Ramana Maharshi e l’autoindagine

Ramana

“Non meditare—sii ! “, “Non pensare di essere—sii!”, “Non pensare all’essere—tu sei!”

L’autoindagine non dovrebbe essere considerata una pratica di meditazione da eseguire a certe ore e in certe posizioni; dovrebbe continuare durante tutte le ore della veglia, indipendentemente da ciò che si sta facendo. Sri Ramana non vedeva conflitto tra il lavoro e l’autoindagine ed affermava che con un po’ di pratica poteva essere eseguita in qualunque circostanza. Qualche volta affermò che periodi regolari di pratica formale erano benefici per i principianti, ma non patrocinò mai lunghi periodi di meditazione in posizione seduta e mostrò sempre la sua disapprovazione se qualcuno dei suoi devoti esprimeva il desiderio di abbandonare le attività mondane in favore di una vita meditativa.  (da “Gli Insegnamenti di Ramana Maharshi, Sii ciò che sei)

Domanda: nel Tao Te Ching ho letto: – Con la “non-azione” wu-wei il saggio governa tutto -.
Sri Ramana risponde: “Non-azione” significa attività incessante. La sua calma è come l’immobilità apparente di una trottola che giri vorticosamente. Essa si muove troppo velocemente perché gli occhi possano vedere, perciò appare immobile. Così è l’apparente inazione del saggio.
Dove sono il tempo e lo spazio, separati da noi? Se noi siamo i corpi, saremmo avvolti in tempo e spazio. Siamo i corpi? Noi siamo lo stesso, adesso, dopo e sempre; lo stesso qui, e ovunque noi siamo; tempo e spazio non sono; noi siamo.
Quando dormi non percepisci più il mondo, pur continuando a esistere. Dunque il mondo ti appare solo al risveglio. Da dove viene? Dalla tua mente. I tuoi pensieri sono tue proiezioni. Prima nasce il pensiero IO, poi il mondo. Il mondo è creato dal pensiero IO che proviene dal Sé eterno. Di conseguenza l’enigma della creazione del mondo è risolto se riesci a risolvere l’enigma della creazione dell’io.
D.: Un uomo che abbia conseguito la Realizzazione, può andare e venire, agire, parlare?
R.: Perché no? Credete che la Realizzazione significhi essere inerte come una pietra?
D.: Che cos’è il samadhi?
R.: Nello Yoga è un tipo di trance e ci sono vari tipi di samadhi. Ma il samadhi di cui parlo è differente. E’ il sahaja samadhi. In questo stato voi rimanete calmo e composto durante l’attività. vi rendete conto che non c’ nulla che appartenga a voi come ego e che tutto è fatto da qualcosa con cui siete in conscia unione. un brav’uomo dice: -“Che sia pure l’ultimo uomo a conseguirla (la Realizzazione) se così potrà aiutare gli altri a diventare Realizzati prima di me!”- Sarebbe come se il sognatore dicesse: – Che tutte le persone del sogno si sveglino prima di me!

Link alla Ramana Gita

Su Sri Aurobindo

Maestri Indiani:  Sri Aurobindo

Una nuova Coscienza

Aurobindo è una delle grandi figure dell’India moderna, ebbe una funzione politica per la liberazione dell’India dal giogo coloniale, ma è stato principalmente un profondo filosofo, un mirabile poeta e un grande mistico. Il modello di sviluppo dello Yoga Integrale ha ispirato la Psicologia Integrale e Transpersonale ed è un riferimento sempre valido all’interno delle più avanzate ipotesi scientifiche sulla natura della coscienza.
Aurobindo nasce a Calcutta nel 1872 da Krishnadan Ghose, un medico idealista e da Swarmalata Bose, figlia di Rajnarayan Bose, un noto letterato. Il padre, che ammirava la scienza e la tecnologia occidentali, lo manda a studiare in Inghilterra, ma gli invia pochissimo denaro perché troppo spesso lavora gratuitamente per i non abbienti. Così Aurobindo deve mantenersi con le borse di studio che ottiene grazie ai suoi eccellenti risultati. Supera tutti gli esami a Manchester e a Londra sino a essere ammesso al prestigioso King’s College di Cambridge, l’università delle classi dirigenti.

Dotato di una memoria e di un’intelligenza straordinarie impara l’italiano, il tedesco e lo spagnolo per poter leggere Dante, Goethe e Cervantes in originale e diviene presto un profondo conoscitore della letteratura occidentale antica e moderna. Al suo ritorno in India, Aurobindo è fortemente impressionato nel vedere che il suo paese è crudelmente sfruttato dagli inglesi che stanno cercando di sradicare l’antica cultura indiana come fosse solo superstizione di un popolo inferiore.
Nonostante abbia ruoli di prestigio come segretario personale del Maharaja di Baroda e sia vicepreside all’università di letteratura dove insegna, si mette alla guida di un movimento anticolonialista con l’intento di risvegliare la coscienza del suo popolo. Diventa un personaggio molto scomodo per l’Impero Britannico e nel 1908, denunciato da falsi testimoni, è arrestato e condotto nel carcere di Alipore con l’accusa di essere il mandante di un attentato dinamitardo. Vi rimarrà un anno in attesa di un processo che avrebbe potuto comportare la pena di morte, ma nell’isolamento del durissimo carcere avviene il suo pieno risveglio spirituale.
Entra in contatto con una guida disincarnata che lo porta a realizzare in poco tempo la pienezza dello Yoga della Gita e a riconoscere la propria essenza spirituale. Ricorda che questa è la stessa voce interiore che tempo prima lo aveva avvertito che presto avrebbe dovuto passare un periodo d’isolamento e totale solitudine. In carcere, nei momenti più difficili in cui la mente vacilla di fronte al naufragio del suo progetto esistenziale, riconosce in sé la presenza di una consapevolezza superiore che non appartiene al suo io ma a Vasudeva, il divino stesso in lui. (Vasudeva è un nome di Krishna).
Nel primo discorso pubblico dopo il rilascio afferma di aver compreso che una forza superiore ha diretto ogni avvenimento e dopo essere entrato in contatto cosciente con essa i suoi scopi non sono più politici, bensì il suo compito è quello di portare l’umanità verso più vasti spazi di consapevolezza. La sua realizzazione “Supermentale” è la manifestazione del gradino evolutivo che attende la coscienza umana.
Aurobindo racconta che quando, durante la reclusione, riconobbe in sé il Divino iniziò a vederlo in ogni cosa. Le stesse mura del carcere erano della sostanza di “Vasudeva” e persino i falsi testimoni e il pubblico ministero erano quell’Unico Essere. Le cose si volgono a suo favore e uscito dalla prigione si reca al Sud in Tamil Nadu dove vivrà il resto della sua vita a Pondicherry, una linda cittadina coloniale francese che si affaccia sul mare. Il Tamil Nadu è una delle più belle regioni dell’India, zona costellata da antichissimi e grandiosi templi, che da secoli è patria di dinastie di grandi Yogi tra cui Ramana Maharshi. Qui svolgerà il suo grande lavoro interiore che ha come scopo lo sviluppo della coscienza collettiva verso un più alto stato di consapevolezza.

Lo Yoga Integrale

Attorno a lui si riuniscono ricercatori spirituali e nasce un piccolo ashram, ma è dopo l’incontro con Mirra Alfassa, “Mère”, che sarà la sua controparte spirituale, che si sviluppa un grande centro che attira devoti da tutto il mondo. Mirra sin da bambina aveva manifestato straordinarie doti psichiche e paranormali ma, appartenendo a una famiglia d’intellettuali atei, dovette nascondere le sue esperienze extracorporee e transpersonali.
Nelle sue visioni le appariva una figura vestita con una specie di tunica bianca con lunghi capelli e occhi penetranti. Quando in visita in India incontrò Aurobindo lo riconobbe esattamente come il personaggio delle sue visioni persino negli inconsueti abiti orientali. L’incontro di una figura femminile in grado di aiutarlo sul piano pratico e di comprenderlo sul piano spirituale permise ad Aurobindo di portare avanti il grande progetto che, dopo la sua scomparsa nel 1950, inizia a prendere la forma di una città del futuro, basata sulla nuova coscienza.
Aurobindo concepisce il suo “Yoga Integrale” e si dedica a tempo pieno alla meditazione e alle sue opere filosofiche e poetiche e mantiene contatti con i devoti rispondendo a migliaia di lettere e per molti anni è tanto assorbito da questo compito da apparire in pubblico dal balcone della sua stanza solo una volta all’anno.
Aurobindo, che dormiva solo 3 ore per notte, scrive anche sei libri contemporaneamente. Al riguardo disse in una lettera: “Vorrei sottolineare che non pensavo quando scrivevo di filosofia come non penso mai quando scrivo queste lettere e queste risposte… Scrivo nel silenzio mentale cose che arrivano già formate… Il migliore sollievo per il cervello è quando il pensiero si forma fuori del corpo e al di sopra del capo. In ogni caso per me è avvenuto così”.
Oggi chi si addentra nei ponderosi 20 volumi della sua opera rimane sopraffatto dalla profondità, lucidità e ampiezza del suo pensiero. Tuttavia, con il suo caratteristico humor, Aurobindo disse che tutta la sua opera era stata scritta al solo scopo di calmare la mente dei seguaci. L’insegnamento, infatti, è diretto a una coscienza che va oltre l’uomo attuale identificato con il corpo-mente a un livello di sviluppo ancora imperfetto e conflittuale che deve essere superato.
Nelle sue opere presenta una visione del mondo, della coscienza e dell’evoluzione che il premio Nobel Romain Rolland definì “la più vasta sintesi mai realizzata tra il genio dell’Asia e il genio dell’Europa”. Aldous Huxley invece parlò di Sri Aurobindo come del “Platone delle generazioni future”. Chi visita Auroville vi trova un laboratorio della coscienza dove risiedono migliaia di occidentali e indiani che stanno cercando un modo diverso di essere e di vivere anche se con i limiti e i difetti che l’umanità porta con sé. L’insegnamento di Aurobindo e Mère, invero, è diretto a un’umanità che si risveglia alla propria natura divina, cosa che attualmente è ancora abbastanza rara. Ma di certo il visitatore sensibile percepirà la bellezza e l’atmosfera che si respirano in questo luogo e la luce che Aurobindo ha lasciato sul sentiero della verità.

Se si è consapevoli della propria anima, si sente che lo psichico è il proprio vero essere, mentre la mente e il resto cominciano a essere soltanto gli strumenti di ciò che è più profondo… Sri Aurobindo – Lettere sullo Yoga – Vol. IV – Cap. XXI – pagg. 160-161

Legge e scopo principale della vita individuale è la ricerca del proprio sviluppo. Consapevolmente o semi consapevolmente, o con un inconscio e oscuro brancolare, la vita individuale si sforza sempre, e a buon diritto, di trovare un’autoespressione, cioè di scoprire in sé la legge e il potere del proprio essere e attuarli… 

Aurobindo, The Human Cycle

Per avvicinare il pensiero di Aurobindo un buon libro di facile lettura è: “L’avventura della coscienza” di Satprem, Ed. Mediterranee.
Di Aurobindo due testi fondamentali della sua sterminata opera sono: “La Sintesi dello Yoga” (3 volumi), Ediz. Ubaldini  e “La Vita Divina” (2 volumi), Ediz. Mediterranee.

Bibliografia completa: http://www.sriaurobindoyoga.it/bibliografia.htm

Saggezza Taoista

Prima di reagire il saggio rispecchia ogni situazione com’è obiettivamente; come uno specchio quindi riflette solo il presente, non è saturo di informazioni trattenute dal passato con il rischio di rimanere intrappolato in atteggiamenti obsoleti; e non è neppure proteso verso il futuro, con l’intenzione di raggiungere una meta precedentemente stabilita. Il saggio allora non viene distratto da fuorvianti tensioni e percepisce ogni circostanza come nuova:

«…Kuan-yin diceva: “Non fermarti in posizioni fisse: le cose come prendono forma si manifestano. In moto sii come l’acqua, in quiete sii come uno specchio, rispondi come un’eco”…».

Il consiglio dell’autore è di abbandonare i punti di vista fissi e di attenersi a una visione obiettiva; la situazione esterna, come prende forma, si presenta di momento in momento in modo obiettivo. Il saggio è fluido come l’acqua, la quale non incontra impedimenti perché si adatta alle curve del suolo; nel reagire la mente del saggio non è soggetta alle agitazioni che oscurano la chiarezza di visione, egli svuota la mente e lascia che le cose esterne entrino in lui, coglie le relazioni e poi agisce, o meglio reagisce, la sua risposta è immediata come quella dell’eco ad un suono.
Secondo il Graham, dal punto di vista dei Taoisti, non si pensa nei termini di una dicotomia tra l’agente razionale e la natura; per cui il primo valuta i fatti che accadono, fa le sue scelte e resiste agli impulsi fisici e animali; oppure nel caso contrario il soggetto si abbandona all’idea Romantica di spontaneità, come libero gioco di impulsi, emozioni e fantasie. Nella mente del Taoista non si verificano separazioni né in un senso né nell’altro, piuttosto è costantemente in atto una mediazione tra il sé e la natura, dal cui ambito il primo non cerca di sottrarsi per dominarla ma si fonde spontaneamente in essa. Il rispettare le cose nella loro obiettività implica che la mente sia limpida come uno specchio, quindi neutrale e sgombra da valutazioni morali.
La chiarezza mentale, che consente il naturale svolgersi del wu wei, diviene anche il presupposto della pratica quotidiana degli artigiani, protagonisti di molte storie del Chuang Tzû; una tra le più famose è quella del cuoco Ting:
«…Ciò a cui il tuo suddito fa attenzione è la Via, ho abbandonato la tecnica. Quando cominciai a tagliare i buoi, non vedevo altro che questi. Tre anni più tardi non vedevo il bue come un intero. Oggi, entro in contatto attraverso il mio spirito, e non vedo con gli occhi. Con i sensi so dove fermarmi, desidero seguire il corso dello spirito. Faccio affidamento sulla struttura del Cielo, taglio lungo le giunture principali, mi lascio guidare dalle principali cavità, mi regolo su ciò che è così per sua natura. Non ho mai toccato un tendine o un legamento, mai un osso. Un buon cuoco cambia la sua mannaia una volta all’anno, perché squarta grossolanamente. Un cuoco comune la cambia una volta al mese, perché riduce in pezzi malamente. Io ho questa mannaia da diciannove anni, e ho tagliato parecchie migliaia di buoi, ma la lama è come se fosse appena stata affilata. In quel punto di congiunzione c’è un interstizio, e il filo della lama non ha spessore; se inserisci ciò che non ha spessore là dove è un interstizio, poi, cosa potresti chiedere di meglio, certamente c’è ampio spazio per girare la lama. Questo perché dopo diciannove anni il filo della mia mannaia sembra fresco di affilatura. Comunque, ogni volta che arrivo a qualcosa di intricato, io vedo dov’è duro da maneggiare e con cautela mi preparo, il mio sguardo lo fissa, l’azione rallenta, a mala pena si vede il movimento rapido della mannaia – e ad un sol tocco il groviglio è districato, come una zolla si sgretola al suolo. Tengo la mannaia in mano, mi guardo orgogliosamente tutt’intorno, mi compiaccio fino ad essere del tutto soddisfatto, poi pulisco la mannaia e la ripongo…».

Molti degli episodi sugli artigiani sono impostati secondo uno schema che vede sempre il sovrano nella posizione di chi impara dalle semplici parole di uomini umili; anche le parole del cuoco Ting sono infatti indirizzate ad un principe che ammira la sua abilità e che dopo averlo ascoltato dichiara di sapere finalmente come nutrire la vita, praticando il suo stesso metodo nel governare l’impero. Il cuoco, quando incontra un nodo specialmente intricato di ossa e muscoli, si ferma finché non ha assimilato tutte le informazioni e poi taglia con un solo abile tocco.
Possiamo definire l’arte di vivere taoista come una sensibilità massimamente intelligente, che sarebbe indebolita dall’analizzare e dal porre alternative, in particolare nel caso di pratiche fisiche; se il funambolo per esempio si chiedesse in continuazione dove muovere il passo successivo alla fine cadrebbe dalla fune.
Il problema sorge quando prevale la dicotomia tra il soggetto e l’oggetto, allora l’agente comincia a porre le alternative e a chiedersi quale potrebbe essere la soluzione migliore; in questo modo non fa altro che disperdersi in innumerevoli direzioni con il rischio di non riuscire più ad individuare la giusta via.

Tratto da: http://www.estovest.net/tradizione/wuwei.html

FILIPPO FALZONI GALLERANI