I Maestri cinesi dello Zen (Huang-Po)

Tratto dall’originale cinese di P’ei-Hsiu

Il Maestro disse:

Tutti i Buddha e tutti gli esseri viventi non sono altro che un’unica Mente: non vi è alcun altro metodo spirituale.

Questa Mente, mai nata, da tempi senza inizio, non ha mai cessato di esistere; né blu né gialla, senza forma né aspetto, non dipende né dall’essere né dal non-essere, né dal vecchio né dal nuovo; non è né lunga né corta, né grande né piccola, aldilà di ogni delimitazione o denominazione, di là da ogni possibilità di essere percepita o considerata come un oggetto; eccola, essa è la Realtà in sé! Ma, alla prima considerazione pensativa, la si perde…

Illimitata e insormontabile si direbbe spazio vuoto! Così, questa mente-unica è il Buddha e tra il Buddha e gli esseri viventi non vi è differenza. Tuttavia, gli esseri viventi cercano sempre da qualche altra parte, attaccandosi ai fenomeni e, così facendo, perdono tutto, perché andando alla ricerca del Buddha con la loro idea del Buddha e ricercando la mente con la loro mente erronea, anche sforzandosi per interi kalpa, non potrebbero approdare a niente. Essi ignorano che il Buddha appare spontaneamente a chi cessa di evocarlo liberandosi dal processo pensativo. Questa mente, dunque, è il Buddha e il Buddha è la totalità degli esseri viventi. Quando egli è un “essere vivente”, la mente non ne viene per niente diminuita e quando essa è il Buddha, per niente aumentata. Se non credete fermamente che questa mente sia il Buddha e se volete praticare attaccandovi ai caratteri particolari (fenomeni) per ottenere i meriti, siete in preda ad un totale malinteso e così devierete dal Sentiero.

Questa mente è il Buddha. Non vi è altro Buddha e neppure altra mente. Questa mente chiara e pura somiglia allo spazio vuoto, perché in nessun punto avrà mai una forma particolare. Quando si suscita uno stato di mente particolare a causa dell’intromissione dei pensieri, ciò vuol dire deviare dalla sostanza delle cose e attaccarsi ai caratteri particolari. Ora, non si è mai visto, da tempi senza inizio, un Buddha attaccato alle “particolarità” (cioè ai fenomeni).

Esercitarsi con le sei paramita e con infinite pratiche, per diventare Buddha, significa seguire una via graduale e, da sempre, non si è mai visto qualcuno diventato “Buddha per gradi”. E’ sufficiente risvegliarsi a questa mente-unica per non aver più la minima realtà da trovare; questa è la vera Buddhità. Il Buddha e gli esseri viventi sono indifferenziati nella mente-unica che, come lo spazio vuoto, non è mai confusa e mai si deteriora. Infatti, guardate il sole che illumina il mondo intero. Al suo levare, la luce si spande sulla terra, ma lo spazio in se stesso non diviene più luminoso. E quando il sole sparisce e le tenebre ricoprono la terra, lo spazio non si oscura affatto. La luce e l’oscurità si scacciano l’un l’altra, ma lo spazio resta vuoto e immutato per sua natura. La stessa cosa accade per questa mente del Buddha e degli esseri viventi.

Vi sono alcuni che considerano il Buddha come portatore dei segni particolari di essere puro, libero e luminoso, mentre al contrario, gli esseri viventi sono portatori di qualità di esseri impuri, offuscati e incatenati al Samsara. Tuttavia, chi afferma questo, non otterrà mai il Risveglio, neanche dopo innumerevoli kalpa, poiché si attacca ai fenomeni. In questa mente-unica, quindi, non c’è nient’altro da cercare, perché la mente stessa è il Buddha.

Oggigiorno, i praticanti che non si sono risvegliati a questa mente in sostanza non fanno che produrre pensieri su pensieri, cercando il Buddha all’esterno e continuano a praticare attaccandosi ai caratteri particolari. Questo è un cattivo metodo e non la Via del Risveglio.

Huang-Po

(Tradotto dal cinese in francese da Patrick Carrè e in italiano da Cristina Martire e Alberto Mengoni)

La coscienza dell’Unità (Ken Wilber)

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La coscienza dell’unità è semplicemente la consapevolezza del territorio reale del non-confine. Per quanto possa sembrare semplice, è estremamente difficile discutere in termini adeguati della consapevolezza del non-confine o della coscienza dell‘unità, e ciò perché il nostro linguaggio, il mezzo in cui si muove tutta la discussione verbale, è un linguaggio fatto di confini.

Come abbiamo già visto, le parole, i simboli e i pensieri stessi, in realtà, altro non sono che confini. Anche dicendo: “la realtà è la consapevolezza del non-confine” si crea una distinzione tra confine e non-confine! Che “la realtà è senza confini” è vero, purché non si dimentichi che la consapevolezza del non-confine è una consapevolezza diretta, immediata e non verbale, e non è assolutamente una teoria puramente filosofica…

Il confine primario tra sé e non sé, è di importanza così fondamentale che tutti gli altri confini ne dipendono. Non si possono distinguere dei confini tra le cose, se prima non abbiamo distinto noi stessi dalle cose. Ogni confine che tu crei dipende dalla tua esistenza separata, cioè, dal confine primario tra sé e non sé.

Di certo, tutti i confini rappresentano un ostacolo per la coscienza dell’unità, ma, poiché tutti i confini dipendono dal confine primario, vedere traverso questo, è come vedere attraverso tutti. In un certo senso, possiamo considerarla una posizione di vantaggio, perché se dovessimo affrontare tutti i confini separatamente, uno alla volta, impiegheremmo tutta la vita, o forse diverse vite, per riuscire a dissolverli e ottenere la “liberazione delle coppie”. Invece, mirando al confine primo, il nostro compito si semplifica enormemente. E’ come se l’insieme di tutti i nostri confini costituisse una piramide capovolta fatta di vari blocchi, i quali poggiano sul blocco posto alla sommità. Togliendo quell’unico blocco, tutta la costruzione crollerà…

Come disse l’arcivescovo di Cambrai, Fenelon, “Non vi è illusione più pericolosa delle fantasie con le quali l’uomo cerca di evitare l’illusione“. Invece di presupporre l’esistenza del confine primario e poi di procedere cercando di eliminarlo, cercheremo prima di tutto di cercare il confine stesso. E se veramente si tratta di un’illusione, non ne troveremo traccia. Potremmo poi riconoscere spontaneamente che ciò che credevamo ostacolasse la coscienza dell’unità, non è mai esistito. Come vedremo, tale intuizione è già un barlume della consapevolezza del non-confine.

Vediamo ora cosa significa esattamente cercare il confine primario; significa ricercare attentamente quella sensazione di essere un sé distinto, un essere separato che prova e percepisce, distinto dalle esperienze e dalle sensazioni. Intendo dire che se cerchiamo attentamente tale “sé” non lo troveremo; e poiché il sentirsi un sé isolato appare come l’ostacolo maggiore alla coscienza dell’unità, ricercarlo e non trovarlo vuol dire, allo stesso tempo, intravedere la coscienza dell’unità.

Notate cosa disse il gran saggio buddista Padmasambhava: “Se quando lo si cerca, il ricercatore non si trova, allora si è raggiunto lo scopo ricercato e il fine della ricerca stessa.”

Da “Oltre i Confini” di Ken Wilber

FILIPPO FALZONI GALLERANI