Una storiella personale di Risveglio

I subdoli travestimenti dell’ego

Se sono stupido e pretendo di diventare intelligente, lo sforzo stesso che compio per tentare di diventarlo è una forma ancora più grande di stupidità, perché quello che importa è capire la stupidità. Nonostante tutti i miei sforzi per diventare intelligente, la mia stupidità rimarrà. Superficialmente potrò sembrare più colto, potrò imparare a fare delle citazioni, a ripetere brani di grandi autori, ma fondamentalmente rimarrò stupido. Se però vedo la stupidità, così come si manifesta nella mia vita quotidiana – se vedo come tratto un servitore, come mi comporto col mio prossimo, che si tratti di un povero, di un ricco o di un impiegato – se vedo i miei modi di fare e li comprendo, allora proprio questa consapevolezza toglierà di mezzo la stupidità. 

Jiddu Krishnamurti

Nel trascendere le dualità della mente vi è la Visione Suprema; in una mente calma e silenziosa vi è la Suprema Meditazione, nella spontaneità la Suprema Attività. E quando sono morte tutte le speranze e tutte le paure la meta è raggiunta. Oltre tutte le immagini mentali la mente è naturalmente chiara: non seguire alcun sentiero per seguire il sentiero dei Buddha; non utilizzare alcuna tecnica per raggiungere la suprema illuminazione.

Tilopa

Ecco un’altra storiella personale che si svolse in India. Anche in questo caso nulla di paranormale, nulla di metafisico, pare anzi una cosa abbastanza stupida. Si tratta della semplice osservazione di un tranello mentale che mi fece meglio comprendere il meccanismo generale d’autoinganno in cui spesso cadono i cosiddetti ricercatori spirituali. Anche poter ridere di sé stessi fa molto bene. Credo che esemplifichi in termini molto semplici, attraverso un normale episodio della vita quotidiana, uno degli aspetti cruciali dei meccanismi con cui la mente ci inganna se non riconosciamo la differenza tra il movimento del pensiero e la consapevolezza, tra l’ego che persegue i suoi fini e la coscienza di Sé.
Dalla fine degli anni ’70 (sino al 2010) ho passato gli inverni in un ashram in India in una magnifica valle ai piedi dell’Himalaya, attraversata da un puro torrente. È lì che ho incontrato il Maestro e iniziato le pratiche Yoga e dove ho continuato a recarmi per molti anni anche dopo la sua scomparsa. Non intendo raccontare la mia storia e arrivo subito alle comiche circostanze che mi hanno, per l’ennesima volta, portato a smascherare gli inganni dell’io e i paradossi in cui si può cadere nella ricerca spirituale.
Una sera, prima di dormire, ascolto per un paio d’ore un audiolibro di Eckhart Tolle, l’autore di “Il potere di adesso”. Molti conoscono i suoi scritti che hanno avuto un grande successo e venduto milioni di copie. Essenziale nel suo discorso è il tema dell’attenzione, della consapevolezza e dell’assenza di un io separato dalla percezione, che sotto molto aspetti è in linea con il messaggio di Jiddu Krishnamurti e con la filosofia Advaita. Trovavo interessante Tolle, perché senza alcun particolare background, anzi dopo una vita caratterizzata da nevrosi e depressione, una subitanea presa di coscienza lo aveva portato a godere di beatitudine e serenità. Senza aver seguito pratiche o tecniche particolari e senza aver avuto un maestro.
Ramana Maharshi o Aurobindo ci paiono esseri eccezionali con un destino particolare, favorito dal contesto sociale e storico, mentre questi nuovi maestri sono uomini comuni, del nostro tempo, vissuti all’interno della nostra cultura con i problemi personali comuni a tutti, che hanno spontaneamente percepito la natura del Sè. Nelle semplici parole di Tolle ritrovavo argomenti come la consapevolezza del presente, oltre parole e pensieri, e anche temi classici degli insegnamenti di Gurdjieff sul ricordo di Sé che ho sempre apprezzato. Ascoltando Tolle, quella sera mi tornarono alla mente gli esperimenti che facevo da ragazzo esercitandomi a restare consapevole durante i sogni, o gli esercizi di attenzione consapevole di ogni movimento come la camminata consapevole dello Zen e altre cose simili. In quei giorni in India ero in uno stato mentale assai sereno, l’ambiente rendeva molto facile vivere nel qui e ora senza conflitti mentali che mi potessero disturbare, e dedicavo molte ore al giorno alla meditazione e allo studio dei testi classici. Tuttavia quella sera decisi che comunque poteva “farmi bene” applicare intenzionalmente la pratica dell’attenzione che Tolle suggeriva, con un impegno costante per le ore successive. Spenta la luce mi concentro e ho la sensazione di passare consapevolmente dalla veglia al sonno. Come mi ero ripromesso, una certa presenza rimane come sottofondo al mio sonno. Ho la strana sensazione che il tempo si fermi seppure la notte trascorre in un attimo. Mi sveglio alle 3,29, (un minuto prima del trillo della sveglia) fresco e riposato e mi sembra di essere rimasto sempre presente. L’idea con cui mi sono addormentato è ancora attuale e mi alzo dal letto con l’intenzione di realizzare al massimo la consapevolezza, sempre convinto di praticare, in questo modo, la presenza mentale. Ogni movimento è consapevole, il dentifricio depositato con cura consapevole sullo spazzolino, la moka consapevolmente riempita senza far cadere un granello di caffè, il gas acceso con la prima scintilla dell’accendino piezoelettrico ed ho l’impressione di bere la fumante bevanda molto consapevolmente. Alle quattro meno dieci esco nella notte stellata e con camminata consapevole attraverso il boschetto di manghi, supero i nove templi e il dhuni e scendo le scale che conducono al sassoso greto del fiume, attento a ogni suono e sensazione. La luna e le stelle si riflettono luminose sulla superficie della piscina creata dalla diga di sassi che ho costruito nelle settimane precedenti. Mi spoglio della giacca a vento, della kurta di lana pesante, dei due maglioni, della maglietta di lana e di calzamaglia e pantaloni, abiti necessari all’alba in questi fredde notti di gennaio. Ogni gesto è assaporato dalla consapevolezza e con cura metto gli abiti ben piegati per poterli indossare in fretta e non prendere freddo dopo il bagno, senza cioè rimanere impigliato in una manica rovesciata o scambiare il davanti con il dietro di un golf. Mi sento attento a tutto e concentrato. Eccomi nudo, nella gelida notte, pronto a tuffarmi nelle acque cristalline della Gotami Ganga. Un pungente vento dal Nord entra nella valle proprio mentre sto per tuffarmi nella pozza profonda… ed ecco che con stupore mi accorgo… che per la prima volta in trent’anni mi sono dimenticato di portare con me l’accappatoio! L’accappatoio è la cosa più difficile da dimenticare perché sempre ci si ricorda che appena usciti dall’acqua ci vuole subito qualcosa di asciutto. La cosa più comica è che l’ho dimenticato proprio nel giorno in cui m’ero impegnato come non mai a coltivare l’attenzione!
Nel
cercare di vivere nel presente, ho tralasciato la cosa più importante, e, cercandolo, ho perduto il contatto con il presente in cui in realtà già vivo. Un flash illuminante mi attraversa la mente! Capisco che ho toccato uno dei paradossi classici in cui cade l’ego nella sua ricerca di automiglioramento. La mia incontenibile risata echeggia nella valle. Mio Dio! Sono già Consapevolezza e mi sforzo di raggiungerla? Il pensiero e lo sforzo di essere consapevoli non sono forse un ostacolo alla consapevolezza stessa che nasce solo da una mente sgombra e libera di scopi? Sento, come mai prima, la stupidità della ricerca della presenza mentale attraverso il pensiero e, nello stesso tempo, capisco che è un atto d’intelligenza proprio il rendersi conto dell’inganno dell’io che vuole “essere presente”.
L’io e il pensiero sono il prodotto del movimento del tempo e del ricordo e non conducono al presente che è oltre la concettualizzazione e l’intenzione. Non è facile rendersi conto di questo perché è un’illusione collettiva condivisa e promulgata dalla società in cui viviamo, che si basa su ego e pensiero (e vediamo che i risultati sono un mondo in cui la conflittualità e la confusione sono diffuse a ogni livello). Per superare gli inganni della mente dobbiamo smascherarli in noi stessi e renderci conto della natura paradossale di questa sfida, che al fine conduce alla resa e all’autentica trascendenza dell’io e del tempo psicologico. Ma “Nulla è più facile del continuare a percorrere vie infantili o di farvi ritorno” diceva Jung. Si tratta di una radicale trasformazione della prospettiva e non di un graduale miglioramento all’interno delle nostre illusioni egoiche. Si tratta di farla finita con il desiderio di trasformazione nel tempo, con le pretese di uno sforzo di automiglioramento che, da questa prospettiva egoica, si dimostra autofrustrante. Ci vuole sforzo e impegno per costruire una casa con le proprie mani, ma non certo per essere sé stessi, per realizzare lo stato naturale… Deve forse compiere uno sforzo l’onda per sentirsi oceano, o semplicemente è sufficiente che riconosca la realtà e abbandoni così l’illusione di una propria natura indipendente? Com’è vero tutto quello che ripeteva Krishnamurti! E com’è facile tradire nella pratica ciò che si è compreso a livello intellettuale, nel momento in cui è l’ego a volerlo attuare.  Il risveglio avviene spontaneo quando non c’è l’ego che lo persegue e gli stati di coscienza espansa si manifestano nella totale libertà interiore. E poi: Chi cerca di diventare più consapevole? Chi pretende di raggiungere uno stato particolare di consapevolezza? Proprio quando c’è l’io, la consapevolezza è offuscata dal pensiero e dal desiderio. L’ego è costituito da pensieri ed è la radice di ogni pensiero, e anche della creazione di passato e futuro. La consapevolezza sorge quando la mente tace. La mente tace quando non facciamo nulla, anzi: non ci siamo proprio, quindi non c’è nessuno che la voglia far tacere. L’azione si manifesta spontanea. Siamo una sola cosa con la realtà perché c’è solo “Ciò” e Tu Sei Quello… Il Sé non duale appare spontaneamente nella mente sgombra da desiderio e timore, aspettative e scelte. Solo quando siamo liberi dalla compulsione di raggiungere qualcosa scompare la divisione in osservatore e osservato e la coscienza è una cosa sola con il Tutto. Quante volte mi ero ripetuto che lo sforzo di meditare è antitetico alla meditazione, che è il silenzio interiore che ci conduce alla realtà, ma l’inganno si nasconde persino nella “ragionevole” intenzione di praticare la consapevolezza. Questa situazione mi ha mostrato per l’ennesima volta il mimetizzarsi dell’ego nella forma più subdola: l’ego spirituale. Il riconoscere questo tranello mentale mi è sembrato più illuminante di molte ore di meditazione. Solo quando il senso dell’io si dissolve ci svegliamo alla realtà. Solo vedendo chiaramente l’Ombra entriamo nella Luce… Solo riconoscendo le Illusioni mentali troviamo la Realtà… Solo morendo a noi stessi viviamo nell’Eterno Ora

Filippo Falzoni Gallerani

FILIPPO FALZONI GALLERANI