Campi morfici

Il biologo e filosofo inglese Rupert Sheldrake ha ideato l’interessante, seppur controversa, teoria dei campi morfici. Secondo la sua visione la materia risponde a un sottostante e preesistente disegno che ha una natura immateriale o psichica, un campo morfico (o morfogenetico) che guida atomi, molecole e cellule a realizzare una specifica forma. Alle geometrie simmetriche e bellissime di un fiore sottostà un campo morfogenetico attorno cui si organizza il suo sviluppo. Quando il bruco nel bozzolo passa attraverso il processo di trasformazione in farfalla, ci sono fasi in cui parti del suo corpo si sciolgono inglobando parti del bozzolo stesso per poi solidificarsi in una nuova forma. Il campo morfico è il disegno di farfalla cui aderiscono molecole e cellule del corpo dissolto del bruco e della seta, trasformandolo in qualcosa di diverso e di nuovo. La coscienza (l’invisibile campo morfico) del “fiore” crea il fiore, la “farfalla” invisibile si costruisce un corpo con le cellule di seta e il corpo dissolto del bruco… dall’invisibile procede il visibile. Si suppone che i campi morfici non riguardino solo le trasformazioni di forme viventi o minerali, ma forse anche la possibilità di sequenze di avvenimenti complessi e ci sia una risonanza tra tutti gli esseri viventi. Le esperienze degli uomini lasciano delle tracce morfiche che influenzano le esperienze attuali. Per questo le preghiere, i riti e i mantra che sono stati ripetuti per secoli ci paiono più suggestivi e “veri”. I campi morfogenetici possono offrire una spiegazione anche ai corsi e ricorsi storici e soprattutto alla incapacità dell’uomo di risolvere i conflitti ed evitare nuove guerre e sofferenze. Nonostante uno sviluppo tecnologico, che implica grande intelligenza e organizzazione, non abbiamo ancora imparato a vivere insieme senza conflitti e stupidamente ripetiamo da millenni gli stessi drammi individuali e collettivi. Si crede che la risonanza morfica che agisce nel presente faccia sì che l’esperienza di ogni uomo influenzi la coscienza collettiva. Perciò, raggiunto un numero critico di individui risvegliati, sarà possibile un salto evolutivo della coscienza umana. La fine dei tempi come la fine del tempo psicologico da cui sorgono ansie e preoccupazioni e la vita eterna, come consapevolezza dell’attimo e della natura trascendente dell’Essere. Il cammino spirituale è quindi essenzialmente questo risveglio alla realtà attraverso l’integrazione dell’io nel Sé. E finché non ci sveglieremo dal sogno dell’ego le cose non cambieranno. Che i campi morfogenetici esistano davvero come Sheldrake immagina o ci siano diverse spiegazioni questo discorso ha comunque un senso. Assomiglia al concetto di inconscio collettivo di Jung, e sotto molti aspetti alla Filosofia Orientale che considera il Brahman substrato atemporale e immutabile della realtà e l’ego una momentanea illusione. Per la Filosofia Perenne la materia è Maya, un’illusione, mentre lo Spirito è la vera realtà oltre lo spazio e il tempo. Un cambiamento interiore autentico implica quindi un diverso contatto con l’essenza creativa. Il risveglio individuale alla pienezza del Sé mette fine alla prospettiva egocentrica e permette di uscire dai vecchi schemi che ci imprigionano ed è anche l’unico modo con cui poter eventualmente aiutare l’umanità in crisi.

Esporrò ora brevemente un’idea sulla relazione tra gli stati di trasparenza dell’io e il manifestarsi di eventi sincronici. Quando siamo a contatto con il Sé, percepiamo la coerenza significativa del destino, troviamo buona fortuna in mezzo alle difficoltà e scopriamo una nuova possibilità di fluire in armonia con gli alti e bassi della vita. Con autenticità e passione, in serena spontaneità, senza nevrosi e inutili proiezioni. Agli stati di trasparenza dell’io e di consapevolezza non divisa corrispondono campi morfici peculiari di forma mandalica, che creano quelle che appaiono come le più improbabili coincidenze significative e le inaspettate circostanze che tessono la magia del quotidiano. Riconosciuto e dissolto il conflitto interiore con l’intuizione dell’interdipendenza degli opposti, siamo in armonia con la vita nel qui e ora e siamo liberi dal passato che imprigiona gli individui inconsapevoli. Sentiamo cariche di senso anche le banali circostanze di ogni giorno e viviamo in presa diretta con l’attimo, senza lasciare spazio al pensiero condizionato. L’effetto di questo stato non diviso della coscienza  ha poco a che vedere con il pensiero positivo e il pensiero creativo. Osservando i fenomeni con una prospettiva egoica e narcisista la realtà è sempre percepita in modo distorto. Non si tratta infatti di far accadere quello che vuole il nostro io, ma di svegliarci alla realtà! Non vediamo che il corpo, la mente e l’energia sono all’interno della consapevolezza, senza di cui non esisterebbero? Ci rendiamo conto che noi siamo tutto ciò? Non ci accorgiamo che una cosa semplice come la respirazione è la connessione con l’energia che anima ogni cellula? Questo non è un concetto, è un fatto! Ma pochi davvero osservano consapevolmente perché queste non sono cose che interessano all’ego che vuol esser grande. Quando la consapevolezza è libera dalle distorsioni del pensiero ciò che accade è espressione di un mandala armonico che risponde al progetto dell’anima, espressione della nostra vera natura. Quando si vive in questa consapevolezza, si riscopre la naturale armonia della vita al di là dei movimenti di superficie. L’io che cerca di cambiare la realtà con “pensieri positivi” rimarrà sempre frustrato e prigioniero nella dimensione del desiderio. La libertà interiore è un prerequisito del risveglio. Coloro che riconoscono la natura del Sé, notano che il mondo esteriore ne è magicamente influenzato con l’armonico realizzarsi degli eventi positivi-negativi che conducono all’autorealizzazione e alla pienezza del Sé. Così Liberazione e Realizzazione vengono assieme.

Max Planck, Nobel della fisica, arrivò ad affermare: “Non esistono leggi fisiche, non sono mai esistite e mai esisteranno.” In sintesi non esisterebbero verità, ma solo possibilità, le quali si possono o no attualizzare con la collaborazione della coscienza che percepisce.

Russell Targ sostenne che viviamo in universo olografico e non-locale. Quindi ogni piccola parte riproduce il tutto, un micro-sistema riproduce un macro-sistema e ogni sistema è connesso agli altri attraverso il proprio campo informazionale.

Il neuroscienziato Karl Pribram scopre che il cervello umano è molto di più che un computer biologico e che le sue funzioni sono di tipo olografico.

L’epigenetica dimostra definitivamente che la coscienza influenza il DNA e la realtà, non tanto attraverso il pensiero consapevole, quanto attraverso le emozioni e le verità radicate nell’inconscio e nelle memorie cellulari.

Su Sri Babaji Herakhan Wale Baba

rBaba ed io 1981

Con Sri Babaji nel 1980

Sri Babaji, che tra i Maestri che ho conosciuto è la figura che più di ogni altra mi ha toccato il cuore e mi ha accompagnato interiormente per tutta la vita, apparve con l’aspetto di un giovane sadhu della foresta nel 1970 a Herakhan, un piccolo villaggio alle pendici dell’Himalaya nella regione dell’Uttarakhand. Questa regione, in passato chiamata Kumaon, è la terra dove da secoli hanno risieduto mistici e anacoreti e dove si trovano i templi più antichi e sacri a Shiva. La natura quasi incontaminata di questa zona ne fa uno degli ultimi santuari della tigre. Per oltre 30 anni ho passato alcuni mesi ogni anno in questo angolo di paradiso per approfondire le mie ricerche.
Sri Babaji visse dapprima in una piccola grotta ai piedi del monte Kailash sulle rive del fiume Gotami Ganga, poi vicino all’antico tempio che sorge su una collina sull’altra sponda del fiume, dove negli anni è stato costruito un grande ashram. 
Il Suo motto, che può apparire banale, era: “Verità, Semplicità e Amore”, ma il modo in cui lui incarnava questi principi era impressionante. Le pratiche che si svolgevano oltre la meditazione e i rituali classici erano il Karma yoga (lavoro fisico) e la japa (recitazione del mantra). Il mantra principale Om Namah Shivay che significa: mi arrendo a Shiva, al Sé Transpersonale.
Nell’ashram ci si alzava per il bagno al fiume alle quattro di mattina anche d’inverno e si lavorava e meditava molte ore al giorno. Sino al 1983 non c’era energia elettrica e la vita è sempre stata molto spartana. La vita sana e la natura splendida rendevano il soggiorno un’esperienza molto forte, ma la cosa più importante di tutta la giornata erano i darshan, gli incontri ravvicinati con il Maestro, momenti in cui si interagiva con lui o si meditava ai suoi piedi.
Babaji comunicava con la sola presenza, con ogni sguardo, trasmetteva una inspiegabile energia e i suoi pochi e semplici discorsi non permettono di comprendere il suo ineffabile messaggio di risveglio. Di aspetto ancora giovane, il 14 febbraio del 1984 Baba lasciò il corpo dopo una breve malattia. Chi scrive era presente nei drammatici giorni della sua scomparsa. Nei sei anni precedenti avevo soggiornato a lungo nell’ashram e per i 30 anni successivi ho passato l’inverno laggiù. Tra i devoti indiani c’erano sia personaggi famosi sia umili contadini e anche fra gli occidentali vi erano i personaggi più diversi: Steve Jobs, fondatore della Apple, incontrò Babaji negli anni ‘70 e ricevette un nome spirituale che in seguito ha dimenticato, ma non rimase a lungo all’ashram perché non ne sopportava la dura disciplina. Come ho detto vennero le persone con le storie più diverse e a ognuno Baba trasmetteva qualcosa di toccante e ineffabile.

Venuto dal mistero

Al momento della sua apparizione, nessuno sapeva chi fosse e da dove venisse. Si dice che Chandramani, un abitante del villaggio, avesse sognato il nonno defunto che era stato devoto del vecchio Herakhan Baba (il santo cui era dedicato il tempio di Herakhan) il quale gli disse di recarsi nella grotta ai piedi del monte Kailash (omonimo della montagna sacra del Tibet) che sorge dirimpetto al villaggio. Là avrebbe incontrato uno Yoghi che altri non era che lo stesso Herakhan Baba e invero una manifestazione di Shiva. Chandramani si svegliò in piena notte e si recò, secondo le indicazioni del sogno alla gufa (grotta) e lì trovò Sri Babaji in profonda meditazione. Si dice che il vecchio Herakhan Baba fosse stato una grande incarnazione spirituale che aveva vissuto una vita ritirata e misteriosa e si faceva vedere di rado dai devoti e solo in caso di necessità. Era scomparso nel 1922 entrando in acqua alla confluenza di due fiumi in Nepal e, a quanto si racconta, scomparendo in una bolla di luce davanti ad alcuni devoti stupefatti tra cui il re del Nepal che era suo devoto. Tutta la storia su di lui sembra una fiaba Indiana ma è una realtà confermata da molti testimoni attendibili.
Gli abitanti del villaggio dopo pochi giorni riconobbero in Sri Babaji una sua reincarnazione perché, seppure sembrasse un giovane tra i 16 e i 20 anni, conosceva la vita dei loro nonni ed eventi che solo il vecchio Herakhan Baba poteva sapere. Mostrò anche straordinarie capacità yoghiche, quando, recatosi sulla cima del monte Kailash, rimase immobile in meditazione per 45 giorni e 45 notti. Per gran parte dei devoti indiani Sri Babaji era l’incarnazione divina la cui venuta era stata profetizzata e preparata da Mahendra Maharaj. 
Mahendra Maharaj, secondo quanto si racconta, quando aveva solo cinque anni aveva sognato uno Yoghi che gli offriva del prasad (cibo benedetto) e questo sogno gli era rimasto tanto impresso che da adulto, finiti gli studi universitari e un periodo di meditazione e ritiro che avevano rivelato il grande mistico che era in lui, partì alla ricerca del Santo che gli era apparso in sogno e che intuiva essere il suo Satguru. 
Dopo aver viaggiato per l’India in lungo e in largo invano, nel 1949, giunto ad Almora, vide in un negozio una fotografia di Herakhan Baba e riconobbe in lui il maestro che cercava. Felice di aver finalmente trovato il suo Guru partì alla volta di Herakhan e lungo la via si fermò nel piccolo tempio di Siddhasrham che è nascosto nella foresta. Qui seppe che Herakhan Baba era scomparso 27 anni prima. Disperato si chiuse in una stanza deciso a non uscirne sinché Baba non si fosse mostrato. Dopo ore d’intensa meditazione Babaji si manifestò e gli disse che sarebbe riapparso nel 1970 a Herakhan, gli affidò il compito di preparare il suo ritorno e gli dette un mantra segreto che sarebbe servito a riconoscerlo. Durante la sua vita Mahendra disse sempre che tutti i fatti miracolosi che i devoti gli attribuivano non venivano da Lui ma dal Babaji che sarebbe riapparso. Mahendra morì nel 1969 con migliaia di devoti che lo piangevano, ma prima di lasciare il corpo aveva rivelato il mantra a un suo devoto: Vishnu Datt Shastri di Rajgar, un colto bramino, professore di Sanscrito, poeta, astrologo e chiaroveggente, che tutti conoscevamo come Shastriji, e fu quindi lui a riconoscere Babaji. Le storie in India sono sempre molto complesse infatti a questa origine di Sri Babaji se ne aggiunge un’altra ed entrambe sono generalmente accettate, né sono mai state causa di discussione negli ashram. Per numerosi occidentali Sri Babaji era il santo descritto in Autobiografia di uno Yoghi di Paramahansa Yogananda. Molti infatti erano giunti a Lui attraverso la lettura di questo famoso libro. Ciò che colpisce è il fatto che tutti quelli che l’avevano incontrato raccontavano le più straordinarie coincidenze che li avevano guidati da Lui. E ogni storia era coerente con le loro peculiari credenze cosicché ognuno si sentiva confermato nella sua interpretazione della storia. Per qualcuno Babaji era l’incarnazione del Santo di cui Mahendra Maharaj aveva profetizzato la venuta. Per altri era il “Babaji” di Yogananda, per altri la reincarnazione di un maestro tibetano scomparso cinque secoli fa. Invero davanti a Lui non veniva neppure in mente una domanda del genere. Io ricordo che la Sua presenza emanava qualcosa di così intimo, intenso e profondo che m’impediva di pensare e mi portava al qui e ora. In quei momenti comprendevo che quello era lo spirito, oltre le parole e il pensiero. E da quella prospettiva domandarsi chi fosse Babaji era l’ultimo dei problemi. Per la mente occidentale è molto difficile comprendere la psiche indiana e la teoria della reincarnazione è falsamente interpretata come se fosse l’ego a reincarnarsi.
Viviamo in un momento storico in cui c’è un’enorme confusione culturale su termini come Ego, Io, Sé, Anima, Spirito, per cui oggi il 90% della spiritualità che vediamo offerta in mille modi nel mercato New Age è invero una parodia della vera spiritualità, proprio a causa del fatto che si confonde l’ego con il Sé.
Come scrive Ken Wilber: “Ogni individuo intuisce giustamente di condividere la stessa natura dell’Atman, ma distorce tale intuizione applicandola al suo sé separato; ritiene che il suo io sia immortale, onni-comprensivo, centrale nel cosmo, estremamente importante. Cioè, sostituisce l’Atman con l’ego. Poi, anziché trovare la totalità effettiva e senza tempo, si limita a sostituirla con il desiderio di vivere eternamente; anziché fondersi con l’universo desidera possederlo; anziché fondersi con Dio si sforza di fare la parte di Dio.” 
La vera spiritualità è consapevolezza del Sé nell’unione con il tutto nel presente senza tempo, mentre l’ego è solo un immagine mentale. L’ego vive nel tempo e la mente divisa è l’origine del conflitto. Lo spirito è impersonale, sovramentale e non concettuale.
La ricerca finisce quando si trova
colui che sta cercando e riconoscendo la natura illusoria dell’io, lo si trascende nella pura consapevolezza senza tempo che è sempre in armonia con il Tutto. Shiva per la filosofia indiana è il Sé. Quando intendiamo le cose da questa prospettiva le diverse interpretazioni possono coesistere, perché lo Spirito non è “personale” e Sri Babaji incarnava lo Spirito che distrugge ogni illusione egoica.

BabajiSri Babaji nel 1972

Esperienze

In “Autobiografia di uno Yogi”, l’immagine che ritrae Sri Babaji ha una notevole somiglianza con il Babaji che era apparso in Herakhan. Ricordo un esempio tra i tanti che paiono confermare questo legame e nello stesso tempo far riflettere sul vissuto di coloro che come me l’hanno conosciuto. Una volta incontrai a Herakhan una signora dai chiari tratti eschimesi e, curioso di sapere come fosse giunta in quello sperduto eremitaggio da tanto lontano, le chiesi di raccontarmi la sua storia. Nel Nord della Groenlandia, dove abitava, le capitò tra le mani il libro di Yogananda e la notte stessa in cui aveva letto il capitolo su Babaji lo aveva sognato. Nel sogno Sri Babaji, che indossava una kurta di seta verde, le disse che la aspettava in India. 
Il sogno fu per lei impressionante tanto che, senza esitare e senza alcun indirizzo, pochi giorni dopo salì su un aereo per Delhi. Giunta in città si rese conto di non avere idea di dove andare. Chiedere in giro se qualcuno sapeva dove poter trovare Babaji era fuori discussione, perché Babaji è un termine di rispetto generico con il quale ci si riferisce ai religiosi, ai rinuncianti e agli anziani e l’India è grande e ci sono milioni di Baba e di Babaji. Allora si recò alla stazione dei bus a Kashmiri Gate e si trovò di fronte alle migliaia di bus della labirintica stazione con i cartelli indicatori delle destinazioni in hindi. Stava per essere colta dallo smarrimento quando vide una scritta in lettere latine su un bus che indicava Ranikhet. Ricordò che nel libro era citata questa cittadina, sulle montagne a circa 2000 metri di altitudine, a 10 – 12 ore di bus a Nord di Delhi. Salì sul bus e giunta a Ranikhet di nuovo non sapeva dove andare. Stanca e sconsolata fu spinta ad addentrarsi nel bosco di conifere fuori dal paese. Dopo un lungo cammino, quando stava per scendere la sera, vide il tempio di marmo bianco di Chilianaula e vi si recò chiedendo rifugio per la notte. Il mahant del tempio le disse che di solito per soggiornare al tempio ci voleva il permesso di Sri Babaji, che proprio quel giorno era ripartito alla volta di Herakhan, ma poiché era tardi le avrebbe trovato una stanza per la notte. La signora esterrefatta non credeva alle sue orecchie quando scoprì che il tempio dedicato a Herakhan Baba era stato fatto costruire da Sri Babaji.
Davvero si trattava dello stesso Sri Babaji che aveva sognato? Così dopo una notte di riposo, il mattino seguente prese un altro bus per Kathgodam da dove, con portatori e cavalli, risalendo il greto del fiume attraverso la foresta per una ventina di chilometri, giunse a Herakhan. E per prima cosa vide Sri Babaji, che pareva fosse lì ad aspettarla vicino al fiume, che da lontano la salutava. Lo riconobbe identico all’apparizione del suo sogno e indossava un’identica kurta verde… 
Era chiaro che si arrivava da Lui per un richiamo inconscio che non si può spiegare. Tale chiamata poteva manifestarsi prepotentemente attraverso i sogni, o per sequenze di sincronicità incredibili. Io stesso sono giunto da Baba attraverso circostanze romanzesche e d’impossibili coincidenze e sono stato testimone in sua presenza di fenomeni inspiegabili che non ho modo di raccontare in poche righe. 
Babaji non pareva fare mai caso ai fatti miracolosi che accadevano attorno a Lui e tanto meno sottolineava il suo legame con Yogananda, con Mahendra o con il Tibet. Non dava alcuna importanza a tutte le storie che si dicevano di Lui e ha lasciato molti nel dubbio perché da un lato l’unica volta che citò pubblicamente Yogananda fu per dire che il libro “Autobiografia di uno Yogi ” era romanzato al 90%.
D’altro canto in qualche occasione sembrò confermare questo legame. Sri Muniraj, il più eminente devoto Indiano, che Sri Babaji nominò guida degli ashram dopo la Sua scomparsa, un giorno mi mostrò un punto del terreno vicino al tempio Chilianaula nei pressi di Raniketh, che Babaji gli aveva indicato come il luogo in cui aveva iniziato al Krya Yoga Lahiri Mahasaya. La data di tale iniziazione è il 1861! Giunti a questo punto del racconto siamo pienamente immersi nella dimensione della spiritualità dell’India, in cui i simboli e gli archetipi sono ancora vivi e integrati nella cultura.
Di nuovo la mente cerca invano di dare un nome e di inquadrare nella tradizione un fenomeno misterioso: un individuo differente da tutti, portatore di una diversa consapevolezza; un’incarnazione dello spirito che non può essere colta dal pensiero e dalle parole e per questo è quasi impossibile parlarne. Sri Babaji era una coscienza totalmente presente. Il suo sguardo vedeva oltre le maschere dietro cui l’uomo si nasconde. La dignità e intensità della sua presenza suscitavano la percezione della nostra stessa essenza atemporale. L’esperienza spirituale di fronte a lui era la percezione reale e immediata dell’Atman che Baba incarnava pienamente
Le molte esperienze che ho avuto con Babaji nei 6 anni tra il ’78 e l’84, sono inenarrabili, per non parlare delle coincidenze e sincronicità che le hanno accompagnate. Le considero le più importanti della mia vita, ma con gli anni ho compreso che i fenomeni paranormali e le esperienze personali sono di secondaria importanza. Ciò che è essenziale è la comprensione delle illusioni mentali che ci fanno dimenticare la vera natura dell’Essere. Non è un compito facile. Babaji infatti mi ha messo in situazioni che hanno distrutto senza pietà le mie identificazioni egoiche e questo è stato spesso molto doloroso, ma nello stesso tempo mi ha anche mostrato la natura impersonale dell’essere e la beatitudine della liberazione.
Inoltre è stato Babaji a indirizzarmi al Rebirthing e a darmi le sue benedizioni perché lo portassi in Italia. Quindi devo a lui non solo la raggiunta serenità, la guarigione dagli esiti di un grave incidente, ma anche il successo e la soddisfazione professionale.
Per alcuni l’aver percepito quei momenti di luce è stato sufficiente per dare inizio a una trasformazione profonda. Ma quando il maestro scompare, è quella Presenza ineffabile che va rievocata per non finire con l’adorare le ceneri del passato senza curare il fuoco spirituale, la luce della Consapevolezza che è sempre presente.
Babaji era uno specchio attraverso il quale trovare se stessi perché si vivesse pienamente ogni attimo, non perché si vivesse di ricordi e di pensieri.
Gli insegnamenti di Babaji di cui si può parlare sono universali, come lavoro disinteressato per il bene comune, coraggio, meditazione, coscienza dell’Unità della vita, devozione al divino, rispetto della Natura ecc. Ma ciò che davvero è importante del suo messaggio è inesprimibile, perché tocca gli aspetti più intimi e profondi dell’individualità ed è oltre la portata del pensiero lineare. E’ una profonda rivoluzione interiore che trasforma la percezione di sé e del mondo.

Baba-Io 81

La mia gratitudine al Guru che mi ha portato a trovare la guida nel Sè (il Guru in noi) è infinita.

Filippo Falzoni Gallerani

Respirazione e Autoindagine

Vivere il presente con una consapevolezza non condizionata dal pensiero, in spontanea sintonia, implica il contatto con la propria Essenza, il Sé impersonale.

di Filippo Falzoni Gallerani

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Nel silenzio di una mente serena, possiamo riconoscere che la coscienza libera dal pensiero è per sua natura in rapporto armonico con il Cosmo. Siamo una sola cosa con la realtà invisibile costituita da miliardi di particelle che compongono il corpo fisico, frutto di milioni d’anni d’evoluzione. Per loro natura le particelle subatomiche che ci compongono sconfinano in dimensioni oltre lo spazio e il tempo. Siamo la somma del processo evolutivo del cosmo dal Big Bang a ora. Siamo della stoffa stessa dell’Assoluto o, come lo chiamano i fisici nucleari, del Vuoto Quanto-meccanico da cui la realtà emerge. Siamo prodotto della misteriosa intelligenza-energia-consapevolezza da cui emana la Natura e il Cosmo.
I cento miliardi di neuroni del nostro cervello, ognuno dei quali ha diecimila connessioni con gli altri, fanno del cervello il pezzo di materia più organizzata che l’uomo conosca nell’universo. L’intelligenza che la mente umana può manifestare nell’arte, nella filosofia e nello sviluppo tecnologico, è ben piccola cosa rispetto a quell’intelligenza che ha organizzato il sistema nervoso. Questo straordinario strumento è indispensabile perché arte, religione e scienza possano essere soltanto immaginate.
I saggi di ogni tempo e gli scienziati più illuminati riconoscono che l’uomo può risolvere i suoi problemi solo riconoscendo la propria Unità con la Vita e ritrovando la sorgente di quest’intelligenza-consapevolezza intrinseca alla natura. L’individuo deve superare l’identificazione con l’immagine di sé che ha costruito, il personaggio che immagina di essere o diventare, sempre alla vana ricerca felicità. La felicità, infatti, non potrà mai essere raggiunta da una prospettiva egoistica. L’ego, con la sensazione di divisione che produce, è la vera causa della sofferenza e dell’ansia. I desideri dalla prospettiva egocentrica non potranno mai essere soddisfatti definitivamente, perché, come per la linea dell’orizzonte, appena abbiamo raggiunto la meta, vediamo spostarsi più avanti l’obbiettivo.

Conosci Te Stesso

I saggi insistono sul “Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei” come diceva Platone, in mille modi e con infinite metafore. Gli sviluppi della psicologia del profondo e della filosofia Orientale sono concordi nell’indicare nella consapevolezza, nell’autoindagine e nella presenza mentale, la via del risveglio dall’inganno della separazione prodotta dell’ego. L’osservazione sincera del mondo interiore e il riconoscimento dei giochi dell’io e dei limiti del pensiero sono la via più diretta al risveglio. Ma, nella ricerca della verità attraverso la presenza mentale, ogni sforzo intellettuale si rivela un ostacolo. Non basta capire, dobbiamo sperimentare direttamente la verità.
Per questo sono state sviluppate nei secoli molte pratiche specifiche basate sulla respirazione che conducono più rapidamente oltre le gabbie del pensiero, alla sintonia con l’Essenza.
Il Buddha e i maestri di ogni tempo hanno riconosciuto nel respiro uno dei metodi più efficaci per accedere alla consapevolezza del Sé. Attraverso il respiro, il corpo si armonizza e le funzioni organiche trovano il giusto equilibrio, la mente si placa ritrovando contatto con il presente non concettuale e le percezioni interiori diventano nitide e chiare. In questo stato non è raro che l’Unità della Vita appaia auto-evidente.
La prospettiva Transpersonale alla pratica della respirazione è fondamentale perché ogni metodo, insegnato, appreso e applicato con un approccio narcisistico, si rivelerà autofrustrante e inutile. Anziché alla liberazione, ogni tecnica applicata in tal modo conduce a illusioni egocentriche ancor più ingannevoli e “non ci sono peggiori illusioni che quelle che l’uomo crea per liberarsi dall’illusione”… (Ho chiarito questo concetto nel brano del mese scorso: “Il coraggio di accettare la verità”.)

James Hillman ci ha spesso ricordato che i fallimenti della psicanalisi e della psicoterapia in genere dipendono proprio dal narcisismo che oggi domina il mondo e gli stessi terapeuti. Jung si vantava di non essere “Junghiano”.
Diceva che si dimenticava di qualunque teoria nel momento che incontrava un paziente, permettendo così all’intuizione e all’inconscio di guidare l’esperienza. Non s’identificava in un agente esterno che guida il paziente a una meta, ma coinvolto nell’esperienza spontanea, permetteva l’emergere dell’individuazione, nel confronto con la realtà psichica del qui e ora.
Con la respirazione, è certamente molto più facile accedere a questo sentire immediato, a questa presenza senza aspettative libera da preconcetti, ma è necessario che ci sia dall’inizio un atteggiamento indirizzato al Transpersonale. Tale atteggiamento, che Ramana e altri saggi chiamano lo Stato Naturale, è espressione spontanea della consapevolezza non imprigionata dalle gabbie delle parole e del pensiero. Non si ricercano fenomeni psichici o esperienze mistiche, bensì si osserva per immedesimazione ciò che li cerca… Essenzialmente la Psicologia Transpersonale è una versione moderna della Filosofia Perenne e delle tecniche d’autoconoscenza e autotrascendenza che l’umanità ha sviluppato nel corso degli ultimi 25 secoli.  Antiche intuizioni sulla natura dell’Essere trovano conferme negli sviluppi della Scienza contemporanea. I nuovi paradigmi quantistico-relativistici conducono a intuire la realtà Olistica dell’Universo e della Coscienza in cui esso si specchia.
La Coscienza è vista come l’interfaccia della materia; la materia è solo energia fluttuante in uno spazio-tempo illusorio, e il Sé è testimone senza tempo di Mahamaya (il mondo dell’illusione come manifestazione cosmica).

Filosofia Perenne

Aldous Huxley ci ricorda che alla base delle Filosofia Perenne ci sono queste quattro assunzioni fondamentali:

I: Il mondo fenomenico di materia e di coscienza individualizzata, il mondo delle cose, degli animali, degli uomini e persino degli dei, è la manifestazione di una base o substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali hanno il loro essere e separate dal quale sarebbero inesistenti.
II: Gli esseri umani sono in grado non solo di conoscere la Base Divina per pura inferenza, ma possono anche realizzare la sua esistenza attraverso l’intuizione diretta, superiore al pensiero discorsivo. La conoscenza immediata che unisce il conoscitore con la cosa conosciuta.
III: L’uomo possiede una duplice natura, un ego fenomenico e un Sé eterno che è l’uomo interiore, lo spirito, la scintilla del divino nell’anima. E’ possibile per l’uomo, se lo desidera, identificarsi con lo spirito e quindi con la Base Divina che è della stessa natura dello spirito.

IV: La vita dell’uomo sulla terra ha un solo scopo e fine, identificarsi con il Sé eterno e così giungere alla conoscenzaunitiva della Base Divina.

Gli Indù affermano che chi non vive direttamente gli insegnamenti è come il pastore che cura le mucche di proprietà d’altri. Nell’Islam, Maometto diceva che il filosofo che non sperimenta la sua metafisica è come un asino carico di libri.

Quando si è sentita echeggiare la profondità dei concetti che ci portano all’autoindagine oltre le parole, possiamo iniziare a intuire la natura impersonale della coscienza. Ciò permette di percepire che oltre all’ego e al pensiero, si dispiega una coscienza senza confini di spazio e tempo che vive nell’Eterno Ora, il Continuo Infinito Presente. Qui la mente sgombra risponde in sintonia spontanea alle richieste del momento, libera dal conflitto della separazione, dalla nevrosi e dall’ansia del domani.

Keats scriveva: “Chiama il mondo la valle del fare anima. Così saprai a che cosa serve il mondo”.
La vita diventa l’avventura della coscienza nel risveglio che è libertà dall’illusione del tempo.
Si vive nel qui e ora in un mondo sempre nuovo, liberi dai condizionamenti; moriamo e rinasciamo ogni attimo, liberi da qualunque preoccupazione per i personaggi che appaiono sulla scena.

Vivendo in “presa diretta” l’io scompare. Il passato è solo ricordo (anch’esso mutevole a ogni fluttuazione dell’umore) e il futuro, fantasia illusoria… abbiamo inseguito fantasmi senza vedere la realtà, ora possiamo godere dell’Essere, ora sentiamo di essere una cosa sola con Sat Cit Ananda[1].
Quando abbiamo sentito che siamo davvero il Sé senza forma, non separato dal mondo della manifestazione, un cosmo senza confini, possiamo affidarci al potere che è a monte di tutti i fenomeni.
Inconoscibile e privo di attributi, il vero Sé è autoevidente come lo spazio. Come lo spazio tuttavia non lo possiamo definire con le parole come fosse qualcosa di concreto e visibile. Non possiamo afferrare lo spazio, possiamo descrivere solo ciò che contiene.
Siamo già in ogni istante e da sempre dello stesso tessuto di un Cosmo stupefacente e misterioso, e non occorre certamente far nulla per raggiungere ciò che è.
Non occorre dividersi in due (osservatore e osservato) perché la coscienza diventi cosciente di sé, è sufficiente rendersi conto che lo siamo già da sempre. Come scintilla di consapevolezza, siamo co-creatori del mondo fenomenico, noi stessi siamo il substrato Divino all’interno del quale tutte le realtà parziali hanno il loro essere. Sullo schermo di questa consapevolezza appare l’io, e identificati con esso prendiamo terribilmente sul serio le sue vicende. Così, mossi da desideri e paure, perdiamo la consapevolezza del Sè.

Che fare?

Molti chiedono che cosa si deve fare per non perdersi ancora e ancora nelle faccende quotidiane, nelle abitudini mentali che tendono a riportare la mente ai triviali giochi dell’io, del desiderio, dello spazio e del tempo.
L’intuizione folgorante che ci permette di vedere con chiarezza i limiti del pensiero, oltre i filtri del condizionamento, è spontanea e avviene quando abbiamo riconosciuto e rinunciato alle illusioni dell’io. Non possiamo produrla con la volontà, anzi cercandola la allontaniamo, ma possiamo evitare di porre gli ostacoli che ne inibiscano la spontanea manifestazione. Da un lato dobbiamo accettare il confronto con il mondo delle tre dimensioni e la vita di ogni giorno per quello che è. Possiamo guardarlo con il distacco e la passione con cui assisteremmo a uno spettacolo teatrale, senza preoccuparci di come andrà a finire il secondo tempo… capaci di ammirare la bravura degli attori anche quando fanno la parte dei “cattivi”. Possiamo osservarlo con l’attenzione senza scelta di chi partecipa a una rappresentazione, scopriamo che essa ha sempre qualcosa da insegnarci, come un sogno che possiamo interpretare per conoscere meglio noi stessi. E’ così possibile pacificare la mente. Allora si accettano gli alti e i bassi del destino come le avventure del personaggio dello spettacolo teatrale.
D’altro lato, sarà d’aiuto favorire momenti adatti a più profonde immersioni nel sentire immediato, cosa che l’autoindagine e la respirazione favoriscono enormemente. La respirazione, infatti, come abbiamo detto, è un potente catalizzatore della consapevolezza immediata.
Così si crea una dimora interiore per la saggezza e i momenti d’Unione si stabilizzano sino a diventare un costante sottofondo di serenità. In questo viaggio dell’anima ci sono pratiche, antiche e moderne, che possono diventare una porta che conduce al Sentiero, ma la respirazione e l’autoindagine sono le più potenti ed efficaci.
Il Sentiero non è uno stato che una volta raggiunto si possa considerare la meta finale, il Sentiero è la vita stessa, un processo senza sosta di crescita e d’autotrascendenza.
Lungo il Sentiero, con autenticità consapevole, possiamo entrare in sintonia con la giusta prospettiva interiore e così confrontarci con noi stessi e il mondo in modo sano, creativo e spontaneo. Questa presenza momento per momento, in cui l’osservatore non si separa da ciò che è osservato, è la liberazione che l’uomo cerca invano nel tempo. Con essa finisce il tempo psicologico con le sue ansie e illusioni. Nevrosi e dubbi non possono più imprigionare la mente specchio.  L’individuazione si attua spontaneamente. Ogni passo è la meta. Il soffio vitale ci giuda, mentre l’anima si dischiude. Senza conflitti interiori viviamo pienamente il nostro “destino”.

Filippo Falzoni Gallerani, Milano 29 aprile 2012

“Nel centro della cavità del Cuore, Brahman splende solo. E’ la forma del Sé sperimentata direttamente come “Io-io”. Entra nel cuore, attraverso l’auto investigazione, l’immedesimazione e attraverso il respiro e radicati nell’esperienza che sei Ciò.
(…) I tre sentieri sono: auto investigazione, immedesimazione nel Cuore e controllo del respiro.
(…) I pensieri si controllano attraverso la regolazione del respiro. Allora uno può stabilirsi alla loro sorgente. Osservare il flusso del respiro con la mente è il sistema per controllarla.
(…) Il fondersi della mente e del respiro è chiamata “Dhyana” e conduce allo Stato Naturale quando diventa profonda e stabile.
(…) Altri sentieri si sforzano di raggiungere qualcosa, l’autoindagine cerca colui che fa lo sforzo.”

Ramana Maharshi (Ramana Gita)

 

“E’ spaventosamente difficile descrivere o spiegare questa non-cosa che, dopo tutto, merita il nome di ineffabile. In fondo si può dire che c’è la visione o non c’è, il velo è caduto o non lo è. Il fatto di essere solo un mistico, uno yoghi o uno sciamano non significa quindi molto: altri ruoli di sogno per altri attori di sogno. Finché c’è qui qualcuno che capisce, non c’è comprensione. Finché c’è qualcuno qui che deve svegliarsi, non c’è risveglio. Il messaggio dei sutra e degli sciamani è lo stesso: chi veramente comprende, è colui che muore prima di morire, che non lascia tracce, che non segue un sentiero, perché sa che in quanto persona, in quanto a entità egli non esiste. Ma, chi può farlo, quale sé può cessare di esistere? Nessuno, come direbbe Wei Wu Wei, perché non c’è nessuno: può solo succedere. Allora non c’è nessuno che sa, ma solo il sapere e tutto questo mondo è come in un sogno o in una visione; solo Splendore al di là della luce, Amore al di là dell’amore, chiarezza e bellezza che irradia attraverso queste forme trasparenti e qui, assolutamente nessuno. …

David Carse

tratto dal libro “Perfect brilliant stillness”,  Traduzione di Isabella di Soragna

 


 

[1] Sat Cita Ananda: Essere, Consapevolezza, Beatitudine: è una descrizione dell’esperienza soggettiva di Brahman, lo Spirito Supremo o Mente Universale. Questa sublime esperienza della pura consapevolezza senza confini e un’esperienza intuitiva della realtà ultima. Sat è Essenza pura e senza tempo, Cit è Consapevolezza e Ananda è beatitudine.

La Respirazione come strumento di Risveglio e Liberazione

Una buona respirazione è d’importanza fondamentale per il raggiungimento e mantenimento del benessere psicofisico ma la maggior parte degli individui raramente ha una respirazione libera e armonica. I benefici prodotti dalla liberazione del respiro sono confermati da molti studi scientifici. Ritrovare una respirazione armonica e completa è un aspetto cruciale delle pratiche indirizzate alla salute fisica e alla serenità mentale. Tra le tecniche di respirazione il Rebirthing Transpersonale è indirizzato non solo per armonizzare il respiro ma all’induzione di stati non ordinari di consapevolezza re profonde esperienze di conoscenza di Sé e risveglio. Il Rebirthing Transpersonale si rivela un efficace strumento per ritrovare se stessi, porre fine ai conflitti mentali e stabilizzare l’energia vitale.

Non solo il respiro è vita e se non si respira bene non si può vivere bene, ma oltre all’equilibrio psicofisico molti sento il bisogno di sviluppare una coscienza più profonda di sé oltre i limiti dell’io.

Presupposto della pratica Transpersonale è la consapevolezza che l’io come entità indipendente, dotata di natura propria, è un’illusione creata dalla mente. La Consapevolezza è il substrato, sempre presente, di ogni fenomeno, il nostro vero Sé. Nel Sé ritroviamo la chiarezza percettiva dell’eterno presente. Risiedere nella consapevolezza comporta la spontanea resa a un “potere” che non appartiene al pensiero, ed è quel potere che ci conduce a diventare servitori della vita lungo il sentiero dell’autorealizzazione.

Krishnamurti ha osservato che, il fatto stesso di meditare, mette ordine nell’attività di pensiero senza l’intervento della volontà, della scelta o della decisione o di alcun’altra azione di colui che pensa. Nel momento in cui si stabilisce quell’ordine, il rumore e il caos, che sono la fonte abituale della nostra coscienza, si estinguono e la mente diventa generalmente silenziosa (il pensiero non nasce che quando è necessario, poi si ferma fino a che non è di nuovo necessario). In quel silenzio Krishnamurti dice che si produce qualcosa di nuovo e creativo, che non può essere tradotto a parole, ma che è di uno straordinario significato per l’insieme della nostra vita. Così non tenta di comunicarlo a parole, ma domanda a coloro che sono interessati a questo, di esplorare il problema della meditazione direttamente da se stessi prestando un’attenzione vera alla natura del pensiero. Senza provare ad approfondire il problema della meditazione, si può dire che la meditazione, nel senso che le dà Krishnamurti, può mettere ordine in ogni nostra attività mentale e questo può essere un fattore chiave, suscettibile di mettere fine all’afflizione, al malessere, al caos e alla confusione che sono da sempre lo scotto dell’umanità e che continuano a esserlo senza prospettiva di cambiamento in un prossimo avvenire.

D. Bhom, Nobel della Fisica

Non è patologico soffrire per la perdita di una persona cara, per una delusione d’amore, un tradimento, per una malattia fisica, per un tracollo economico o per gli acciacchi della vecchiaia, e nella vita sono cose che capitano.

Nessun metodo può liberarci dalla condizione umana, ma l’uomo ha a disposizione modi diversi di confrontarsi con la vita. Può lasciarsi trascinare dalla ricerca del piacere cercando di ottenerne ad ogni costo l’appagamento, ma l’attaccamento a ciò che è transitorio comporta sofferenza e le cose non vanno sempre come vorremmo. Può scegliere la via dello Yoga, dell’unione con la radice della coscienza e ritirandosi dal mondo trovare la pace interiore attraverso il distacco e il controllo mentale e la disciplina, ma se questo non è nella sua natura gli sarà impossibile staccarsi dai desideri per quanti sforzi faccia. Una via diversa è quella in cui, cosciente della natura illusoria dell’io separato, può vivere pienamente nel mondo, senza esserne schiavo e partecipare alla vita come ad una rappresentazione in spontanea armonia, guidato dalla sintonia con il qui e ora. Gli aspetti dolorosi dell’esistenza da questa prospettiva sono speculari ai piaceri e fanno parte del gioco cosmico di luce e ombra e possono essere vissuti come insegnamenti. C’è un modo responsabile e saggio di affrontare i momenti difficili e mantenere l’equilibrio anche quando il mare è tempestoso. Ma questo raggiungimento come abbiamo più volte ripetuto è una specie di risveglio della coscienza e non riguarda parole e concetti che si possono ripetere anche “dormendo”. Anche nello Zen si usano le parole per comunicare l’inesprimibile, ma l’esempio del “dito che indica la luna” ci ricorda che non ci si deve soffermare sul dito (le parole) bensì andare a ciò che è indicato. Alan Watts aggiungeva che, soprattutto, non dobbiamo limitarci a succhiare il dito in cerca di consolazione.

Il Rebirthing Transpersonale dissolve le illusioni dell’io e offre una via per un liberatorio contatto con se stessi, e si dimostra adatto all’uomo moderno che non intende ritirarsi dall’arena del mondo e nello stesso tempo comprende che per vivere bene e attingere ai potenziali interiori deve perseguire un cammino di autoconoscenza e di autotrascendenza.

Filippo Falzoni Gallerani

Respirazione e Benessere

“L’uomo vive in un periodo in cui l’ansia affligge la maggioranza degli individui “sani”, e gli attacchi di panico colpiscono individui che sino all’insorgere improvviso dei sintomi erano sempre stati in grado di affrontare la vita.”

Sono sempre più diffuse le difficoltà affettive, le crisi matrimoniali, le difficoltà di comunicazione, l’insicurezza di sé, solitudine interiore e la depressione. La respirazione è la via maestra per ritrovare sé stessi e l’equilibrio naturale.

Lo stress interferisce con la respirazione che alla base dell’equilibrio psicofisico e attraverso il riequilibrio della respirazione possiamo ritrovare salute e serenità interiore per affrontare al meglio le sfide quotidiane della vita.

Il Rebirthing Transpersonale mostra la sua efficacia già dalla prima seduta e significativi risultati in poche sedute. La seduta individuale consiste in un colloquio introduttivo, nella pratica vera e propria della respirazione che si conclude con un rilassamento profondo e infine la discussione dell’esperienza vissuta. La seduta quindi può durare due ore o oltre.

FILIPPO FALZONI GALLERANI