a seri pericoli.

2 Come posso prostrarmi di fronte a quel Sé senza forma, il solo immutabile bene, che riempie di sé ogni cosa, attraverso la sua stessa natura e potere?

3 Ogni cosa è fatta di terra, acqua, luce, aria, spazio, come le onde di un miraggio, non ha sostanza; ma io sono senza errore, uno senza un secondo; a chi allora dovrei prostrarmi?

4 Tutto non è altro che il Sé. Non esiste vicinanza né distanza, come posso dire una cosa senza negarne un’altra?

5 Questa è l’unica sostanza degli insegnamenti Vedici, l’essenza di tutto il conoscere del sentire. Per mia natura io sono il Sé senza forma che vive in ogni cosa.

Il primo capitolo di questa Gita si conclude con questi versi:

74 Nel Sé non c’è presagio, non c’è talismano, nulla da imparare, non c’è prosodia da studiare. Avadhoota Dattatreya, che nuota nell’oceano della non differenziazione, canta nella delizia di un cuore puro la grandezza della verità.

76 Ogni cosa né è, né non è, ogni cosa non è né vera né falsa. Parlo del Sé come lo trovo in me stesso con piena conoscenza della materia.

Dalla prospettiva Advaita le mitologie, gli dei e i rituali sono trascesi e integrati in una coerente visione d’insieme. Gli Dei sono considerati archetipi utili alla mente per dare forma alle energie che ci agiscono, e i racconti mitologici sono interpretati come metafore che indicano le dinamiche della psiche umana nella sua lotta per il risveglio e la liberazione.
Solo l’ingenuo prende alla lettera le scritture che mal interpretate danno adito alla superstizione e a pericolose illusioni.
Comprendendo il significato psicologico dei racconti mitologici si trovano le indicazioni per affrontare gli inganni della mente e i problemi del mondo. Ed è vivendo sul piano dello Spirito (dell’atman), cioè oltre i conflitti della mente, che si può realizzare ed esprimere il Sé. Il Sé (o la Coscienza-Consapevolezza) nella sua natura essenziale non è diviso in osservatore e osservato, interno-esterno, perché ogni coppia di opposti deve il suo esistere all’interdipendenza. Tutto è contenuto nell’Uno, nellaconsapevolezza non divisa che è appunto il substrato coscienziale in cui appaiono i fenomeni del divenire e le creazioni della mente e del pensiero.

La scienza stessa ci dice che spazio e tempo sono un’illusione percettiva. Invero viviamo nel continuo infinito presente, ma siamo prigionieri di tempo psicologico, fatto di ricordi e anticipazioni che è causa di desiderio è paura. Esso ci pare reale ma è solo una categoria creata dal pensiero, utile per orientarci nel mondo. Perdere contatto con il presente, schiavi del tempo, è la malattia umana che ostacola l’armonia e l’intuizione.
Il pensiero è uno strumento fondamentale per l’uomo, ma ha i sui ristretti ambiti e non è in grado di cogliere il mistero della realtà, la vita non può essere imprigionata entro i suoi confini condizionati.
Il “liberato in vita” incarna l’esperienza concreta di chi avendo trasceso l’identificazione con l’io e avendo riconosciuto le illusioni mentali, si è stabilizzato nella consapevolezza del Sé; è il testimone libero di legami che osserva il divenire della vita in perfetta equanimità e ne diventa l’espressione armonica e spontanea.

Nello stato di non dualità i conflitti interiori sono dissolti.

Per la psicologia del profondo il processo di autorealizzazione avviene attraverso l’integrazione dell’inconscio, dell’Anima e dell’Ombra. La realizzazione del Sé o Individuazione è il cammino eroico di coloro che hanno il coraggio di guardare nell’abisso, nel profondo dell’essere, riconoscere l’illusorietà dell’io e di rinascere al vero Sé che è pienezza e autenticità dell’Essere. Un processo iniziatico di morte e rinascita al vero Sé.
Maestri come Ramana Maharshi incarnano e diffondono una profonda serenità, la loro equanimità e saggezza liberano le menti confuse dal giogo del pensiero autofrustrante. La loro vita è uno spontaneo servizio al bene di tutti.

Tat Tvam Asi, Tu sei Quello!

In queste righe non ho voluto raccontare i fatti storici che riguardano Sri Ramana, né limitarmi a ricordare ed elogiare la grandezza di un santo indiano, già c’è molto materiale disponibile. Vorrei fare qualcosa di diverso che non troviamo negli scritti su di lui. Vorrei portare il lettore a riflettere sull’importanza pratica e trasformativa del sentiero dell’autoindagine che ha indicato e delle difficoltà che impediscono a gran parte dei lettori di capire l’attualità del suo insegnamento.
C’è chi, dopo qualche brutta esperienza con il fanatismo e la corruzione che regnano nelle sette e nelle chiese, rifiuta come fantasioso e irreale qualunque argomento spirituale, e così facendo è come se buttasse il bambino con l’acqua sporca, perché Ramana Maharshi invero offre insegnamenti autentici, efficaci, preziosi e sempre attuali.

Altri invece idealizzano la spiritualità indiana e rischiano di cadere nell’errore, come fa la maggior parte dei ricercatori spirituali, di mitizzare il personaggio, di farne un idolo, dimenticando che, ciò che realmente conta, è l’incarnare il suo messaggio, piuttosto che mettere fiori e incensi sotto la sua foto.

Non si può cogliere l’attualità pratica ed esperibile dell’insegnamento, se si pensa che cose del genere riguardano solo i santi e non sono in vero alla portata di ogni ricercatore sincero. Chiediamo le sue benedizioni senza seguire le sue indicazioni, quando la sola benedizione è il risveglio alla conoscenza di sé che ci ha indicato.
Di certo per comprendere le sue parole e viverne il significato è indispensabile avere passione per la conoscenza e per la verità, essere in grado di mettere da parte i preconcetti religiosi o antireligiosi e avere il coraggio di lasciare le rassicuranti ideologie che ci condizionano.
Se con mente sgombra e attenta si avvicinano le parole di saggi come Ramana Maharshi, esse possono davvero risvegliare la coscienza e far percepire l’Unità della vita. In tal modo il cuore si sintonizza con il flusso spontaneo del Sanatan Dharma (la legge dell’armonia universale) e solo cosi l’essenza del suo insegnamento è davvero trasformativa e liberatoria.

Ogni uomo può trovare la realizzazione del sé, riconoscere l’Unità e trovare pace interiore senza inseguire il destino di nessun altro e senza cercare alcuna somiglianza con un santo che ovviamente è una figura irraggiungibile solo per il fatto che non siamo noi.
La realizzazione è l’adempiere al proprio destino senza imitare nessuno. E’ l’essere autenticamente ciò che si è. La serenità sorge quando si è liberi dal conflitto della mente divisa… finalmente “a casa”.

Il santo è un essere umano come gli altri che ha il destino di fare la parte di colui che indica la via della liberazione e del risveglio. E’ responsabilità di chi ascolta il suo messaggio indagare con sincerità la via dell’autoindagine e trovare in sé la Verità.
Il Maestro ci guida dal vero maestro, il Sat Guru che è il nostro stesso Sé.

In verità sarebbe sufficiente comprendere gli insegnamenti per avere quei profondi insight che possono aprire al nuovo piano di coscienza e condurre alla liberazione. Ma gli uomini hanno molte difficoltà ad accogliere le idee che mettono in discussione la struttura dell’io, e l’ego, che è immagine mentale creata in anni di condizionamento, non vuol mai lasciare il campo e si aggrappa al conosciuto e alla maschera. Ma se non si ha il coraggio di lasciare l’angusto ambito dell’io e del pensiero, se non si fa esperienza diretta di stati di coscienza non ordinari e se non si accolgono nuove prospettive, le parole non servono a nulla e non si potrà mai percepire qualcosa di sacro e di eterno.
Per la mente occidentale, inoltre, è difficile comprendere che il mondo fenomenico è Maya, un’illusione. Ramana Maharshi paragona il mondo fenomenico ai riflessi che appaiono sullo specchio. In assenza dello specchio essi non esistono, non sono reali. Le immagini dipendono dallo specchio, l’immagine c’è ma non è la realtà è un riflesso, per cui si potrebbe dire che esiste e non esiste. La coscienza è lo specchio reale e oltre il tempo su cui appaiono i riflessi del divenire. Se lo specchio è distorto il mondo appare distorto.
Se Shiva è la pura Coscienza-consapevolezza, Paramashiva (Brahman) è oltre e prima della Coscienza, è l’Assoluto impensabile e inconoscibile da cui essa emerge e in cui manifesta. Questo è lo stato di Turya il Vuoto, il Sahaja Nirvikalpa Samadhi[3], in cui Ramana viveva in grande umiltà.

In questi anni la Psicologia Transpersonale ha interpretato la tradizione spirituale in termini moderni e usato tecniche psicofisiche tratte dalla tradizione orientale per rendere esperibile all’’uomo contemporaneo la dimensione essenziale dell’Essere. Non solo questi studi mostrano la coerenza del Vedanta con le vette della Filosofia Perenne, ma persino coerenza con i nuovi paradigmi scientifici. Le conoscenze scientifiche degli ultimi decenni confermano che lo spazio e il tempo non esistono e sono relativi alle nostre percezioni. La fisica ci descrive un universo immateriale la cui sostanza è solo informazione. Gli atomi che compongono il nostro corpo stesso fisico sono composti da particelle “dalla natura non locale” e si comportano in modo paradossale. La teoria delle stringhe che implica undici dimensioni, la teoria olografica, le teorie quantistico-relativistiche, ecc. ovvero la visione della Realtà proposta dalla scienza moderna, mi pare più fantastica della visione dei saggi. Per questo oggi la dimensione spirituale può essere compresa in un’ottica non regressiva e superstiziosa, ma alla luce della nuova emergente consapevolezza di esser parte di un universo multidimensionale e intelligente con il quale possiamo integrarci armonicamente.

La conoscenza del Sé (Jnana Yoga o Atma Vichara) è la via di liberazione indicata dai saggi del passato e del presente da Socrate ai più grandi filosofi occidentali come Nietzsche e Heidegger. Tutti hanno indicato che la meta finale è la conoscenza del sé. Riconoscere che stiamo cercando il cercatore stesso. Lascio quindi la parola a Ramana Maharshi, qui di seguito trovate i suoi insegnamenti essenziali che sono la via più diretta verso la meta della liberazione interiore.

Filippo Falzoni Gallerani, Milano, Ottobre 2014

 

Per approfondimenti vedi:

La Vita di Sri Ramana Maharshi:

http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/mancusoramana.pdf

Gli Insegnamenti di Sri Ramana Maharshi:

Testi pubblicati recentemente e altro materiale in italiano nel sito: http://www.ramana-maharshi.it/

Ho tradotto dall’inglese la Ramana Gita, che è una raccolta di domande e risposte con devoti avanzati: Ramana Gita: http://www.ramana-maharshi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=51:ramana-gita&catid=35&Itemid=60

Piccola bibliografia essenziale:

Ramana Maharshi: Chi Sono Io?, Ubaldini Editore Roma, 1977

Goodman D.: Ramana Maharshi e il Suo Insegnamento, Edizioni Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1987

Osborne, A. Ramana Maharshi e la Via della Conoscenza, Edizioni Vidyananda, Assisi, 1997

Osborne A.: Ramana Maharshi and the Path of Self-Knowledge, K.S. Mani B.I. Publications New Delhi, 1976

Ganapati Muni: Ramana Gita, Dialogues with Sri Ramana Maharshi, Ramana Maharshi Centre for Learning Bangalore, Third Edition, 1994

Osborne A.: The Teachings of Ramana Maharshi in His own Words, Sri Ramanasram, Tiruvannamalai, 2008

Ramana Maharshi: Spiritual Stories as told by Ramana Maharshi, Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai, 2008

Cohen S. S.: Reflections on talks with Sri Ramana Maharshi, Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai, 2006

Note:

1) Sahaja nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato del jnani (risvegliato alla conoscenza del sé) che ha definitivamente e irrevocabilmente eliminato il suo ego. ‘Sahaja’ significa “naturale” e ‘nirvikalpa’ significa “nessuna differenza”. Un jnani in questo stato è in grado di agire naturalmente nel mondo, proprio come fa qualunque ordinaria persona. Sapendo di essere il Sé, il ‘sahaja jnani’ non vede differenze fra sé e gli altri e nessuna differenza fra se stesso e il mondo. Per una tale persona, ogni cosa è una manifestazione dell’invisibile Sé.

2) Nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato che precede la realizzazione del Sé. In questo stato c’è una consapevolezza del Sé temporanea, ma priva di sforzo; però l’ego non è stato eliminato definitivamente. E’ caratterizzato da un’assenza di coscienza corporea. In questo stato si ha una temporanea consapevolezza del Sé nell’assorbimento interiore, ma non si è in grado rimanere in contato con il mondo e l’azione. Quando la coscienza corporea torna, l’ego riappare.

3) Savikalpa samadhi. In questo stato particolare, la consapevolezza del Sé viene mantenuta dallo sforzo costante. La continuità del samadhi dipende totalmente dallo sforzo compiuto per mantenerlo. Quando l’attenzione sul Sé vacilla, la consapevolezza del Sé viene a essere oscurata.

La ricerca di una nuova Coscienza

Questo articolo non riguarda specificamente la respirazione che si applica con  il Rebirthing. ma alcuni aspetti del substrato filosofico della Psicologia Transpersonale e della Filosofia Orientale. L’intento è il condividere argomenti che possono facilitare lo sviluppo di una nuova coscienza e aiutare la soluzione dei tanti problemi che affliggono l’umanità.

Per affrontare correttamente un problema dobbiamo per prima cosa comprenderne le cause profonde. E’ una riflessione inquietante rendersi conto, osservando noi stessi e il mondo, che tuttavia non basta riconoscere le cause per risolvere il problema. Secondo la Teosofia le principali cause del problema umano sono tre: l’ignoranza, la paura e l’egoismo. Nei tanka Tibetani invece troviamo al centro della ruota della vita tre animali che rappresentano i tre veleni: il maiale che rappresenta l’ignoranza o la confusione mentale, il serpente che rappresenta l’odio o l’ira, il gallo simboleggia la cupidigia o l’attaccamento.
Per lo Yoga Sutra indù la mancanza di consapevolezza della realtà (avidya, ignoranza1), l’egoismo, o senso dell’io-separato (asmita), l’attrazione e la repulsione verso gli oggetti e l’attaccamento, costituiscono le grandi afflizioni o kleśa che sono la causa di tutte le miserie della vita”. La causa fondamentale di tali miserie è avidya, l’ignoranza che distorce la realtà con l’identificare il conoscitore con il conosciuto, il Sé con l’io, o la Coscienza con il suo veicolo, il corpo-mente.
Osservando in profondità le nostre sofferenze e i problemi della società in cui viviamo, riconosciamo che hanno origine dalle stesse cause, anche se sono passati oltre due millenni da quando questi insegnamenti sono stati diffusi. L’intelligenza ha permesso all’uomo di raggiungere straordinarie capacità tecniche e scientifiche, ma l’umanità non è ancora capace di vivere in pace e in armonia.
Vediamo bene che in tutto il mondo gli uomini vivono ancora nel conflitto a causa degli stessi mali e per questo raramente possono dirsi felici e realizzati. E’ chiaro che se non se ne eliminano le cause, i problemi individuali e collettivi non possono essere risolti.
La saggezza indù e buddhista non hanno cambiato radicalmente la coscienza umana, allo stesso modo il lettore può condividere queste idee senza che nessun cambiamento profondo avvenga nel suo intimo. Perché, seppur necessario, non è sufficiente capire le cause per da fine al conflitto.
Ciò accade perché la mente e il pensiero, che sono meravigliosi strumenti di cui dovremmo servirci per il campo che compete loro,  in questa fase evolutiva ci dominano e condizionano le nostre percezioni e le nostre reazioni. Infatti non è il pensiero, che per sua natura è condizionato e limitato, che può metterci in contatto con il Sé e con la Vita. Anzi la realtà in sé attraverso i filtri del pensiero e delle parole ci sfugge sempre più. Si potrebbe anche dire che l’individuo non si libera dai tre veleni perché comprende queste cose solo sul piano mentale ed è il pensiero stesso che quando ci imprigiona produce la paura, l’ignoranza e l’egoismo. In questo modo fa un pessimo uso di queste conoscenze. Ad esempio vede questi problemi sempre negli altri senza riconoscerli in sé. S’immagina di essere spirituale perché conosce e si aggrappa a questi concetti senza avere alcuna apertura del cuore e dell’intuizione. E’ per questo che nelle religioni2 c’è spesso tanta contraddizione tra l’ideale e i fatti concreti.
L’Advaita Vedanta, lo Zen, maestri come Krishnamurti, Ramana Maharshi, Nisargadatta Maharaj e recentemente la Psicologia Transpersonale con tecniche esperienziali mostrano una via oltre il pensiero.

Il risveglio della Consapevolezza

La vera rivoluzione interiore è un profondo cambiamento di prospettiva, un diverso livello di consapevolezza che implica la trascendenza del pensiero condizionato. Solo riconoscendo il movimento del pensiero e i suoi limiti possiamo andare oltre ad esso.
Quando si approfondisce questa conoscenza con le pratiche esperienziali psicofisiche, si comprende che  il nostro vero nemico è il pensiero.  Il pensiero crea il tempo psicologico, l’immaginario passato e futuro e con esso il condizionamento e l’ansia. Una mente prigioniera non può percepire la realtà. Le esperienze transpersonali ci mostrano che c’è in noi una coscienza non condizionata, e che appena andiamo oltre le nubi del pensiero può svelarsi il potenziale di sintonia, amore, intuizione, ispirazione, armonia e serenità.
A questo punto bisogna ricordare che un’esperienza d’illuminazione non è il coronamento del cammino spirituale bensì il primo passo. Da quel momento, infatti, possiamo perseguire un sentiero che non è la risposta del pensiero, del conosciuto, ma sintonia immediata con il qui e ora. Ma, appena il pensiero se ne appropria diviene un ricordo e quando lo si persegue con intenzione questo stato viene di nuovo perduto.

Dice Tilopa nel Mahamudra: La mente, come lo spazio puro, trascende completamente il mondo del pensiero: rilassati nella tua natura intrinseca, senza né abbandono né controllo. La mente senza obiettivi è Mahamudra e con il perfezionamento l’illuminazione è raggiunta”.

Solo una coscienza libera dai vincoli del pensiero può porre fine a questa condizione d’interminabile conflitto interiore. Come vediamo, le religioni2 (religione da religere = riunire) invece di unire l’umanità in una grande famiglia, appena divengono strumenti del pensiero, sono motivo delle più grandi divisioni ideologiche e quindi di guerre sanguinose. Nel nome di Dio si son fatti e si continuano a fare i peggiori crimini. Purtroppo molto spesso anche gli individui che si ritengono appartenenti ai movimenti spirituali moderni raramente cercano l’unità interiore, il silenzio mentale, l’integrazione dell’inconscio. Si limitano invece a cercare di conformarsi alle ideologie condivise e cercano di imporre ad altri un’Unità immaginaria mentre rimangono attaccati a un’immagine sociale dominata dall’“Ego spirituale”.
Per la massa le cause del male sono sempre esterne… il nemico è l’altro e piuttosto che cercare le cause del male in sé stessi si preferisce trovare colpevoli all’esterno.
Da secoli i saggi insegnano che la mente è uno specchio che crea illusioni e che conduce a  una realtà immaginaria in cui è facile perdersi. Insegnano che la soluzione del problema si trova in noi stessi, in un risveglio a un sentire profondo che trascende le parole e conduce alla pienezza dell’essere.

Sri Ramana Maharshi diceva: Non meditare sii! .

Solo se i singoli individui prendono coscienza degli inganni mentali e si sintonizzano con un diverso modo di sentire la società potrà mutare. Nelle fasi della crescita abbiamo cercato di adeguarci alla società senza riconoscere quanto fosse malata e abbiamo accettato le sue regole auto-frustranti. A questo punto dobbiamo liberarci da ogni autorità esterna e vedere il mondo con occhi nuovi, permettendo che l’intuizione e la spontaneità del cuore ci guidino a un comportamento appropriato e armonico al fluire della vita.
Molti accusano dei mali che affliggono il mondo i governi, le industrie belliche, l’industria farmaceutica, le multinazionali, le banche, la finanza e i super ricchi, o vedono cospirazioni internazionali. Se da un lato è certamente giusto riconoscere e denunciare il male, per trovare e proporre soluzioni alternative, dobbiamo ricordare sempre che, per risolvere un problema, dobbiamo eliminarne le cause in noi stessi e realizzare nel quotidiano un diverso modo di vivere e di sentire uscendo dalla logica egocentrica e separativa che condividiamo con l’umanità e che è la vera origine di questi problemi. Trovare il nemico fuori di noi, cercare di cambiare il mondo senza conoscere se stessi e gli inganni dell’io, si è sempre dimostrato vano.

Note:

[1] Per ignoranza s’intende soprattutto l’ignorare di ignorare e percepire quindi in modo distorto la realtà. La radice di ogni paura è la paura della morte ma la paura prende mille forme. Che si tratti di paura di soffrire, paura del futuro, paura di non essere amati, paura di sbagliare, la paura in qualunque forma paralizza l’intelligenza e offusca il pensiero. L’egoismo e l’egocentrismo, sono una delle più importanti cause della divisione e di conflitto. L’ignorare di ignorare rende schiavi di idee preconcette ed impedisce di accogliere prospettive diverse. La paura impedisce la comprensione della realtà e produce violenza. L’egoismo o identificazione con un’immagine di sé, “l’Io e il Mio”, secondo la saggezza tradizionale indiana, sono la causa prima della sofferenza e del conflitto.
[2] Come giustamente osserva Ken Wilber:… La religione ha sempre adempiuto a due funzioni molto importanti, ma molto differenti una dall’altra. Da una parte, agisce in modo da dare un senso all’io separato: offrendo dei miti, delle storie, dei racconti, dei rituali, delle ricostruzioni che insieme aiutano l’io separato a trovare un senso e a sopportare i pesi e le ferite del duro destino. Questa funzione della religione non cambia necessariamente né abitualmente il livello di coscienza di una persona; essa non offre né trasformazione radicale, né la possibilità di una liberazione che distrugga completamente la sensazione di essere un io separato. Al contrario, offre consolazione all’io, lo fortifica, lo difende e gli dà importanza. Finché l’io separato crede ai miti, compie i rituali, recita le preghiere e accetta i dogmi, sarà, si crede, fermamente “salvato” – sia immediatamente nella gloria di Dio o attraverso le intercessioni della Dea, sia più tardi in una vita dopo la morte che garantisce una beatitudine eterna. Per un altro verso, la religione è anche servita – e questo il più delle volte per una piccola minoranza d’individui – a una trasformazione radicale, di liberazione. Questa funzione della religione non fortifica la sensazione di essere un io separato, essa lo distrugge totalmente. Invece di consolazione, porta la distruzione, invece di un rifugio, il vuoto, invece del conforto, una rivoluzione, insomma piuttosto che un supporto convenzionale, questa funzione provoca una trasmutazione, una trasformazione dal profondo della coscienza stessa.

FILIPPO FALZONI GALLERANI