Dal Tan-Ching (Hui Neng)

Estratto da: la dottrina Zen del vuoto mentale di T. D. Suzuki ed Adelphi

24. Mahaprajnaparamita è un termine sanscrito della terra occidentale; in cinese (T’ang) significa ‘grande saggezza, l’altra sponda raggiunta’. Questa Verità deve essere vissuta, non soltanto pronunciata a parole. Se non è vissuta, è come un fantasma, un’apparizione.
Lo stato di Dharmakaya dello Yogi è uguale a quello del Buddha. Cosa significa maha? Maha significa ‘grande’. La capacità della Mente è ampia e grande, come il vuoto dello spazio. Ma star seduti con la mente vuota fa cadere nel vuoto dell’indifferenza. Lo spazio contiene il sole, la luna, le stelle, le costellazioni, la grande terra, le montagne e i fiumi. Tutte le erbe e le piante, gli uomini buoni e cattivi, le cose buone e cattive, l’inferno e il paradiso, sono nello spazio vuoto. Il vuoto della natura del Sé in tutti gli uomini è uguale ad esso.
25. La natura del Sé contiene nel vuoto tutti gli oggetti: quindi è grande. Tutti gli oggetti senza alcuna eccezione sono nella natura del sé. Osservando tutti gli esseri umani e non umani così come sono, il bene e il male, le cose buone e cattive, non li abbandona, né è contaminata da essi; è come il vuoto dello spazio. Quindi si chiama grande, cioè maha.
Chi è confuso dice queste cose a parole; il saggio le vive nella sua mente. Inoltre, le persone con le menti confuse pensano che sia grande solo se svuotano la mente dei pensieri: questo non è giusto. La capacità della Mente è grande; ma se la vita non l’accompagna è piccola.
Non dite questo soltanto a parole. Chi non impara a vivere la sua vita, non è mio discepolo.
26. Cos’è la prajna? La prajna è la saggezza. Se i tuoi pensieri non sono continuamente ottenebrati, e se vivi in continuazione la saggezza, questa è la vita della Prajna. Se anche un solo pensiero è ottenebrato, la Prajna non è più in azione.
Se anche un solo pensiero è saggio, cioè è illuminato, nasce la Prajna. Pur avendo sempre la mente ottenebrata, gli uomini dicono di vivere la Prajna. La Prajna non ha forma né aspetto, non è altro che l’essenza della saggezza.
Cos’è la Paramita? È un termine sanscrito della terra occidentale. In T’ang significa “l’altra sponda raggiunta” Se si capisce il significato di questo termine, ci si separa dalla nascita e dalla morte.
Se ci si lega a questo mondo oggettivo, appaiono la nascita e la morte, così come le onde appaiono dall’acqua. Questo si chiama “questa sponda”. Quando ci si stacca dal mondo oggettivo non vi è nascita e morte e si è come l’acqua che segue costantemente il suo corso.
Questo è “raggiungere l’altra sponda”. Da qui il termine Paramita. Chi è confuso dice soltanto la parola (Prajna) ma il saggio la vive nella sua mente.
Nello stesso momento in cui è detta soltanto a parole, diventa falsità; e se è una falsità non è una realtà. Solo se la Prajna è viva in ogni pensiero, questa è realtà. Chi capisce questa verità, capisce la verità della Prajna e pratica la vita della Prajna. Chi non la pratica è una persona qualunque. Se tu la pratichi e la vivi in ogni tuo pensiero, sei uguale a Buddha, Buoni amici, le passioni non sono altro che illuminazione (bodhi). Se il vostro pensiero precedente è confuso la vostra è una mente qualunque; ma non appena il pensiero successivo è illuminato, siete un Buddha.
Buoni amici, la Prainaparamita è la più onorata, la più grande e la più alta; non è in nessun luogo, non va e non viene; tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro derivano da essa. Per mezzo della Grande Saggezza (mahaprajna) che porta all’altra sponda (paramita), i cinque skandha, le passioni e le innumerevoli follie sono distrutti. Quando si pratica questa disciplina si è un Buddha, e le tre passioni, desiderio, rabbia e follia si trasformano in Moralità (Sila), Meditazione (dhyana) e Saggezza (praina).
27. Buoni amici, secondo il mio modo di capire questa verità, da una sola Prajna derivano 84,000 saggezze. Questo perché vi sono 84.000 follie. Se non vi fossero queste innumerevoli follie, la Prajna sarebbe eternamente presente e non divisa dalla natura del Sé. Chi comprende questa verità è libero dai pensieri, dai ricordi e dagli attaccamenti, in lui non v’è errore o falsità.
Qui l’Essenza della Quiddità è presente tramite se stessa.
Se tutte le cose fossero considerate alla luce della saggezza non ci sarebbe né attaccamento né distacco. Questo vuol dire vedete nella propria natura e raggiungere la verità della condizione di Buddha.
28. Buoni amici, se volete entrare nel profondissimo regno della Verità (Dharmadhatu) e raggiungere il Prajnasamadhi, dovete iniziare subito ad esercitarvi nella vita della Prajnaparamita; dedicatevi al solo volume del Vajracchedika-prajnaparamita Sutra, e, osservando la natura del vostro essere, entrerete nel Prajnasamadhi. Dovete sapere che il vostro merito sarebbe senza misura, come è detto nei sutra di cui non ho bisogno di parlare in dettaglio.
Questa Verità dell’ordine supremo è insegnata alle persone di grande intelligenza e di capacità superiori. Se l’ascoltassero persone di poca intelligenza e di capacità inferiori, la fede non si risveglierebbe nelle loro menti.
Perché? Sarebbe come un grande drago che fa piovere nei torrenti del Jambudipa: città, paesi e villaggi sono inondati e spazzati via dalle acque, come se fossero le foglie di una pianta. Ma se la pioggia, per quanta fosse, cadesse sul grande mare, esso non aumenterebbe né diminuirebbe. Quando una persona del Grande Veicolo ascolta questo discorso, la sua mente si apre ed egli capisce per intuito.
Apprende così che la sua Natura è in origine dotata della saggezza della Prajna e che tutte le cose devono essere viste alla luce di questa saggezza; e non ha bisogno di dipendere dalle lettere. È come l’acqua della pioggia che non si conserva mai in cielo; il re-drago la estrae dai fiumi e dai mari, cosicché tutti gli esseri e le piante, senzienti e non-senzienti, si bagnano.
Tutte le acque che scorrono di nuovo insieme si versano poi nel grande mare, e il mare che accetta tutte le acque le fonde in una sola. Lo stesso è per la saggezza della Prajna che è la Natura originale di tutti gli esseri.
29. Quando una persona di capacità inferiori ascolta la dottrina immediata di cui si parla qui, è come una di quelle piante che per natura crescono piccole, e che, inzuppate da una forte pioggia, non riescono ad alzarsi e a continuare la loro crescita.
Così è per una persona di capacità inferiori. Pur essendo dotata della saggezza della Prajna come le persone di grande intelligenza, non riesce a intuire la Verità neanche mentre l’ascolta, a causa dei pesanti ostacoli prodotti dalle idee sbagliate e dalle sue passioni profondamente radicate.
È come una nuvola che oscura il sole: finché non si apre con forza i raggi di luce non sono visibili. Non c’è grandezza né piccolezza nella saggezza della Prajna, ma poiché tutti gli esseri hanno in sé pensieri confusi, cercano il Buddha per mezzo di esercizi formali, senza riuscire a penetrare nella natura del loro Sé. Ecco perché sono chiamate persone di capacità inferiori. Coloro i quali ascoltano questa dottrina ‘Immediata’ e non intraprendono esercizi formali, ma riflettendo dentro di sé elevano sempre la loro Natura originale alla giusta visione della Verità, rimangono…

Che cosa c’è di “spirituale” in tutto questo

Ricordo che nel 1989-90, quando scrissi il mio primo libro sulle tecniche di respirazione, a causa di un ritardo della stampa, ebbi modo di ricorreggere il testo durante il mio annuale soggiorno in India. Alla prima rilettura ringraziai il cielo di quel ritardo editoriale. Rimasi quasi inorridito nell’accorgermi che avevo scritto almeno nove pagine di severe critiche sull’uso improprio delle tecniche di respirazione, di meditazione ed in particolare del Rebirthing.
Nella serenità himalayana, messe da parte le irritate reazioni dell’ego professionale che aveva dominato in quelle pagine, pensai che non dovevo criticare nessuno e scrivere soltanto ciò che ritenevo corretto senza preoccuparmi di come altri si improvvisassero terapeuti o guide spirituali senza rendersi conto di ingannare sé stessi e i pazienti con fantasie narcisiste. Riconoscevo nel Rebirthing la tecnica più potente ed efficace che avessi mai sperimentato, nonostante i fondatori americani del metodo la associassero a teorie semplicistiche per me inaccettabili.
Di fronte a queste lacune, che screditavano la validità del metodo, pensai fosse sufficiente portare avanti un approccio serio, senza prendere in considerazione le pericolose facilonerie che ne stravolgevano l’efficacia e ne screditavano il nome. Così al mio rientro dall’India portai all’editore Armenia un libro del tutto privo di anatemi e purgato da ogni critica alle scuole americane.
Pochi anni dopo mi fu proposto da Rusconi di scrivere un libro per illustrare in particolare il mio metodo. Nel 1996 pubblicai con il titolo “Rebirthing Transpersonale” un testo più specifico per differenziare il mio approccio, sempre evitando di fare critiche dirette. Da allora sono passati molti anni e ho scritto altri libri e vari articoli in cui ho cercato di evitare critiche dirette ad altre scuole, ma ho trovato indispensabile mettere in luce gli inganni dell’ego. Al giorno d’oggi infatti, internet ha diffuso su vastissima scala insegnamenti di filosofia orientale, meditazione, spiritualità, Yoga, sviluppo personale, Olismo, non-dualismo, ecc., ma molte di queste informazioni non soltanto sono scorrette, ma spesso anche svianti e dannose e devo esprimere il mio dissenso critico per la prospettiva egoica che nascondono. Da un lato tutto ciò che esiste ha diritto di esistere, tutto è un’apparizione momentanea ma per amore di verità mi par doveroso prendere in considerazione gli errori più diffusi e condivisi, se questo può evitare a qualcuno sofferenze e delusioni. L’intelligenza discriminante che svela inganni e illusioni è un ingrediente indispensabile sulla via della liberazione, e nel riconoscere ciò che è falso ritroviamo il vero, senza che ci sia conflitto.
Tutti cercano a loro modo la felicità, il benessere, l’amore, la sicurezza e la pace interiore, ma nella stragrande maggioranza dei casi lo fanno nella direzione sbagliata, e per questo è importante chiarire le coordinate del percorso.
La totalità psicosomatica dell’individuo è un algoritmo estremamente complesso, molto flessibile ma delicato tanto che basta un piccolo squilibrio per rompere l’armonia della salute olistica e l’integrità, che accompagnano la gioia di vivere e la realizzazione di sé. Si potrà vivere anche 90 anni in uno stato di disarmonia, ma non sarà vita pienamente vissuta, ma una faticosa e spesso dolorosa sopravvivenza.
Bastano piccoli blocchi emotivi e i più comuni condizionamenti psicologici, perché si disperda gran parte dell’energia che è alla base dell’intelligenza intuitiva, dell’empatia, dell’entusiasmo e dell’ispirazione.
Ogni cambiamento è impossibile se non da una prospettiva radicalmente diversa da quella comunemente proposta dalle discipline di automiglioramento quando queste non depurate dall’inganno dell’ego. Al contrario delle fantasie misticheggianti e delle estasi prodotte dall’autosuggestione, la liberazione nasce dal doloroso confronto con il lato oscuro, da una crisi, dalla disillusione e dalla resa[1].
Molti approcci, invece di affrontare i blocchi psicofisici e l’erronea prospettiva del ricercatore (gli inganni dell’ego), suggeriscono di pensare positivo e immaginare il cambiamento desiderato per creare così la propria realtà, come se si potesse avere questa libertà creativa senza aver prima riconosciuto chi siamo veramente, cosa stiamo cercando e perché lo cerchiamo.

Cerchiamo la verità che svela il nostro nulla o gratificazioni per l’ego in versione spirituale?

Invero il primo passo per iniziare qualunque processo autenticamente trasformativo è il coraggioso riconoscimento della nostra inconsistenza come individui indipendenti dalla vita stessa. Arrendersi alla realtà conduce al testimone trasparente a sé stesso, libero dal tempo che abbraccia il divenire. Vuoto e Forma, Essere e Divenire, Shiva e Shakti non sono altro che la pienezza della vita vissuta con coraggio e spontaneità.
In questo senso il Mahamudra di Tilopa afferma che “la più alta meta è l’essere ordinario privo di speranza e paura”.
Arrendersi alla realtà non ha nulla a che vedere con la passività, anzi implica attività efficace con il coraggio di vedere le cose come sono e di riconoscere i limiti dell’ego-immagine prigioniero di astrazioni e concetti.
Quell’io fatto di pensieri e aspettative non ha il controllo della situazione, anzi ne ostacola il fluire, ma difficilmente osa riconoscerlo e altrettanto difficilmente lascia la presa.
Questo autoinganno è l’errore più sottile e il problema più diffuso che impedisce di vedere e comprendere sé stessi e il mondo e che conduce ad una falsa percezione di sé.
Ed è per questo che è anche molto difficile da comunicare a chi non abbia il cuore aperto alla vita e la mente aperta al mistero e al sapere di non sapere.
Siamo energia-consapevolezza che abbraccia senza divisioni il reale e ci identifichiamo con un corpo separato dal mondo, seppure sia il corpo, sia le percezioni esistono all’interno di questa stessa consapevolezza, che è la nostra vera natura.
Siamo la vita che anima ogni essere, ma identificati con l’io abbiamo paura di morire e fantastichiamo sulla reincarnazione o la vita eterna come se fosse quell’ego che scompare appena siamo distratti o addormentati a dover durare per sempre… Come spesso ripeto, l’ego è illusorio in quanto è una non-entità, un’immagine mentale, un riflesso del pensiero e questo io vorrebbe trovare la liberazione? Che assurdità… Si spera che duri in eterno invece di comprendere che giova liberarsene immediatamente riconoscendone la natura illusoria e divisiva. Separiamo noi stessi dalla vita immaginando di essere qualcosa-qualcuno di esterno a ciò che percepiamo. Ma quando siamo in armonia tutto fluisce in spontanea pienezza e non c’è sensazione di un io separato con il suo bagaglio di pensieri. Non c’è neppur nessun bisogno di distruggerlo, basta riconoscere cos’è.
Molti pretendono di raggiungere uno stato, lo si chiami: consapevolezza, silenzio mentale, chiarezza, risveglio, ma esso sfugge a qualunque tentativo da parte dell’ego di raggiungerlo perché appartiene a un piano esperienziale oltre le immagini mentali che l’ego incarna, ma neppure lo si raggiunge cercando di annullare l’ego!
La coscienza del Sé è uno stato di totale libertà ed equanimità, che è impensabile per la mente che per natura si basa sulla contrapposizione delle polarità, mentre nella pienezza di sé si coglie la reale interdipendenza degli opposti.
Molti pseudo-insegnamenti spingono gli allievi a cercare qualcosa che non si potrà mai trovare perché si manifesta solo in una coscienza libera dal cercatore e dalla ricerca.
L’ego scompare nella consapevolezza senza scelta di ciò che è e con esso scompaiono i legami del passato e i condizionamenti che ci imprigionano, senza che questo implichi alcun vuoto di memoria, ma solo libertà dal conflitto.
Molti cercano il cambiamento senza comprendere che il problema non è cambiare, ma riconoscere chi vuole farlo, e che se osserviamo bene non abbiamo bisogno di alcun cambiamento perché tutto è già qui se si smette di cercare.
La divisione interiore tra “controllore e controllato”, che in questo modo si instaura, è sempre autofrustrante e cessa di essere un problema quando la accettiamo come semplice gioco della mente.
A volte gli insegnamenti spirituali, le ideologie di liberazione e autotrascendenza, attraverso cui molti cercano di affrancarsi dalla sofferenza, sono travisati a tal punto da amplificare la confusione.
Per vivere lo “stato naturale” (termine con cui Ramana Maharshi indica la coscienza del sé) non si possono usare metodi che complicano la situazione e conducono la mente impreparata ed ego-riferita in un ginepraio di paradossi.
Lo sforzo di liberarsi dallo sforzo crea un doppio sforzo e si è in ansia nella ricerca della pace. È fondamentale comprendere che la meditazione non può essere premeditata dall’ego che vuol liberarsi di sé stesso!
La percezione diventa chiara e luminosa quando siamo coscienti del testimone impersonale che riconosce l’io come una semplice funzione della mente.

[1] Nel mito: Proserpina viene rapita da Plutone, il Dio degli inferi, che un giorno, stanco delle tenebre, decide di affiorare alla luce e vedere un po’ di questo mondo. Plutone, quando vede Proserpina, così bella, viene abbagliato dalla sua bellezza e subito si precipita verso di lei, l’artiglia e la rapisce. Sua madre, la dea Cerere, dopo 9 giorni e 9 notti insonni di dolore, si rivolge a Giove, per implorarlo di riavere la figlia. Alle indecisioni di Giove, Cerere risponde con gravi siccità e carestie sulla Sicilia. Alla fine, Giove, invia Mercurio da Plutone, che deve obbedire e restituire Proserpina. Prima di farla partire, fa mangiare a Proserpina dei chicchi di Melograno. La discesa di Proserpina negli inferi rappresenta il cammino della Coscienza che scende in profondità, ad esplorare e conoscere gli aspetti più bui della personalità, attraverso prove ed errori, e progressive intuizioni, per poi risalire a nuova vita. Il Melograno è simbolo di Risurrezione, ed è per questo che Plutone fa mangiare a Proserpina dei chicchi di melograno, una volta risalita in superficie, alla luce. Plutone è il portatore di gravi turbamenti, viene considerato dal punto di vista simbolico come colui il quale è capace di portare a galla tutto ciò che non è stato ancora trasformato dalla Coscienza: distrugge gli ostacoli che impediscono la sintesi, passando di crisi in crisi. Le prove della siccità e delle carestie fanno parte del cammino dell’ascesa della Coscienza. Mercurio simboleggia la mente superiore, è il messaggero tra gli Dei (la Dimensione Spirituale) e gli uomini (la Dimensione Mentale) e quando compare, Plutone può solo ubbidirgli. Giove, re dell’Olimpo e Dio del Cielo e del Tuono, rappresenta le energie dell’Amore inclusivo e compare sempre a risolvere le situazioni, dopo che il dramma è stato consumato: è la celebrazione dell’Amore, che trionfa, dopo la battaglia e il dolore (Sepe, Onorati, Rubino, Folino, 2012).

Filippo Falzoni G., Milano

Archetipi, aure (Elémire Zolla)

In questa pagina tratta dal libro: – Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, Ediz. Marsilio, Venezia 1981, – Elemire Zolla ci indica quello spazio coscienziale in cui l’ego scompare e per dare luogo all’immedesimazione nel Sé. Zolla esprime con elegante prosa una dimensione che è esperienza frequente delle sedute di Rebirthing Transpersonale. Non è raro infatti che durante le sessioni di respirazione si acceda all’essenza stessa della coscienza, uno stato in cui si percepisce la realtà senza il filtro del pensiero e del tempo e si gode della pura consapevolezza libera da condizionamenti.

Un maestro vedantico, T.M.P. Mahadevan, suggeriva di immergersi meditando nel senso della frase «ho saporitamente dormito», specie su chi, su che cosa sia l’io sottinteso. E un io che si dovrebbe saper cogliere astraendo sia dall’io di veglia che dall’io onirico. Si può far cadere l’accento della frase sul primo membro, dicendo: «io ho dormito saporitamente», e approfondire i significati della meraviglia che si prova per essere quell’io, per la continuità che lo lega all’io di veglia che su di esso sta meditando. Sul discrimine fra veglia e sonno, al risveglio o nell’assopimento, aleggia al di sopra e della veglia e del sogno una traccia dell’io dormiente, persiste o si preannuncia questo io indeterminato, unificato, universale, al di qua di ogni identificazione o proiezione, e tuttavia non del tutto insussistente: un «come» piuttosto che un «qualcosa». Non è insensato, infatti, dire che si dormirà o si è dormito «saporitamente». L’esperienza metafisica è l’esperienza di questo io in qualche modo sussistente nel sonno senza sogni. E’ lecito obiettare che non si sperimenta in modo diretto questo io assopito, perché se ne serba soltanto un ricordo, e nulla comprova che la rimembranza sia autentica. Si è talvolta affermato che nemmeno dell’io onirico, avendone soltanto memoria, si è mai sicuri. Si dimentica però che anche della veglia ci si sovviene soltanto, sia pure a tempi brevissimi: non esiste l’immediatezza, tutto è mediato, memorizzato. Gli anestetici bloccano il ricordo, non la sensazione stessa, il cui engramma, sotto ipnosi, può emergere in pieno. Si dimentica che di sopore è compenetrata la veglia: essa lampeggia in modo discontinuo su un fondo di sonno. Sia un lavoro abituale che un’opera rapinosamente ispirata si eseguono in modo trasognato, da addormentati. Come nei concerti l’apice supremo è un silenzio nel quale è come se si raccogliesse in uno la miriade di pause che costella e compone la musica, così il sonno altro non è che l’apice in cui si raccolgono tutti gl’intervalli di sopore nella veglia, i quali formano come il fondo oro su cui si staglia la discontinuità dell’autocoscienza.

L’Imitazione di Cristo propone come tema di meditazione il quesito: Dove sei quando non sei presente a te stesso? Era una vecchia tecnica devozionale. Si è automaticamente efficienti, lucidi al di là dell’attenzione riflessa, nell’empito entusiasta: la veglia più intensa coincide col sonno profondo. Si esclama talvolta: «Ho perso la nozione dello spazio e del tempo», luogo comune degli innamorati, dei combattenti, degli artisti, di chiunque sia così assorto in ciò che vive da agire come un sonnambulo. Al culmine dell’impegno di veglia si dorme: quando se ne sia perfettamente consapevoli, si è in grado di avvertire nitidamente l’io quasi inafferrabile di «io ho dormito saporitamente», un io elusivo, sottile, quello stesso dei rapimenti estatici, dei momenti nei quali si scivola beatamente lungo un cammino predestinato. Quali opere meravigliose si compiono del resto nel sopore notturno, quali masse smisurate di inani superfluità si scaricano allora nel nulla, quali liberazioni non si ottengono! Basterebbe, al magico istante del transito fra sonno e risveglio, far tesoro della sensazione d’aver saporitamente dormito: sapendola trattenere in cuore, si godrebbe nel pieno tumulto del giorno di una pace profonda. Ma si rilutta ad ammettere che l’io del sonno sia l’identità ideale: una mente servile crede che l’autocoscienza sia superiore all’abbandono, che lo sforzo sia più degno della sprezzatura, come se l’essere non precedesse ontologicamente la coscienza. Una volta che si sia compreso il significato del nostro io di sonno, si può rispondere alla sfida zen: “Mostrami la faccia che avevi prima di venire al mondo”.

Tratto da: E. Zolla, Archetipi, Aure, Verità segrete, Dioniso Errante, Ediz. Marsilio

Essenza dell’insegnamento non-dualista

La vetta più alta del pensiero indiano è contenuta nel Vedanta, che significa fine o conclusione dei Veda. L’Advaita Vedanta , è una cristallina dimostrazione filosofica del Non-dualismo. La filosofia non-dualista è una via pratica e concreta all’autorealizzazione e all’autotrascendenza che porta a conoscere le realtà che i sensi non possono percepire.
L’India ha dato la nascita a grandi maestri dell’Advaita non solo in tempi remoti (ad esempio Shankara nel VI-VII secolo) ma sino ai giorni nostri. Risvegliati come Ramana Maharshi e Nisargadatta Maharaj, che hanno vissuto in decenni recenti, hanno lasciato insegnamenti di incomparabile valore, coerenti con gli antichi classici.
Quando nei primi anni ’90 in India, su suggerimento di un saggio bibliofilo, entrai in contatto con alcune Upanishad del VII secolo, fui subito consapevole che quegli antichi testi indicavano verità fondamentali, affatto dogmatiche, sempre attuali e della massima importanza. Si trattava delle stesse intuizioni che sono esposte nei dialoghi di Sri Ramana e di Sri Nisargadatta. Mi si aprivano davanti un grande spazio di chiarezza e una prospettiva che sentivo profondamente vera. Qualcosa che avevo intuito e vissuto ma che non ero mai stato in grado di esprimere in modo così evidente; avevo vissuto stati simili in gioventù durante un’esperienza perimortale e con le prime sedute di Rebirthing. Mi accorsi che forse erano quelle esperienze di stati di coscienza non ordinaria a permettermi ora di comprendere questi insegnamenti con facilità.
Negli anni ho letto e riletto questi testi dell’Advaita. Li ho considerati così importanti che durante i miei soggiorni in India ho tradotto e poi raccolto nel volumetto “La Saggezza non Dualista” parte della Ribhu Gita (la Gita di Shiva), dell’Avadhoota Gita e altri brani di Upanishad inedite in italiano. Oltre a questi, la lettura di “Io sono Quello” di Nisargadatta Maharaj è stato per me uno dei libri più illuminanti. Ho approfondito l’argomento con i colloqui di Ramana Maharshi, che ho riletto come una meditazione per decine di volte trovandovi sempre ulteriore profondità.
Queste indicazioni dei saggi, assieme alla pratica di breathwork e altre pratiche esperienziali, risvegliano delle intuizioni che rivoluzionano il modo di considerare sé stessi e la vita.
Le letture chiariscono le esperienze interiori e rendono evidente la falsa percezione che ci fa credere di essere individui separati in balia di una realtà priva di senso.
Queste conoscenze non hanno nulla a che fare con metodi o credenze, la fede nel pensiero positivo e le fantasie spiritualistiche dell’idealismo New Age. Non sono vie di fuga dalla realtà, ma consapevolezza del reale.
Le ispirazioni di saggezza che provengono dalla conoscenza di sé, sono di fondamentale importanza per qualunque psicoterapia e per ogni cammino di autorealizzazione, attualmente sono oggetto di studio e ricerca della Psicologia Transpersonale e sono coerenti con i nuovi paradigmi della scienza quantistico-relativistica.
Il significato occulto delle religioni, i misteri della metafisica e delle filosofie iniziatiche, la psicologia del profondo, il processo d’Individuazione suggerito da Jung, si comprendono in modo nuovo ed evidente alla luce di queste conoscenze illuminanti che conducono all’essenza di sé.
Non si tratta infatti di speculazioni astratte, ma di realizzazioni trasformative poiché la retta comprensione di sé stessi può davvero dissolvere i conflitti, donare equilibrio e serenità e aprire la strada alla saggezza intuitiva che guida all’autorealizzazione.
Conoscere sé stessi e cogliere la natura non divisa dell’Essere è sia la cosa più semplice da realizzare, sia la cosa più difficile. Il Sé é qualcosa che non si può trovare perché non lo si è mai perduto e perché non è “qual-cosa” e abbiamo bisogno di scuoterci dal sonno per poterlo riconoscere.
Ipnotizzati dal mondo del divenire abbiamo dimenticato chi siamo e ci perdiamo nella camera a specchi della mente.
Insegnamenti che in passato pochi iniziati potevano avvicinare sono ora diffusi in pubblicazioni cui tutti possono accedere, ma queste perle rare sono mescolate a un gran numero di falsi insegnamenti.
La maggior parte di ciò che il mercato offre è di più facile lettura e propone tecniche e metodi a sostegno dell’ego e allettanti promesse di potere personale e successo materiale.
Mentre nel non-dualismo troviamo verità che annullano le pretese dell’ego e che possono essere comprese solo attraverso l’intuizione e con sincera aspirazione per la verità quando si è maturi per coglierle.
I testi che cercano di semplificare riducendo l’esperienza alla comprensione di meri concetti ne stravolgono completamente il significato.
Non si tratta infatti di capire le parole né di coltivare nuove idee, ma piuttosto di immedesimarsi  negli  insegnamenti con sincera passione. A “chi” appare l’evanescente mondo del pensiero? Cos’è la consapevolezza che mi permette di osservare “le sensazioni”?
Non ha forma e non può esser vista perché è sempre soggetto e mai oggetto, è il testimone che non può avere un testimone come insegna Shiva nella Ribhu Gita. 

Tutto il mondo delle percezioni è contenuto nella Coscienza e la liberazione deriva dalla conoscenza di sé come essenza a monte di qualunque identificazione, priva di forma e di attributi.

La domanda essenziale dell’Advaita Vedanta è: “Chi sono io?” alla quale ci si accorge di non poter trovare risposta, e in questa sospensione del pensiero e nel sapere di non sapere si possono aprire ampi orizzonti interiori. Non posso vedere colui che vede, né trovare il pensatore dei pensieri, il quale, sottoposto ad indagine, si rivela esso stesso un pensiero, che scompare appena sospendo il processo pensativo.

Si trascende il pensiero senza escludere quella saggezza discriminante che è un ingrediente indispensabile per non cadere in un mare di contraddizioni e paradossi. Per giungere alla conoscenza del Sé, devo scartare ciò che non sono. Di certo tutte le immagini e i pensieri su di me e sul mondo non sono me. La memoria del passato e di quanto ho vissuto non è me e neppure i desideri e il chiacchierio mentale cui assisto.

L’immagine che ho di me è anch’essa un pensiero. Quando rivolgo la mente all’interno, alla ricerca del testimone dei pensieri, riconosco che non c’è nessun “io” ma solo lo spazio di una consapevolezza impersonale e onnipervadente che è il substrato di tutte le sensazioni fisiche e mentali e di tutte le percezioni sensoriali (un vuoto privo di dimensioni che contiene ogni cosa).

Non ha centro, non ha caratteristiche come l’assoluta trasparenza e la vacuità e riconosco di essere coscienza solo quando non mi identifico in un oggetto-immagine proiettato dal pensiero.

Questa coscienza di Essere (prima di immaginare di essere “questo o quello”) è il Sé, terribilmente semplice e vicina e nello stesso tempo inafferrabile.

Questo Atman trascende il corpo e la mente e non è separabile da Brahman[1] (l’Assoluto) che trascende anche il testimone. Senza di esso non ci sarebbero lo spazio e il tempo che per esistere necessitano di qualcuno-qualcosa che li contenga.

Quando ci si immedesima nell’Atman si sperimenta “Sat-Cit-Ananda” (Essere-Coscienza-Beatitudine) uno stato che le parole non possono descrivere e che può comprendere solo chi lo vive.

La coscienza per manifestarsi ha bisogno di un corpo sostenuto dal respiro e dal cibo. Nel mondo fisico tutto pulsa, tutto è vibrazione e onde di diversa frequenza: sistole-diastole, inspirazione-espirazione, notte-giorno, tutto è percepito attraverso le coppie di opposti, caldo-freddo, luce-ombra, bene-male, ecc.

Il sorgere e il tramontare della coscienza si manifestano nei cicli di sonno-veglia, vita-morte, Essere-Non essere. Nella realtà non-duale le polarità e la divisione tra “osservatore e osservato” scompaiono nell’interdipendenza di ogni aspetto dell’Unità che tutto sottende. L’Advaita è al di là di dualismo e non dualismo. Chi è il Testimone del sorgere e del tramontare della coscienza? Nel sonno profondo non c’è pensiero né io, ma il Sé rimane, e torna a manifestarsi appena si è richiamati alla veglia. Che cosa è ciò che si situa prima della coscienza di essere e della divisione tra essere e non essere? I saggi dell’Advaita chiamano Parabrahman il substrato della coscienza. Tale stato assoluto è oltre ciò che il pensiero possa concepire e raggiungere.

Su questa impensabilità si è al lungo soffermato Nāgārjuna. Gran parte del suo insegnamento consiste in una critica sia alle dottrine che sottintendono l’esistenza dei fenomeni, sia a quelle che ne negano l’esistenza. Nāgārjuna non presenta alcuna dottrina, poiché l’esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione filosofica. Secondo Nagarjuna l’idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se la vacuità viene considerata un ente o un oggetto. La vacuità richiede, ed è, la rinuncia a ogni opinione.

Nel Madhyamaka Karira, Le Stanze del Cammino di Mezzo, nel II secolo della nostra era, scriveva:

Laude della Suprema Realtà

Come posso lodarti, Tu non nato e residente in nessun luogo, Tu che sorpassi ogni comparazione mondana, che trascendi la strada delle parole!

Tu non sei né lontano né vicino, né nell’etere né nella terra, né nella trasmigrazione né nel nirvana. Lode a Te, o Signore, che non risiedi dovechessia.

Tu non risiedi in nessun’entità, sei andato nel piano dell’assoluta realtà, hai raggiunto la profondità suprema. Lode a Te, oh Profondo

Con questa lode possa Tu essere lodato. Ma, in realtà, sei stato Tu lodato? Tutte le entità essendo vuote, chi mai è lodato? e da chi è lodato?

E chi Ti può lodare, Tu privo di nascita e di sparizione, Tu dove non c’è né fine né mezzo, né percezione né percepibile? …

È il “Nulla” alla base di “Tutto”. Un’attenta e sincera autoindagine conduce il serio ricercatore ad intuire la realtà non divisa, in cui riconosce la natura atemporale, “non nata” e immortale, in quanto oltre alla dimensione spazio-temporale, della pura consapevolezza che anima ogni cosa. Quest’intuizione diventa un’esperienza mistica quando realizza che questa realtà è lui stesso.  Quest’esperienza trasformativa è libertà dalla prigione della mente, dalla sofferenza e dalla paura. Il risveglio a questa consapevolezza è l’autorealizzazione e la fine del dolore. Non nella fantasia di speranze ultramondane, bensì nella pienezza del quotidiano e in un confronto armonico e spontaneo con il mondo fenomenico. Non è una fuga dal mondo, ma un modo di essere naturalmente in armonia con il dovere quotidiano. Non è qualcosa che trasforma in santi, invero è lo stato naturale della mente non divisa, che si manifesta nell’autenticità spontanea. Non possiamo comprendere queste righe se non realizziamo l’ovvietà di tutto questo. E anche queste sono solo parole, indicazioni per mettere un po’ d’ordine e calmare i dialoghi mentali. Limitarsi alla comprensione delle parole senza esperienza diretta conduce a paradossi dell’impensabile e a confondere la mappa con il territorio. Dalla prospettiva dell’Assoluto tutta la ricerca filosofica e l’io stesso che cerca sono aspetti dell’illusione.

Nel Sé scopriamo che è la vita stessa a prendersi cura di ogni cosa in perfetta armonia senza bisogno di un agente. Superati gli inganni dell’io e dell’inconscio entriamo nel flusso armonico del divenire e troviamo la vera serenità interiore e il modo di vivere nel mondo con efficacia nelle faccende del quotidiano.

Se invece l’ego, per automigliorarsi, cerca il Sé secondo i suoi condizionamenti, ne crea un’immagine ingannevole e caricaturale. Chi cade nel gioco delle illusioni pseudoreligiose finisce nell’inganno dei ruoli spirituali, che è una situazione che, a quanto pare, per essere superata alcuni devono dolorosamente attraversare poiché nell’illusione di essere illuminati si vive una vita inautentica e alienata. La falsa via dell’ego che spinge nel mercato dei maestri che vendono quello che la gente vuole sentirsi dire e falsi insegnamenti che conducono solo a più grandi illusioni.

Secondo l’Advaita e l’esperienza dei mistici, Dio è lo stesso Sé, “Io Sono Colui che È”. Quando l’io si arrende al Sé, l’io stesso diventa una sola cosa con Esso. Ma chi, dopo aver compreso le parole, si arrende davvero? Per questo a meno che circostanze della vita non ci portino oltre noi stessi, le pratiche di autoindagine e Breathwork sono necessarie per la liberazione.

Tu non sei né terra, né acqua né fuoco, né aria, né spazio. Per ottenere la liberazione riconosci il Sé come il testimone di tutto questo e come la Consapevolezza stessa.

Astavakra Samhita

“Se si indaga sull’esistenza dell’io si scoprirà che non esiste, ma se lo si considera esistente e si cerca di controllarlo, cioè se la mente cerca di controllare la mente, la situazione è quella di un ladro che si traveste da poliziotto per arrestare il ladro, cioè lui stesso. In questo modo l’io persiste e inganna sé stesso.”

 Sri Ramana Maharshi

 

Colui che vede che gli atti sono prodotti dalla natura e altresì che il Sé non è agente, quegli vede. Stando così le cose, colui che considera come agente unicamente l’io, quell’uomo debole di mente, a causa dell’immaturità del suo giudizio, non vede realmente.

Bhagavad Gita

 

[1] L’induismo ha come fondamento del messaggio spirituale che tutte le manifestazioni delle cose e degli eventi che ci circondano non siano altro che differenti manifestazioni della realtà ultima, chiamata Brahman. Il Brahman è la realtà ultima, inteso come vero “sé” o l’essenza di tutte le cose. Esso è infinito e trascende tutti i concetti; non può essere compreso né adeguatamente descritto dalle parole. Tuttavia la gente vuole parlare di questa realtà e i saggi indù, con la loro caratteristica inclinazione per il mito, hanno raffigurato Brahman come una divinità e ne parlano con linguaggio mitologico. I vari aspetti del divino hanno ricevuto i nomi delle diverse divinità venerate dagli Indù, ma i testi sacri indicano chiaramente che tutte queste divinità non sono altro che riflessi dell’unica realtà ultima. La manifestazione di Brahman nell’anima umana è chiamata Atman e l’idea che Atman è Brahman, la realtà individuale e la realtà ultima siano una cosa sola è l’essenza delle Upanisad: “E’ da questo che tutte sono animate; esso è l’unica realtà, è l’Atman e tu stesso lo sei.”

 

Milano 25 settembre 2017

Oh Ego! (V. R. Subramaniam)

Il grande mistico indiano Sri Ramana Maharshi aveva apprezzato un libretto intitolato: “All is ONE” scritto da un suo devoto, tale Vijay R. Subramaniam e ne aveva suggerito la lettura ad alcuni devoti. Anni fa avevo letto “All is ONE” di Michael Talbot, studioso dei nuovi paradigmi scientifici, che offriva una visione dell’Unità cosmica della realtà e della coscienza attraverso le scoperte della Fisica Quantistica. Invece, questo libretto che ha il medesimo titolo ma è più vecchio di quasi un secolo ed è scritto con un linguaggio molto semplice, l’esperienza coscienziale dell’Unita Cosmica è presentata attraverso la consapevolezza diretta di un risvegliato. Il risveglio o la consapevolezza della natura profonda dell’Essere, permette di riconoscere che siamo espressione di un’energia-intelligenza-consapevolezza che trascende il personaggio con cui ci identifichiamo. Se riconosciamo l’illusorietà dell’io e sappiamo superare gli inganni dell’egocentrismo, la Vita dischiude dimensioni impensabili e ci conduce alla saggezza e alla realizzazione. Ho tradotto di questo volumetto il capitolo dedicato all’ego che è davvero toccante e credo possa essere d’ispirazione per molti. Se a livello mentale può sembrare un’astrazione romantica a livello del cuore indica nel modo più semplice e diretto la Verità perenne che conduce alla Liberazione.

Libera traduzione del sesto capitolo di “All is One”. 

“EGO”

  1. Oh ego, tutti i mali del mondo vengono da te. Per distruggerti i re fanno le leggi e i saggi danno insegnamenti. Ma nonostante i loro sforzi da tempi immemorabili, ahimè sei ancora vivo, ti nascondi per poi riapparire ancora e ancora. Potrai mai aver fine? Sì, la tua fine si sta certamente avvicinando. Un altro Ego sta per eliminarti, è l’Ego Universale (il Sé) che si chiama: “Io sono Brahman”.
  2. Oh ego, non pensare che il tuo nemico sia come te. Tu sei transitorio mentre lui, è eterno. Tu sei arrogante e distingui sempre “io”, “tu” e “lui”, ma il tuo nemico è libero da questa presunzione. Come? Perché il Sé armonizza tutte le differenze e trasforma tutto in sé stesso. Inoltre, tu provi inimicizia verso di Lui perché pensi cerchi di ucciderti. Ma Lui non ha cattive intenzioni verso di te, dal momento che quando ti trovi in sua presenza tu non ci sei più. Lui ti considera solo una parte delle sue membra. La tua scomparsa in sua prossimità è effetto della tua stessa irrealtà; non pensa di ucciderti perché ai suoi occhi sei privo di sostanza. Pertanto, tu gli sei nemico, ma non Lui non ti è nemico. Anzi ti dico che tu sei nemico di te stesso.
    Perché? A causa del tuo narcisismo ti metti sempre in primo piano, prima del Grande Uno. E così immediatamente sei perduto e poi il Sé universale che era nascosto ti divora per risplendere come Tutto-luce.
  3. Oh ego, i mali delle tue azioni non hanno limiti. I tuoi desideri sono ad esempio: “Con quale titolo posso guadagnare onore?” “In quale forma devo apparire?” “Gli altri mi apprezzeranno?” “Saranno d’accordo con me e mi seguiranno?” “Diranno che sono il migliore?”.

Ahimè! Come breve è la tua vita! E ancora a quante cose aspiri! E quanto male fai! Hai ingannato te stesso credendo che ci sia felicità in tali idee egoistiche e nel differenziarti da tutti gli altri. Ma questo non è il tuo bene. Stando così le cose, non desiderare invano di governare su tutto. Con il tuo vano desiderio causi del male a te stesso e agli altri.
Ascolta il mio consiglio amichevole. In verità, Colui che tu consideri il tuo nemico mortale è tuo amico. Lui sa come renderti degno di vera grandezza e benedizioni. Arrenditi a lui. Questo Ego universale non ti tratta da nemico, anzi è il tuo più grande benefattore.

  1. In nessun modo potrai scoprire che cosa farà di te se non ti arrendi. Per quanto io parli non potrai capire. È questione di esperienza. Senza dubbio non farà niente di meno che portarti al Suo stato. Pertanto non preoccuparti per il futuro e arrenditi immediatamente. Potrai sempre allontanarti se la gioia non accompagna la resa. Proprio come il bere il latte inizia con un gusto gradevole e si conclude con la soddisfazione della fame, anche arrendersi inizia con la gioia e si conclude con la perfetta beatitudine al di là del piacere e del dolore. Quindi, il tuo fine senza dubbio è quest’Ego Universale, il Sé, detto Brahman-ahambhava.
  1. Quale sarà il tuo nome dopo la resa? Non vi sarà alcun nome oltre il tuo. I Veda ti lodano, il mondo ti loda; l’essenza degli insegnamenti religiosi è te stesso. Allora qual è la tua forma? Tutte le forme sono tue. Non esiste una forma che non sia tua. Ciò che è installato nei templi di culto sei tu, quanto descritto nei Veda sei tu, feste e celebrazioni sono tutte per te. Ora, cos’è in tuo potere? In tua presenza il mondo è attivo; ognuno è quello che è grazie alla tua presenza. In breve, tutte le cose glorificano e testimoniano il tuo essere. Non avresti neppure sognato di arrivare a questo stato. Inizia subito, non essere presuntuoso. L’Ego universale ti aspetta.
  2. Desideri svegliarti dal tuo sogno o vuoi continuare in esso? Per quanto tempo le immagini del sogno devono durare? Non essere pigro, scrollati di dosso il sonno, svegliati! Stai assistendo a immagini mentali e immaginando sempre di più. È tutto inutile. Basta scoprire chi è colui che vede le visioni. Non illuderti di essere queste immagini che sorgono e affondano in te. Svegliati. Nell’istante in cui ti svegli ti accorgi che la veglia è meglio di questo sogno. Alzati! L’Ego universale attende per rallegrarsi di vederti sveglio.
  1. Non temere la fine del presente sogno. Una volta che sarai sveglio potrai godere lo stesso e di più. Non sarai più illuso e potrai osservare tutto con allegro distacco, senza essere confuso. Quando comprendi la follia di tutte le apparenze non avrai più alcun problema. Nel sogno la tua immaginazione mentale assume forme. Al risveglio riconosci il sogno come sogno. Non confondere il sogno con la veglia. Conosci il sogno come sogno. Per fare ciò è necessario arrendersi al Sé cioè il risveglio dall’illusione di essere un individuo o io separato.
  2. Ti ho istruito per il tuo bene e non nel mio interesse. Se mi credi dovresti agire in conformità a ciò che ti ho insegnato. D’altra parte, se non vedi nulla di buono in quello che ho detto, puoi allontanarti da questo ideale. Come posso aiutarti se il mio consiglio e i consigli di tutti i santi non ti fanno alcuna impressione? Nessuno Stato è superiore a questo. Credimi, è per il tuo bene renderti conto di questa verità e attraverso di te altri potranno realizzarla. Liberati dalla presunzione e abbandona subito l’illusione. Renditi conto che l’Ego universale è il tuo vero Sé.
  3. Oh ego, vedi come sei schiavo di tutti e quindi soffri e come pietoso è il tuo stato! Tutti ti sono ostili a causa delle difficoltà causate da questa illusione e le immagini mentali aumentano di un milione di volte. Perché invece non lasci andare tutto e trai profitto cedendo al Maestro? Allora tutti i tuoi nemici diventeranno amici. Ma, solo l’Uno può essere così magnanimo ed è il Sé o Brahman-ahambhava.
  4. Dico queste parole non per egoismo. È semplicemente mio dovere e dico questo non per il tuo o il mio bene, ma per il bene di tutti.

The truth is Brahma-ahambhava the Universal “brahman-am-I”.

Vast Light of Grace! Transcendent Compassion

OM TAT SAT

FILIPPO FALZONI GALLERANI