Dice Krishnamurti…

Krishnamurti, Saanen, 24 luglio 1975

Krishnaji

Perché è stata costruita la struttura chiamata “me”? Perché il pensiero ha fatto questo? È realmente una domanda di straordinaria importanza, perché si tratta della nostra vita. Dobbiamo affrontare tutto ciò con enorme serietà. Perché il pensiero ha generato il “me”? Sia che vediate questo fatto, che il pensiero ha costruito il “me”, sia che diciate che il “me” è qualcosa di divino, qualcosa che esisteva prima ancora dei tempi, (cosa che, infatti, molti dicono), dobbiamo procedere e indagare.

Per quale motivo il pensiero ha creato il “me”? Perché? Non lo so, e voglio scoprirlo. Per quale motivo credete che il pensiero abbia creato il “me”? Ci sono due punti da prendere in considerazione: uno è che il pensiero richiede stabilità; solo quando c’è sicurezza il cervello è soddisfatto. Ecco, quando c’è sicurezza il cervello opera meravigliosamente, che lo faccia in modo ragionevole o nevrotico. Quindi, una delle ragioni è che il pensiero, essendo esso stesso insicuro, frammentato, frantumato, ha generato il “me” come qualcosa di permanente; il “me” che è poi divenuto separato dal pensiero, e quindi da questo percepito come permanente.

Questo permanere è definito attraverso l’attaccamento: la mia casa, il mio carattere, i miei desideri, le mie volontà, tutto ciò dà al “me” un completo senso di sicurezza e di continuità. Non è forse così? L’altro punto è dato dall’idea che il “me” sia qualcosa che esiste già prima del pensiero: è così? E chi può dire che esistesse prima ancora del pensiero? Se fate questa affermazione (come molti fanno), qual è la sua motivazione?

Su quale base asserite ciò? Si tratta di un’affermazione della tradizione, una convinzione, una credenza, un non voler riconoscere che il “me” è un prodotto del pensiero, e non qualcosa di meravigliosamente divino, che è ancora una volta una proiezione del pensiero che il “me” sia permanente? Avendo osservato tutto ciò, si abbandona l’idea che il “me” sia eterno, eternamente divino, o come lo si voglia definire, che è troppo assurda. Si può vedere con chiarezza che il pensiero ha creato il “me”, che il “me” è diventato indipendente, che ha acquisito conoscenza, il “me” che è l’osservatore, il “me” che è il passato.

Il “me” che è il passato transita attraverso il presente e si modifica come futuro: si tratta ancora del “me” creato dal pensiero, e quel “me” è diventato indipendente dal pensiero stesso. Giusto? Vogliamo procedere da qui?

Per favore, non accettate questa descrizione, le parole, ma osservate la verità di questa cosa. Nello stesso modo in cui vedete la realtà di questo microfono, così capite la realtà di questa cosa. Quel “me” ha un nome e una forma. Quel “me” possiede un’etichetta, si chiama K o John, e ha una forma, si identifica con il corpo, il volto, l’intera struttura. Quindi esiste l’identificazione del “me” con un nome e una forma, che sono la struttura, e con gli ideali che vuole perseguire, o il desiderio di cambiare quel “me” in un’altra forma di “me”, con un altro nome. Questo è il “me”. Questo “me” è il prodotto del tempo e, conseguentemente, del pensiero. Questo “me” è la parola; togliete la parola: che cos’è il “me”? Allora, questo “me” soffre, il “me”, come “te”, soffre. Perciò il “me” che soffre è “te”.

Il “me” nella sua grande ansia è la grande ansia del “te”: per questo motivo tu e io siamo comuni. Questa è l’essenza che è alla base: malgrado tu sia più alto, più basso, più intelligente, di diverso temperamento, con un carattere diverso, tutto ciò è dato dal periferico movimento della cultura, ma in profondità, alla radice, siamo uguali. Quindi il “me” si muove in correnti di avidità, in percorsi egoistici, nei sentieri della paura, dell’ansia e via dicendo, e questo accade, esattamente nello stesso modo, per “te”.

Ecco, è così: tu sei egoista e un altro è egoista, tu sei spaventato e un altro lo è, essenzialmente tu soffri, provi dolore, piangi, sei avido, invidioso: è ciò che tutti gli esseri umani hanno in comune. Questo, adesso, è il flusso in cui viviamo, questo è il flusso in cui tutti noi siamo catturati. In altre parole, noi tutti viviamo in quella corrente di egoismo, e in questa parola sono racchiuse tutte le descrizioni del “me” che abbiamo appena fatto.

Quando moriamo quell’organismo muore, ma quella corrente dell’ego continua. Fatela questa considerazione! Ho vissuto una vita estremamente egoistica, radicata in attività ego-centrate: i miei desideri, l’importanza dei miei desideri, le ambizioni, la brama, l’invidia, l’accumulo di proprietà, l’accumulo di conoscenza, di tutte le cose che ho raccolto (tutto quello che ho definito egoistico).

Questo è ciò in cui vivo, questo è il “me” e questo siete anche voi, e nei rapporti è esattamente la stessa cosa. Così, nel nostro vivere, noi tutti fluiamo in questa corrente di egoismo. Questa è la realtà, non la mia opinione o una mia conclusione. Se osservaste, capireste ciò di cui sto parlando. Andate in America e vedrete lo stesso fenomeno, così in India, come in Europa, magari modificato dai diversi contesti, da pressioni diverse, ma nell’essenza vedrete la stessa cosa, lo stesso flusso di egoismo; e quando il corpo muore, quel movimento continua.

Quindi, questo vasto flusso egoistico, se posso riassumere in questa espressione tutte le cose che esso implica, è il movimento del tempo; e quando il corpo muore, questo movimento continua. Viviamo quotidianamente in quella corrente fino a quando moriamo; noi moriamo e quel flusso continua. Quel flusso è il tempo. Quello è il movimento del pensiero, che ha creato sofferenza, che ha creato il “me”, dal quale il “me” ha definito se stesso come essere indipendente, separandosi da te, ma quel “me”, quando soffre, è la stessa cosa che te. Quindi il “me” è la parola, il “me” è la struttura immaginata dal pensiero, in se stessa non ha realtà, è ciò che il pensiero ha generato, perché il pensiero ha bisogno di sicurezza, di certezza, e ha investito nel “me” tutte le sue certezze, In tutto ciò è implicita la sofferenza; mentre viviamo, siamo trasportati da questa corrente, dal flusso dell’egoismo e quando moriamo, quel movimento continua. È possibile che quel flusso si arresti? Muoio fisicamente, questo è ovvio, mia moglie può piangere, ma il fatto è che io muoio, il corpo muore, mentre questo movimento del tempo, di cui facciamo tutti parte, continua. Ecco perché il mondo è me, e io sono il mondo. Ci sarà mai una fine a quel flusso? Esiste la manifestazione di qualcosa che sia completamente diverso da quel flusso?In altre parole, può mai l’egoismo, con tutte le sue sottigliezze, giungere a una fine completa? Quella fine è la fine del tempo e li si manifesta una dimensione totalmente diversa, che non è affatto centrata nell’ego.

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“Soltanto quando la mente trascende il tempo, la verità cessa di essere un’astrazione. Allora l’estasi non è un’idea derivata dal piacere, ma una realtà di fatto e non di parole. Il liberarsi della mente dal tempo è il silenzio della verità, e il vedere ciò è il fare; pertanto non c’è divisione tra il vedere ed il fare. Nell’intervallo fra il vedere e il fare nasce il conflitto, l’infelicità, la confusione. Ciò che non ha tempo è l’eterno.”

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Krishnaji ritratto

“La meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e di gaudi. Una piccola mente squallida ed immatura può avere, e ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento. Ciò non toglie che questa immaturità sia talvolta capace di riportare successi nel mondo e ottenere fama e notorietà. I guru che essa segue sono della stessa qualità e dello stesso stato. La meditazione non appartiene a gente come questa. Non è per il “cercatore” perché costui trova ciò che vuole, ed il confronto che ne deriva è la morale delle sue paure. Per quanto faccia, l’uomo di credenza o di dogma, non può entrare nel regno della meditazione. Per meditare è necessaria la libertà. Non viene prima la meditazione e poi la libertà; la libertà – negazione totale della morale e dei valori sociali – è il primo movimento della meditazione. Non è una faccenda pubblica dove molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa intera struttura del pensiero è la realtà della meditazione”.

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Un uomo religioso:

Dunque un uomo religioso non è quello che indossa una tonaca, o un perizoma, o che consuma un solo pasto al giorno, o che ha fatto numerosi voti di essere questo e non essere quello, bensì quello che è semplice interiormente, che non tende a diventare alcunché. Una mente simile è capace di una ricettività straordinaria, perché in essa non ci sono barriere, ne paure, ne movimento verso qualcosa; è dunque capace di ricevere la grazia, Dio, la Verità, o quel che vi pare. Una mente che persegue la realtà, invece, non è una mente semplice. Una mente che cerca, si affanna, brancola in preda all’agitazione, non è una mente semplice. Una mente che si conforma a un qualsiasi modello di autorità, interna o esterna, non può essere sensibile. E soltanto quando una mente è veramente sensibile, vigile, consapevole di tutte le sue vicende, reazioni, pensieri, quando non tende più a diventare qualcosa, quando non plasma più se stessa per diventare qualcosa, solo allora è capace di accogliere ciò che è la verità. Solo allora può esserci felicità, poiché la felicità non è un fine: è il risultato della realtà. Quando la mente e il cuore saranno divenuti semplici e dunque sensibili (ma non attraverso a forme di coazione, di autorità, d’imposizione), allora vedremo che i nostri problemi possono essere affrontati con molta semplicità: per quanto complessi tali problemi siano, saremo in grado di impostarli in maniera nuova e vederli in un ottica differente. Ecco di cosa c’è bisogno oggi: di gente che sia capace di affrontare la confusione, l’agitazione, la conflittualità della realtà esterna in maniera nuova, creativa e semplice, non con teorie ne con formule, di sinistra o di destra che siano. Ma non si può affrontare tutto ciò in maniera nuova se non si è semplici.

I problemi possono essere risolti soltanto se li s’imposta in questo modo. Una nuova impostazione non è possibile se ragioniamo nei termini di precisi schemi di pensiero, religioso, politico o di altra natura. Dobbiamo liberarci di tutte queste cose per essere semplici. Ecco perché è così importante essere consapevoli, avere la capacità di comprendere il processo del proprio pensiero, avere una percezione totale di sè; da ciò scaturisce una semplicità, un’umiltà che non è virtù o esercizio. L’umiltà che si conquista attraverso uno sforzo cessa di essere umiltà. Una mente che si fa umile non è più una mente umile.

Solo quando si è umili, ma non di un’umiltà coltivata, solo allora si è in grado di affrontare i tanti problemi pressanti della vita, perché non ci si ritiene importanti, non si guarda alle cose attraverso il filtro delle proprie urgenze e del proprio senso d’importanza; si considera invece il problema in sè e così si è in grado di risolverlo…

Jiddu Krishnamurti

Vita e pensiero di Jiddu Krishnamurti

La vita di Jiddu Krishnamurti, che ha lasciato il corpo a 90 anni nel 1986, è stata straordinaria. I suoi insegnamenti sono del tutto originali, poiché la prospettiva della sua visione era radicalmente differente da ogni altra, seppur coerente con la più profonda saggezza perenne. Il suo messaggio è fondamentale per ogni ricercatore che abbia il coraggio di mettere in dubbio tutte le conoscenze acquisite e sia pronto guardare con occhi nuovi la realtà. Le sue parole sono attualissime di fronte alla crisi delle ideologie e delle religioni. Per la lucidità e la profondità della sua intelligenza è stato considerato tra le più grandi menti del ventesimo secolo. Ha messo in luce i problemi dell’umanità e i pericoli cui l’uomo va incontro, che possono essere risolti solo attraverso una profonda rivoluzione interiore. Il grande sviluppo mentale e tecnico in cui l’uomo ha investito le sue energie egoisticamente, a discapito dello sviluppo della coscienza e dell’intelligenza, ci sta conducendo alla catastrofe globale. L’umanità ha bisogno di saggezza e di liberarsi dalle ideologie che separano l’uomo dall’uomo, più che di accumulare nuove conoscenze.

Krishnamurti 2

Jiddu Krishnamurti è venuto a distruggere le illusioni pseudo-spirituali in cui l’uomo cerca la sicurezza, a ricordarci che la liberazione dal conflitto non si raggiunge usando come strumento il pensiero, ma attraverso la comprensione immediata e diretta della realtà. Ciò è possibile solo a una mente libera da parole e concetti poiché la libertà e l’amore nascono quando c’è quell’attenzione senza alternative nella quale non c’è divisione tra “osservatore” e “osservato”.

La vita

La storia di Jiddu Krishnamurti (1895-1986) ha il suo inizio in seno alla Società Teosofica, fondata a New York nel 1875 da Madame Blavatsky, un’occultista che trasmetteva gli insegnamenti di Maestri Tibetani con cui era interiormente in contatto. Il termine Teosofia è tratto dalla filosofia neoplatonica e indica la sapienza divina alla quale l’uomo può accedere solo attraverso una esperienza interiore diretta. I principi della Società Teosofica, secondo il cui motto “nessuna religione è superiore alla verità”, sono ancora molto validi oggi. Gli scopi della Società Teosofica sono: formare un nucleo di fratellanza universale senza distinzioni di razza, sesso, credo, casta o colore; creare un ponte tra Oriente e Occidente, e incoraggiare lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze; investigare le leggi inesplicate della Natura e le facoltà latenti dell’uomo. Il movimento, guidato da Madame Blavatsky assieme al colonnello Olcott, il vescovo C.W. Leadbeater e la Signora Besant, allo scopo di diffondere la conoscenza spirituale, ha subito attratto tra le sue file l’élite culturale e grandi personaggi da tutto il mondo, come la Regina d’Olanda, la allora Principessa di Ceylon ed eminenti studiosi e scienziati tra cui Rudolf Steiner e molti altri nomi prestigiosi. Bernardino del Boca, che ho avuto la fortuna di frequentare, ha diffuso in Italia il pensiero teosofico ed acquariano per molti anni. (Vedi:http://www.teosofia-bernardino-del-boca.it/)
Il gruppo aveva tra l’altro lo scopo di preparare la venuta di un Maestro Universale che avrebbe incarnato gli insegnamenti e guidato l’umanità. Un giorno, il vescovo Leadbeater, che aveva doti di chiaroveggenza, camminando sulla spiaggia di fronte alla sede della Società Teosofica di Adyar vide un ragazzino che aveva l’aura più pura e luminosa che lui avesse mai visto. Il quattordicenne era Jiddu Krishnamurti, un ragazzo gracile, distratto a scuola, che si diceva fosse privo del senso della proprietà e che non pareva promettere grandi cose, ma che, sottoposto a esperimenti, dimostrò qualità psichiche eccezionali. Il forzato sviluppo delle sue facoltà fu per lui anche doloroso, per alcuni anni ogni notte soffriva di terribili dolori di capo che lo facevano gridare, ma che il mattino seguente erano dimenticati. Presto fu ritenuto dai teosofi il veicolo adatto per la manifestazione terrena del tanto atteso Maestro Universale. Già all’età di 16 anni Krishnaji era a capo dell’Ordine Stella d’Oriente, il ristretto gruppo di occultisti, esoteristi ed iniziati, fondato da Annie Besant, che lo seguiva e lo avrebbe presentato al mondo appena avesse riconosciuto che era pronto per il grande compito. Quando venne il giorno del suo primo e memorabile discorso, tutti restarono allibiti perché con le sue parole mandò all’aria tutto quanto era stato costruito attorno a lui. Infatti rifiutò il ruolo di Maestro e sciolse l’Ordine Stella d’Oriente, perché “la Verità è una terra senza sentieri” e ognuno deve trovare la verità da sé ed essere luce a se stesso, senza dipendere da alcuna autorità esterna.

La fede non può essere istituzionalizzata

La ricerca spirituale, sottolineò, è un compito individuale; e le strutture religiose invece di unire creano divisioni, gerarchie e così le regole e i riti sono divenuti strumenti del pensiero che ostacolano l’intelligenza e il risveglio e nascondono la verità che è sempre nuova. Al riguardo raccontò anche questa parabola: “Un giorno il diavolo stava passeggiando con un amico; a un tratto davanti a loro un tale si chinò a terra per raccogliere qualcosa di luminoso. L’amico chiede al diavolo: “Sai che cosa ha raccolto quel tale?” Il diavolo risponde: “Un pezzo di verità”. L’amico allora gli dice: “Allora per te non è una cosa buona”. E il diavolo sollevando le spalle risponde: “Non mi preoccupo affatto, lo indurrò a organizzarla”. Lasciando sconcertati tutti coloro che da anni attendevano una guida suprema, Krishnamurti aggiunse: “La fede è qualcosa di assolutamente individuale e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri”.
Per tutta la vita Jiddu Krishnamurti tenne centinaia di conferenze in tutto il mondo attirando sempre un pubblico numeroso. Insegnava a non accettare le idee e le parole, ma a essere intelligentemente scettici. Suggeriva di rivolgere l’attenzione alle proprie reazioni momento per momento, per conoscere se stessi nell’azione, senza identificarsi con un’immagine di sé e così trascendere il tempo psicologico, vivendo nel qui e ora. Il suo pensiero originale e profondo collima con l’Advaita Vedanta e con l’essenza del Buddhismo Mahayana, seppure mai in alcun discorso Krishnamurti abbia fatto ricorso ad alcun termine religioso e mai nessun riferimento alle tradizioni, anzi diceva di non aver mai letto quel tipo di libri. Affermava che non ce n’era bisogno quando si sa guardare la mente e comprendere la natura e i limiti del pensiero.
Aldous Huxley divenne suo amico e grande ammiratore. David Bohm, Nobel della Fisica e amico di Albert Einstein, trovò nelle parole di Krishnamurti dei punti in comune con le emergenti teorie quantistiche e i dialoghi tra i due contribuirono a costruire un “ponte” tra misticismo e scienza. Oltre a Bohm altri scienziati furono influenzati nelle loro ricerche dai discorsi di Krishnamurti sul tempo, la mente e il pensiero. Egli considerava fondamentale l’educazione e fondò molte scuole in Inghilterra, India e Stati Uniti. Diceva che la scuola deve essere un luogo dove insegnante e allievo esplorano non solo il mondo della conoscenza, ma anche il proprio pensiero, comportamento e i condizionamenti che li imprigionano. Solo una mente libera può veramente imparare e il potenziale del cervello può esprimersi solo quando la mente è libera dallo sforzo e dal conflitto. “Soltanto quando la mente trascende il tempo, la verità cessa di essere un’astrazione”. “Allora l’estasi non è un’idea derivata dal piacere, ma una realtà di fatto e non di parole. Il liberarsi della mente dal tempo è il silenzio della verità, e il vedere ciò è il fare; pertanto non c’è divisione tra il vedere e il fare. Nell’intervallo fra il vedere e il fare nasce il conflitto, l’infelicità, la confusione. Ciò che non ha tempo è l’eterno”.
E ancora: “La meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e di gaudi. Una piccola mente squallida ed immatura può avere, e ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento. Ciò non toglie che questa immaturità sia talvolta capace di riportare successi nel mondo e ottenere fama e notorietà. I guru che essa segue sono della stessa qualità e dello stesso stato. La meditazione non appartiene a gente come questa. Non è per il “cercatore” perché costui trova ciò che vuole e il confronto che ne deriva è la morale delle sue paure.
Per quanto faccia l’uomo di credenza o di dogma, non può entrare nel regno della meditazione. Per meditare è necessaria la libertà. Non viene prima la meditazione e poi la libertà; la libertà – negazione totale della morale e dei valori sociali – è il primo movimento della meditazione. Non è una faccenda pubblica dove molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa intera struttura del pensiero è la realtà della meditazione”. E ancora: “C’è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all’angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni da cui siamo afferrati. Questa rivoluzione nasce non da teorie e ideologie, ma da una radicale trasformazione della nostra mente”.
Di fronte alla situazione attuale credo che sia proprio questa la sola prospettiva efficace per affrontare efficacemente i problemi che è urgente risolvere. Vediamo come la politica sia lo specchio della situazione interiore della media della popolazione, ma si cerca di cambiare le cose senza riconoscere che le cause sono in noi e che il cambiamento deve essere in primo luogo della prospettiva con cui affrontiamo i problemi. I saggi dicono che “quando il metodo giusto è usato dall’uomo sbagliato, il metodo giusto funziona nel modo sbagliato”. L’uomo sbagliato siamo tutti noi nello stato condizionato dalla mente che distorce la nostra percezione. Se riconosciamo la realtà oggettiva della nostra condizione questo stesso vedere conduce all’emancipazione. Se una persona si rende conto di essere confusa e quindi agisce per risolvere la confusione, creerà ancor più confusione in quanto espressione della confusione. Come dice il saggio “chi sa di essere stupido non è un grande stupido”. Nella percezione senza alternative vedere con chiarezza è già la via per uscire da quella prigione. Ma l’uomo prigioniero delle ideologie difende con le unghie e coi denti le creazioni della mente e non può vedere la bellezza della realtà né può riconoscere l’Unità della vita.

Filippo Falzoni Gallerani, Milano 2014

Il discorso di Krishnamurti allo scioglimento dell’Ordine: La verità è una terra senza sentieri
Mp3: https://goo.gl/ssZcVm
Pdf: https://goo.gl/2p39gM

Meditazioni sul vivere PDF

Krishnamurti, D. Bohm: Dove il tempo finisce Video

FILIPPO FALZONI GALLERANI