La coscienza dell’Unità (Ken Wilber)

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La coscienza dell’unità è semplicemente la consapevolezza del territorio reale del non-confine. Per quanto possa sembrare semplice, è estremamente difficile discutere in termini adeguati della consapevolezza del non-confine o della coscienza dell‘unità, e ciò perché il nostro linguaggio, il mezzo in cui si muove tutta la discussione verbale, è un linguaggio fatto di confini.

Come abbiamo già visto, le parole, i simboli e i pensieri stessi, in realtà, altro non sono che confini. Anche dicendo: “la realtà è la consapevolezza del non-confine” si crea una distinzione tra confine e non-confine! Che “la realtà è senza confini” è vero, purché non si dimentichi che la consapevolezza del non-confine è una consapevolezza diretta, immediata e non verbale, e non è assolutamente una teoria puramente filosofica…

Il confine primario tra sé e non sé, è di importanza così fondamentale che tutti gli altri confini ne dipendono. Non si possono distinguere dei confini tra le cose, se prima non abbiamo distinto noi stessi dalle cose. Ogni confine che tu crei dipende dalla tua esistenza separata, cioè, dal confine primario tra sé e non sé.

Di certo, tutti i confini rappresentano un ostacolo per la coscienza dell’unità, ma, poiché tutti i confini dipendono dal confine primario, vedere traverso questo, è come vedere attraverso tutti. In un certo senso, possiamo considerarla una posizione di vantaggio, perché se dovessimo affrontare tutti i confini separatamente, uno alla volta, impiegheremmo tutta la vita, o forse diverse vite, per riuscire a dissolverli e ottenere la “liberazione delle coppie”. Invece, mirando al confine primo, il nostro compito si semplifica enormemente. E’ come se l’insieme di tutti i nostri confini costituisse una piramide capovolta fatta di vari blocchi, i quali poggiano sul blocco posto alla sommità. Togliendo quell’unico blocco, tutta la costruzione crollerà…

Come disse l’arcivescovo di Cambrai, Fenelon, “Non vi è illusione più pericolosa delle fantasie con le quali l’uomo cerca di evitare l’illusione“. Invece di presupporre l’esistenza del confine primario e poi di procedere cercando di eliminarlo, cercheremo prima di tutto di cercare il confine stesso. E se veramente si tratta di un’illusione, non ne troveremo traccia. Potremmo poi riconoscere spontaneamente che ciò che credevamo ostacolasse la coscienza dell’unità, non è mai esistito. Come vedremo, tale intuizione è già un barlume della consapevolezza del non-confine.

Vediamo ora cosa significa esattamente cercare il confine primario; significa ricercare attentamente quella sensazione di essere un sé distinto, un essere separato che prova e percepisce, distinto dalle esperienze e dalle sensazioni. Intendo dire che se cerchiamo attentamente tale “sé” non lo troveremo; e poiché il sentirsi un sé isolato appare come l’ostacolo maggiore alla coscienza dell’unità, ricercarlo e non trovarlo vuol dire, allo stesso tempo, intravedere la coscienza dell’unità.

Notate cosa disse il gran saggio buddista Padmasambhava: “Se quando lo si cerca, il ricercatore non si trova, allora si è raggiunto lo scopo ricercato e il fine della ricerca stessa.”

Da “Oltre i Confini” di Ken Wilber

Prova ad ascoltarti… (Ken Wilber)

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Prova ad ascoltarti, proprio ora, ascolta la sensazione d’essere te stesso, e nota che questo “te” non è altro che un oggetto nella consapevolezza. Non è neppure un vero soggetto, è un altro oggetto nella consapevolezza. Questo piccolo “io” con i suoi pensieri sfila in parata davanti a te proprio come le nuvole attraverso il cielo. Che cosa è allora il vero “te” che sta osservando tutto questo? Chi sta osservando il tuo piccolo io? Chi o che cosa è? Quando ti spingi indietro verso questa pura “Soggettività”, questo puro osservatore, non lo potrai vedere come un oggetto, perché non è un oggetto. Non è nulla che tu possa vedere. Piuttosto se rimani calmo in questa consapevolezza osservante, testimone della mente, del corpo e della natura che fluiscono davanti a te, potresti incominciare a notare che quello che provi ora è semplicemente una sensazione di libertà, una sensazione di distensione, di non essere legato a nessuno degli oggetti che stai tranquillamente osservando. Non guardi nulla, semplicemente riposi in questa vasta libertà. Di fronte a te le nuvole passano in parata, i pensieri passano in parata, le sensazioni fisiche passano in parata, e tu non sei nessuna di queste cose. Tu sei il vasto espandersi della libertà attraverso la quale gli oggetti vanno e vengono. Tu sei un’apertura, un vuoto, un vasto spazio nel quale gli oggetti vanno e vengono. Le nuvole vanno e vengono, le sensazioni vanno e vengono, i pensieri vanno e vengono, e tu non sei loro, tu sei il vasto senso di libertà, quel vasto “Vuoto”, quella vasta apertura in cui sorge la manifestazione, resta per un po’, poi se ne va.

Incominci a notare che “l’Osservatore” in te che è testimone di tutti gli oggetti, è in se stesso solo un vasto “vuoto”. Non è una cosa, un oggetto, non è qualcosa che puoi vedere o afferrare. E’ piuttosto una sensazione d’ampia libertà, non essendo nulla che possa entrare nel mondo obiettivo degli oggetti, della tensione e dello sforzo… questo puro Testimone è un puro Vuoto nel quale tutti questi soggetti e oggetti individuali si manifestano, stanno per un po’ e poi passano. Questo puro Testimone non è qualcosa che possa essere visto… oggetti e soggetti possono indubbiamente essere osservati, ma l’Osservatore non può essere osservato. L’osservatore è assolutamente indipendente da loro, un’assoluta Libertà che non può essere catturata dal loro trambusto, dai loro desideri, dalle paure e dalle speranze… di certo abbiamo la tendenza a identificarci con quei piccoli soggetti e oggetti ed è esattamente questo il problema! Noi identifichiamo l’Osservatore con fragili piccole cose che possono essere viste. Questo è l’inizio del coinvolgimento e della schiavitù. Siamo in realtà un’ampia espansione di spazio libero, ma c’identifichiamo con oggetti e soggetti limitati e non liberi, che sono tutti osservabili, tutti vittime della sofferenza, e nessuno dei quali è ciò che noi siamo. Patanjali dette la classica descrizione della schiavitù come “l’identificazione dell’Osservatore con gli strumenti dell’osservazione” con i piccoli soggetti e oggetti, invece che con l’apertura, la vastità, il Vuoto in cui tutto sorge e si manifesta… così quando risiedi nel puro Testimone sei invisibile. Non puoi essere visto. Nessuna parte di te può essere vista perché tu non sei un oggetto. Può essere visto il tuo corpo, può essere vista la tua mente, la natura può essere vista, ma tu non sei nessuno di questi oggetti. Sei la pura sorgente della consapevolezza e non qualcosa che si manifesta in tale consapevolezza. Così tu sei consapevolezza! Le cose sorgono nella consapevolezza, vanno e vengono… sorgono nello spazio si muovono nel tempo. Il puro Testimone non va e non viene. Non sorge nello spazio e non si muove nel tempo. E’ sempre presente e immutabile. Non è un oggetto là fuori e quindi non entra mai nella corrente del tempo, dello spazio, della nascita e della morte…

Mia libera traduzione da: Brief History of Everything, edizioni Shambhala USA 1996 di Ken Wilber tratto dal l’Io Trasparente Volume due.

FILIPPO FALZONI GALLERANI